Froome e Contador: il vincitore dimenticato e lo sconfitto indimenticabile

Froome entra nella storia vincendo Tour e Vuelta nella stessa stagione e Contador entra nella leggenda con la sua ultima vittoria sull'Angliru

La Vuelta 2017 finisce in mano a Chris Froome, che confeziona una doppietta riuscita a pochi nella storia del ciclismo mondiale. Vincere nella stessa stagione Tour e Vuelta è opera di cui solo Anquetil e Hinault sono stati capaci. Il britannico ha vinto quattro maglie gialle, le ultime tre consecutive. Doveva mettere nel carniere almeno un altro giro prestigioso per passare dalla grandezza alla leggenda e l’ha fatto dominando in Spagna, dove c’erano più salite, più che in Francia. Eppure non è amato dalle folle e nemmeno dagli altri corridori. A volte ci sono suoi compagni di squadra che vanno più forte di lui. In sintesi è il vincitore di questa Vuelta che non sarà ricordato, perché la passione dei tifosi e degli appassionati di questo sport risiede dalle parti del cuore molto più che nelle pagine degli albi d’oro.

Poi c’è uno che ha vinto tanto in passato, non senza ombre e non senza macchie, che di vincere l’ultima Vuelta della sua carriera non ha mai avuto una possibilità concreta. L’antitesi di Froome. E’ Alberto Contador, che è andato incontro all’ultimo giro della sua vita con il solo obiettivo di renderlo indimenticabile. Al Tour aveva già capito che altri vanno più forte di lui con le gambe. E vanno su in maniera diversa, con la testa. E’ sfida tra titani degli albi d’oro, appunto, ma è soprattutto contrasto tra il vincitore dimenticato e l’eroe indimenticabile.

Non solo perché a Contador la sua terra ha dedicato celebrazioni e ringraziamenti quasi liturgici ogni giorno per ventuno tappe. Una specie di inchino collettivo, un tour di addio dentro la Vuelta, come capita a pochi grandi campioni nella storia dello sport quando annunciano il ritiro prima di smettere e non subito dopo. Kobe Bryant è stato l’ultimo. Totti lo sarebbe stato, se non avesse contemporaneamente deciso di smettere per sempre senza smettere mai.

Froome e la Sky stanno insegnando al mondo come fare a dominare il ciclismo contemporaneo, che è ancora più avanzato tecnologicamente e strategicamente di quanto sia stato fino a ieri il ciclismo moderno. Metti in squadra gente che farebbe il capitano ovunque, imponi un ritmo insostenibile per gli altri appena la strada va in salita, metti l’uomo che deve vincere la maglia in mezzo a un nugolo di pretoriani che non lo abbandonano mai. E’ paradossale che in questa Vuelta la maglia rossa si sia vista raramente, proprio dal punto di vista cromatico. Era sempre circondata dal nero dei suoi compagni di squadra, tranne nelle azioni decisive. Si potrebbe definirlo ciclismo telecomandato, perché comandano i watt, il controllo del ritmo, i materiali estremi nel telaio e nell’abbigliamento. E’ ciclismo vincente, ma anche criogenico. Alza le coppe, ma non riscalda. E’ anche un ciclismo fotocopia, perché si ripete uguale a sé stesso su qualsiasi strada venga pedalato. Le parole sono importanti e le definizioni anche. Froome sempre più spesso non è considerato il più forte. E’ semplicemente ‘quello con la squadra migliore’.

Contador è il suo contrario perché non è prevedibile. E’ improvvisazione estrema, fantasia al potere, muscoli che esplodono senza rispondere alla testa ma solo all’istinto. E’ ciclismo jazzistico contro il ciclismo da spartito. E’ l’atleta che segue l’ispirazione del momento contro il ciclista che ascolta il suo direttore sportivo dargli informazioni via radio. Lo chiamavano il pistolero perché le sue erano sparate brucianti, dove non te lo aspetti, quando non sarebbe possibile. Come sull’Angliru ieri, unica eccezione a una storia decennale perché tutti, lui per primo, si aspettavano l’epilogo da libri di storia e nessuno è rimasto deluso. Vincere l’ultima tappa di montagna della tua carriera, su una delle salite più spietate del mondo, è impresa e sublimazione di un modo di pensare il ciclismo. Per questo Contador, insieme alle sue ombre macchiate di doping, verrà ricordato probabilmente molto più di quanto sarà ricordato Froome, anche avendo vinto meno. Le definizioni sono importanti e Contador è forte di una forza che gli viene riconosciuta per come interpreta la corsa molto prima di vedere in che posizione la conclude. E’ anche bello da vedere, perché nello sport della fatica più brutale esiste poesia ed eleganza estetica nel modo di pedalare. Froome è efficace ma non bello. Vince ma non cattura lo sguardo. Contador rapisce gli occhi prima che la classifica.

In fondo è soltanto epica, e nessuno sport è epico come il ciclismo. Gli eroi che ricordiamo, da Ulisse in avanti, non sono perfetti. A volte si dopano, a volte esagerano, a volte sono fragili di una fragilità che si può condensare in un solo cognome, Pantani. Ma emozionano. Froome non emoziona mai, anche se essere vincente con gloria, ma senza fama, è comunque un affare per il quale firmerebbero tutti. Quasi tutti. Tranne quelli che oggi si sentono un po’ più soli perché, da domani, un altro di quelli che attaccano in salita dove non te lo aspetti ha incontrato l’unica salita che non si può scalare, quella del tempo che passa.