Crisi Lakers, a sorpresa si dimette Magic Johnson

Svolta inaspettata ai Lakers, dopo una stagione disastrosa Magic Johnson si dimette da presidente e lascia una franchigia piena di problemi da risolvere

In fondo, fino a ieri sera, sembrava la trama di un kolossal hollywoodiano. I Lakers che non fanno i playoff dal 2013, che negli ultimi sei anni hanno perso più partite di qualunque altra franchigia, che portano a Los Angeles il più forte giocatore della sua epoca, uno che ha giocato otto finali consecutive. Nessuno sceneggiatore manderebbe immediatamente la squadra in finale o a stappare bottiglie per festeggiare il titolo. Ecco allora una stagione al di sotto delle aspettative, con LBJ che si fa male a Natale, la stagione va a rotoli, le incomprensioni tra presidente e allenatore, un mercato che non funziona con Anthony Davis che non arrivo nemmeno in cambio di tre quarti di roster, i playoff mancati, i dubbi che assalgono tifosi e proprietà. Sembra perfetto per il lieto fine, con un’estate nella quale correggere gli errori e il riscatto nel 2019-20. Se ne sono visti a migliaia di film con questo copione.

Solo che improvvisamente la storia gira senza che nessuno se lo aspetti e a strizzarla in maniera imprevedibile e dolorosa è il simbolo assoluto della Los Angeles gialloviola, Magic Johnson, il presidente, quello che ha le chiavi in mano delle operazioni sportive, la fiducia incondizionata della proprietaria Jeanie Buss e di milioni di tifosi in tutto il mondo. Allo Staples Center si gioca l’ultima inutile partita di regular season e in quaranta minuti di conferenza stampa, prima della gara, Magic come un fiume in piena travolge presente e futuro annunciando le dimissioni. E nella notte in cui un’altra leggenda come Dirk Nowitzki annuncia il proprio ritiro, butta di fronte ai microfoni concetti che lasciano tutti a bocca aperta:

Sono uno spirito libero che è stato ammanettato. E non mi piace. Avevo una vita splendida prima di accettare questo lavoro: non vedo l’ora di tornare a quella vita. I Lakers sono nella posizione giusta, se non fosse così me non me ne andrei, il prossimo anno staremo bene, se riusciremo a prendere un’altra star staremo benissimo. Qualcuno dovrà dire a Jeanie Buss che me ne vado, perché io non riesco a guardarla negli occhi e dirglielo. Ci siamo visti ieri per fare il punto sulla direzione in cui sta andando questa franchigia, mi ha ribadito che avevo il potere di prendere qualsiasi decisione ritenessi giusta sullo staff tecnico. Non abbiamo mai litigato o siamo stati in disaccordo. Ma non voglio mettermi nelle condizioni di litigare con lei. Mi divertivo di più come ambasciatore, come simbolo: domani avrei dovuto rovinare la vita di qualcuno e non è quello che voglio. Non voglio mettermi tra Jeanie e Luke. Non mi sono piaciute molte cose che sono successe e che non sarebbero dovute succedere. Spero che i Lakers dopo questa stagione vadano nella giusta direzione, come credo che siamo diretti – altrimenti non me ne sarei andato. Gli infortuni ci hanno davvero frenato, ma mi è piaciuto lavorare con Jeanie. È dura lasciare un’organizzazione che amo, ed è dura lasciare una persona come Jeanie. Le voglio bene, non voglio farle del male.

Un presidente che se ne va senza avvertire la proprietà, che sostiene di non divertirsi, raramente si era visto nello sport professionistico. Da giorni si inseguivano voci che volevano un Magic distratto, assente, assorbito nella gestione dei suoi affari, da più parti si raccontava che il suo modo di svolgere il ruolo era andare qualche giorno al mese in ufficio, prendere decisioni di massima e lasciare che altri le rendessero operative. Un ruolo operativo che ha finito per soffocarlo? E’ possibile, se si ricorda la sua esperienza di allenatore ai Lakers nel 1993-94, durata poche partite, nel tentativo di portare la squadra ai playoff. Missione fallita e dimissioni, prima di tornare due anni dopo da giocatore. Magic che si sente più a suo agio nelle vesti di ambasciatore del basket americano più che di uomo di potere dei Lakers:

Io sono uno spirito libero, non posso essere ammanettato. Questo per me è un buon giorno. Pensavo al ritiro di Dwyane Wade e non posso neanche twittare per congratularmi o essere presente. Quando Russell Westbrook ha fatto 20+20+20, non ho potuto dire nulla per celebrarlo. Serena Williams mi ha chiesto settimana scorsa di esserle di aiuto, ed è una cosa che farò. Anche quando Ben Simmons mi ha chiamato seguendo i canali giusti, sono comunque passato come il cattivo della situazione anche se non ho fatto nulla di male. Ho pensato spesso alle persone che mi vogliono come mentore o come parte delle loro vite, cose che non posso fare in questa posizione. Mi divertivo di più dall’altra parte.’

E lascia un vuoto che non basteranno i migliori sceneggiatori a riempire. Con lo spazio salariale per prendere una o due star, un allenatore in bilico, un roster nel quale la dirigenza ha mostrato di non credere, un LBJ che per la prima volta in carriera comincia a fare i conti con i segnali di declino fisiologici, mettere a posto i pezzi per un finale trionfale non sarà facile. E al momento manca anche il regista che dovrà farlo.