Michele Maggioli si ritira: “Un solo rimpianto, la Scavolini Pesaro…”

Ha esordito in Serie A con la Vuelle, a 19 anni, e poi ha girato mezza Italia facendo spesso la differenza in Legadue.

Qualche giorno fa, a 41 anni, Michele Maggioli ha annunciato il proprio addio alla pallacanestro giocata. Una lettera lunga e accorata ha ripercorso i momenti più significativi di una carriera tutt’altro che banale e spiegato i motivi della scelta. 

L’esordio in Serie A a casa sua con la Scavolini Pesaro nel 1996 e poi tante squadre tra A1 e A2 (Avellino, Siena, Reggio Emilia, Jesi, Virtus Bologna, Imola): lungo di 212 centimetri dotato di mano educatissima, un giocatore che per tante stagioni in Legadue ha fatto la differenza.

Michele. Esisterà un centro tanto bello quanto bravo quanto te, nella storia del basket?
Bello c’è già, perché Jacopo Borra è veramente un bel ragazzo. Bravo probabilmente no, perché il basket è cambiato ma io rimango il migliore.

Spiegaci, una volta per tutte, questa storia di Pecile e di Tekken.
Pec era un fenomeno a tutti i videogiochi, assolutamente ingiocabile. Proposi di provare con Tekken, che conoscevo bene, e infatti lo massacrai. Andrea non la prese bene, si prese il gioco e si chiuse in casa per un mese. Al termine del quale però ci incontrammo e lo massacrai di nuovo. La nostra amicizia andò un po’ in crisi ma poi siamo stati bravi a recuperare e a tornare fratelli.

La partita che ricordi con più piacere.
L’ultima, quella nella quale ho lasciato un segno importante. Parlo della salvezza ottenuta con Imola due anni fa nel derby contro Forlì. Dovevamo vincere per evitare i playout, nei quali probabilmente saremmo stati spacciati. Eravamo sotto di 13 all’intervallo ma alla fine l’abbiamo spuntata, anche grazie a una mia tripla. Un picco emotivo indimenticabile.

Quella che hai voluto dimenticare
Non voglio dimenticare nulla, evidentemente ho già rimosso le cose negative.

Un rimpianto.
In tutte le società nelle quali ho giocato, che le cose siano andate bene o male, ho stretto legami d’affetto straordinari. Mi è successo anche a Pesaro ma sicuramente con la Vuelle non sono riuscito a esprimere tutto il mio potenziale. Probabilmente non era il mio momento,
sentivo troppa pressione su di me. Certo è che a casa mi sarebbe piaciuto giocare come poi ho fatto ad Avellino, a Jesi, a Imola e invece non ci sono riuscito. Peccato.

Questa estate sei arrivato a Capo Nord in moto. La prossima la Patagonia in scooter?
Potrei provarci ma c’è l’Oceano in mezzo. La vedo difficile.

La squadra più forte in cui hai giocato.
La Scavolini 2000/2001, quella di Melvin Booker, DeMarco Johnson, Marko Tusek. E poi ho avuto l’onore di partecipare a qualche raduno con la Nazionale che poi nel 1999 ha vinto l’Europeo a Parigi. Mi chiamò Boscia, ricordo ancora l’emozione.

La cosa più curiosa che ti è successa in tutti questi anni.
Sicuramente questa. Qualche anno fa due signori di Jesi sono stati investiti sulle strisce pedonali e si sono fatti anche molto male. Quando si sono ripresi, hanno chiesto ai figli una mia foto da mettere sul comodino. Neanche fossi Padre Pio. Una cosa incredibile, alla quale ho stentato a credere. Come incredibile è l’affetto che ho ricevuto in questi giorni, ovunque e da persone insospettate. Significa che ho lasciato un bel ricordo e questa per me è davvero la cosa più importante.

Foto Ufficio Stampa Andrea Costa Imola