Il fallimento di LBJ ai Lakers, il futuro è ancora a Los Angeles?

Il fallimento dei nuovi Lakers di LeBron James, fuori dai playoff, incapaci di arrivare a Anthony Davis e di fronte a un'estate che sarà il bivio decisivo per la carriera del re

California, Los Angeles, Hollywood, l’oceano Pacifico, le suggestioni della terra dell’oro dove l’estate non finisce mai. Che altro poteva esserci di meglio, nel paese del cinema e degli sceneggiatori, che metterci in mezzo anche LeBron James? La scorsa estate, tutti a gustarsi il copione (e in molti anche a contare le banconote dell’affare) con la prospettiva succulenta di riportare i Lakers se non in cima, almeno nelle posizioni di vertice della Nba, quelle che valgono i playoff. La primavera successiva, tutti a grattarsi la testa con il segno del punto interrogativo in mezzo alle pupille. I Lakers i playoff non li hanno fatto, e questa è sceneggiatura ricorrente. Non li ha fatti nemmeno LBJ e questo è insolito, inaspettato, una svolta inaspettata nella trama perché magari nemmeno gli scrittori più arditi avrebbero previsto il titolo a Los Angeles, ma almeno essere in campo a maggio, quando in squadra hai uno che ha giocato le ultime otto Finals consecutive, quello sì. Invece alle Finals ci vanno i Warriors, i grandi rivali, per la quinta stagione consecutiva.

Le cause

I Lakers sono naufragati proprio nel momento più alto della loro regular season, a Natale, battendo quel pezzo di California dominante che sono i Warriors ma perdendo il re per un infortunio durato oltre un mese. Non che fosse imprevedibile, se hai quasi 35 anni e un chilometraggio Nba smisurato. Qualche acciacco ti viene pure se sei inossidabile sopra la media di atleti fuori dall’ordinario. Sotto le feste LA era abbondantemente in corsa per i playoff. Poi si è rotto LBJ e soprattutto si è rotto tutto il meccanismo della franchigia, dalla dirigenza alla panchina al roster. Ricordate? Anthony Davis fa capire di essere ai titoli di coda con New Orleans e all’improvviso mezza Nba è disposta a fare follie per averlo. I Lakers più degli altri e Magic Johnson è pronto a mettere sul piatto l’intero roster pur di affiancare un’altra superstar al sovrano. Il problema è che i Pelicans rifiutano l’affare aspettando trattative più succulenti in estate e ai Lakers resta il cerino in mano. Non solo non hanno la stella che cercavano, né soltanto hanno l’uomo franchigia sul lettino del fisioterapista. All’improvviso hanno anche un intero roster di giovani talenti, interessanti ma non strabilianti, con la consapevolezza di non avere fiducia da parte della stella assoluta e della propria dirigenza. Voi rendereste al meglio, in queste condizioni di lavoro? Infatti va tutto per aria e mentre l’altra parte di Los Angeles, i Clippers, pure in mezzo alla rifondazione si ritaglia un dignitoso percorso verso i playoff, i Lakers continuano a perdere, spesso malamente, anche quando in campo torna il più forte. Niente playoff e nessuna certezza.

Le prospettive

E’ chiaro che i Lakers sono sempre i Lakers e hanno un appeal in grado di fare breccia nel cuore di molti, non solo Davis, nel prossimo mercato. E’ chiaro che LBJ non ha più tempo di aspettare, visto che una delle missioni del suo sbarco sul Pacifico è quella di provare a vincere almeno un altro titolo. E’ chiaro che comunque vada in panchina non ci sarà Luke Walton, coach capace ma non particolarmente carismatico, comunque bocciato dal re in maniera esplicita e implicita nel corso della stagione. LBJ a Los Angeles non si è comportato finora in maniera tanto diversa da come faceva a Cleveland, giocando a fare quello che sa fare, il migliore interprete del basket moderno, e anche a quello che non sa fare o non ha ancora imparato a fare, ovvero il gm occulto della squadra. Tempistiche sbagliate, scarsa fiducia nei propri compagni, tendenza a rendere lo spogliatoio una polveriera.

Nella Eastern Conference poteva bastare, nella Western il colpo finora non è riuscito e i Lakers al momento sono ancora l’ultima ruota del carro californiano della Nba, superati anche dai Kings. Il problema è che le prospettive sono state complicate dalle dimissioni di Magic Johnson, l’uomo che lo aveva portato a Los Angeles, il punto di riferimento su cui proprietà e tifosi contavano per restituire prestigio a una franchigia che dal 2013 ha perso più partite di chiunque altra. Niente Oscar finora, ma candidatura a una delle peggiori interpretazioni su piccolo e grande schermo della storia recente del basket americano. Senza presidente, con una proprietà confusa e senza un vero gm che ha bocciato Tyronne Lue per la panchina provocando l’irritazione di LeBron James, con un roster delegittimato dal migliore giocatore che per la prima volta in carriera deve confrontarsi con fisiologici segnali di declino, con l’arrivo di Vogel come head coach supportato da Jason Kidd e la quarta scelta al draft. Intrighi, tradimenti, gelosie, sospetti con Rob Pelinka nel ruolo della forza oscura che trama alle spalle di Magic per prenderne il posto. Da giugno ci riproveranno, ma quello che sembrava l’affare del secolo si è finora trasformato in una surreale parodio di un film dei fratelli Marx. E in pochi al momento a Los Angeles trovano motivi per ridere. Anche perché il futuro di LBJ potrebbe essere altrove, a Philadelphia, e la sua storia di amore con Hollywood conclusa dopo una o due stagioni. Nei kolossal succede anche questo.