L’intervista a Geri De Rosa: “La mia prima telecronaca? Col Subbuteo…”

Il telecronista di SkySport si racconta in un'intervista. La passione, l'esordio, le tecniche, le emozioni che ama trasmettere a chi lo ascolta.

Geri De Rosa fuoriclasse di Sky si racconta a Infobetting

All’anagrafe è iscritto come Ruggero ma per tutti noi è Geri De Rosa. Giornalista di SkySport, telecronista competente, misurato. 52 anni, una laurea di lettere classiche con specializzazione in archeologia preistorica. Mai un eccesso. Mai un personalismo. Professionista della Comunicazione “alla Florenzi”, lo puoi utilizzare in diversi ruoli ma la qualità rimane sempre la stessa. Altissima.

Lo abbiamo disturbato nei giorni scorsi.

Telecronista: una passione/mestiere che nasce come e quando?
La passione nasce, come per molti, da bambino quando imitavo i telecronisti giocando a Subbuteo o guardando in tv le partite. Poi questa passione è cresciuta telecronaca dopo telecronaca, affinando alcuni meccanismi e entrando in contatto, soprattutto nel basket, con i protagonisti.

Quanti e quali sport hai commentato?
Pallacanestro e calcio sono gli sport che commento con maggiore frequenza, anche se mi è capitato di fare altre cose con molta soddisfazione. Fortunatamente in tutti questi anni con Sky mi è capitato di seguire diversi eventi, anche di grande rilevanza. Il tennis per esempio ho cominciato a farlo già verso la fine degli anni 90 seguendo i tornei del Grande Slam e più recentemente i Master 1000. E poi, alle Olimpiadi, ho seguito, sempre per Sky, tiro con l’arco a Londra 2012, slittino, bob e skeleton alle Olimpiadi di Sochi del 2014.

Quanto tempo occorre per preparare una telecronaca?
Non c’è una regola, dipende dal singolo telecronista e da cosa devi commentare. Tendenzialmente più l’evento è di nicchia e più tempo serve per prepararsi. E’ evidente che se commenti Inter-Juventus non è necessario studiare carriera e vita di giocatori che tutti conoscono; se commenti Slovacchia – Ucraina di basket femminile servirebbe anche una settimana di preparazione. Per me il momento della preparazione è il più intrigante, mi piace seguire storie in cui mi imbatto anche per caso e una storia o un giocatore può portarmi via mezza giornata. L’ideale sarebbe avere tanto tempo per prepararsi ma è molto che raro che succeda. Di sicuro una buona telecronaca non può prescindere da una buona preparazione.

C’è una telecronaca alla quale sei particolarmente legato e perché?
Ce ne sono tante, le finali di Eurolega che ho commentato sono state tutte esaltanti così come le finali scudetto. Se devo però scegliere una telecronaca metto la finale a squadre di Tiro con l’arco a Londra 2012. La vittoria degli azzurri, per come è maturata e per il fatto che quella era la mia prima telecronaca “olimpica”, mi ha provocato una serie di sensazioni incredibili e difficili da descrivere. Credo di aver capito, quel giorno, almeno per una centesima parte che razza di emozione sia vincere un oro olimpica. Indimenticabile!

La spalla tecnica. Quanto è importante l’empatia con la seconda voce?
La spalla tecnica, per come la penso io, è un elemento irrinunciabile per la bontà del prodotto. E’ chiaro che l’empatia conta tantissimo ed è un elemento che si trova abbastanza rapidamente, se la spalla tecnica ha passione e competenza. Solo con il tempo e con il passare delle telecronache però si affina nel modo giusto. E’ importante che si seguano alcune piccole ma preziose regole che spesso vengono un po’ trascurate. Spesso si creano le coppie di telecronisti all’ultimo momento senza dare il tempo ai due di conoscersi, confrontarsi e mettersi d’accordo. E in onda il risultato non può che essere, nel migliore dei casi, rivedibile.

Quanto la tecnologia (più camere, instant replay, VAR) ha cambiato il tuo lavoro?
La tecnologia mi ha costretto ad essere ancora più preciso nello studio delle regole perché, come gli errori arbitrali, allo stesso modo vengono smascherate le pecche del telecronista. Tuttavia, allo stesso modo, le regie di tutto il mondo hanno dovuto aumentare il numero di telecamere e, soprattutto, il livello di attenzione; per il telecronista, quindi, il lavoro si è semplificato visto che sono aumentati i replay, la precisione delle inquadrature e l’attenzione dei registi. E non sono cose da poco, soprattutto quando devi fare una telecronaca da studio.

Ti emozioni ancora quando fai una telecronaca? A sentirti, sembra proprio di si…
L’emozione credo sia l’elemento più importante. Sono consapevole di fare un lavoro bellissimo, mi sento un privilegiato e il modo migliore per onorare questa fortuna è fare le cose con passione e soprattutto trasmettere questa passione a casa. Nel momento in cui questa emozione si esaurirà andrò dai miei capi a chiedere di fare dell’altro.

C’è una cosa che secondo te un telecronista non deve mai fare o dire?
La rovina principale del telecronista è la prima persona singolare: ascoltate una telecronaca e contate quanti “io” o quanti verbi in prima persona singolari ci sono. Se ne contate più di 5 vuol dire che non è stata una telecronaca ma una conferenza o una dimostrazione, non richiesta, di competenza. E il giudizio non cambia se queste opinioni sono giuste e sensate (ovviamente è meglio se lo sono); semplicemente la telecronaca non è la sede per mostrare quanto ne capisci. La tua competenza da una buona telecronaca esce ugualmente.

Se risenti una tua telecronaca di dieci anni fa, che effetto ti fa? 
Ti accorgi di quanto avevi bisogno di crescere, di quali errori di gioventù commettevi. Ti accorgi anche però di quanto sei cambiato, di quali altre strade hai intrapreso. Devo dire però che risentirmi stimola un po’ di umana vanità e di soddisfazione.

Il telecronista tuo di riferimento o quello che ti piace più ascoltare, senza distinzione di sport…
Io sono cresciuto impazzendo per le telecronache di Sergio Tavcar su Capodistria. E tuttora è un personaggio che mi affascina e che starei ad ascoltare per ore. Detto questo credo di aver tratto un po’ di segreti da tanti telecronisti di diversi sport, cercando però di canalizzare tutto in uno stile mio, facendolo crescere nel modo più spontaneo possibile.