Froome, il poker al Tour e la versione moderna di Armstrong (forse)

Froome ha vinto il quarto Tour della sua carriera, il terzo consecutivo. Ricorda Armstrong per certi aspetti, ma una differenza fondamentale li separa

Il Tour de France è andato in archivio come una delle edizioni più particolari, e per certi versi noiose, della storia. Poca cronometro, pendenze più ripide, minore dislivello complessivo, mai le montagne nel fine settimana, tante tappe di trasferimento. L’intento degli organizzatori era chiaro, provare a togliere potere a Froome e cercare finalmente di portare Bardet a un successo che alla Francia nella corsa di casa manca ormai dal 1985, epoca Hinault. L’esperimento non è riuscito e Froome ha vinto il suo quarto Tour, il terzo consecutivo. E’ stato il meno scintillante, conquistato senza nemmeno una vittoria di tappa, non succedeva dal 1990 che la maglia gialla arrivasse a Parigi senza nemmeno un successo (capitò anche nel 2006 con Pereiro al quale fu assegnato il Tour sottratto a Floyd Landis, non fa testo). E questa è la storia di un ciclista che il mondo non ama particolarmente e che ricorda per certi versi Armstrong. Vediamo perché.

In cosa sono simili – Entrambi basano la loro stagione esclusivamente sul Tour de France. Per loro non ci sono altre competizioni, altri giri, altre tentazioni. Froome ha un paio di medaglie olimpiche vinte a cronometro, ma lo si vede prevalentemente tra giugno e luglio sulle strade del Delfinato e del Tour con qualche sporadica apparizione accoppiata al podio della Vuelta. Questo genera polemiche, non ultima quella dello stesso Hinault che ha dichiarato che un campione non può definirsi tale se oltre al Tour non vince almeno un Giro d’Italia. Froome e Armstrong sono la versione moderna degli specialisti dei giri a tappe che in maniera diversa vediamo nelle classiche di un giorno e in quelle del Nord. Dal loro punto di vista è conveniente. Uomini come Valverde e Quintana dimostrano che nel ciclismo contemporaneo correre due giri a maggio e luglio e essere competitivi, non parliamo di vincerli entrambi, è impossibile. Ma il ciclismo è fatto di emozioni e per questo la gente si innamora di Sagan, che per indole e poliedricità è il loro contrappunto. Froome e Armstrong sono simili anche per una certa arroganza con la quale trattano gli avversari. La maglia gialla non cita mai per nomi i suoi antagonisti, dice ‘uomini di classifica’. La spallata rifilata ad Aru dopo avere perso la maglia gialla, anche se seguita da scuse immediate, non è apparsa casuale. Inoltre Froome e Armstrong hanno di gran lunga la squadra migliore, dal punto di vista del talento e della tecnologia, che è l’unico modo per vincere Tour in sequenza come hanno fatto all’inizio del millennio e in questo decennio.

In cosa sono diversi – Naturalmente la Us Postal di Armstrong era all’avanguardia soprattutto nella tecnologia del doping e ha generato la più grande truffa sportiva nella storia del ciclismo. La Sky di Froome ha portato a un nuovo livello di tecnologia la preparazione e la gestione di una corsa dura come il Tour. Lavora in esclusiva con Pinarello, al contrario di quello che succede a tutti gli altri fornitori di biciclette, e ha generato polemiche nella crono di Dusseldorf per il body che la Castelli ha fornito con imbottiture aerodinamiche che potrebbero avere fatto la differenza in una gara decisa per meno di un minuto sul traguardo di Marsiglia. E’ un dato di fatto che Froome quest’anno ha vinto perché i suoi compagni (Landa, Kwiatkowski su tutti ma anche Henao e Thomas) avrebbero fatti i capitani in qualsiasi altra squadra e hanno prodotto un ritmo insostenibile per chiunque altro. Rispetto ad Armstrong è meno scalatore puro e con il tempo la sua efficacia in salita si è ridotta. Più dell’americano va forte a cronometro che, dati alla mano, è dove ha vinto il suo terzo Tour consecutivo.

La grande differenza – Più del resto, sono diversi nella percezione che ne hanno tifosi e addetti ai lavori. Prima che l’inganno venisse alla luce Armstrong era l’idolo degli sportivi e di coloro che credevano che la malattia potesse essere sconfitta senza perdere competitività ai massimi livelli. Era un supereroe. Froome non è diventato idolo nonostante quattro Tour vinti, il che lo mette nella storia dietro soltanto a Anquetil, Merckx, Hinault e Indurain. Perché il suo modo di correre, insieme alla Sky, non entusiasma. Lo si è visto quasi sempre circondato dai compagni di squadra, raramente scattare, quasi sempre rispondendo agli attacchi di Bardet, andando in difficoltà contro quelli di Aru e la storia sarebbe stata diversa se il sardo avesse avuto non una squadra, ma appena un paio di compagni in grado di stare con lui nelle azioni decisive. Ha perso la maglia gialla in salita e l’ha conquistata a cronometro, paradosso di un Tour dove le tappe contro il tempo sono state ridotte all’osso nel chilometraggio e sono risultate comunque decisive per la classifica. E’ un modo di correre monotono, anche se efficace, che non accende la fantasia. Non la accende nemmeno quando scende dalla bici. Un tempo le sue azioni in salita, le frullate sul Ventoux nel 2013, divennero argomento di polemiche e studi biomeccanici. Oggi non è in grado di staccare gli avversari quando la strada si impenna. Se vuole raggiungere le leggende del Tour a quota cinque vittorie, dovrà inventare una nuova strategia o sperare che il disegno del prossimo anno sia ancora favorevole a lui. Ma nel ciclismo non si inventa niente. Nemmeno la fantasia, se uno non ce l’ha.