Sky lascia il ciclismo nel 2019, passo fisiologico o segnale di crisi?

Sky, che ha dominato i grandi giri a tappe nelle ultime stagioni, lascerà il ciclismo a fine 2019. Passo fisiologico e segnali di crisi per il movimento?

Te ne devi andare quando sei in cima, sul podio con tutti gli altri sotto, quando puoi scegliere e non quando i risultati decidono per te. E’ una regola aurea dello sport, e della vita, che in pochi riescono a rispettare. Campioni che non riescono a dire basta con il titolo appena messo in bacheca, che a volte non riescono a dire basta nemmeno dopo avere smesso una prima volta. Da Michael Jordan in giù, tutti divorati dal tarlo della competizione.

A volte succede pure con chi i campioni li paga e paradossalmente non avrebbe addosso l’ansia del tempo che toglie smalto ai muscoli. Così è successo la settimana scorsa di sapere che Sky, dominatrice dell’ultima epoca del ciclismo con i Tour de France vinti in serie, sarà nel 2019 alla sua ultima stagione nel ciclismo di vertice. Sky è sinonimo di progetto ed eccellenza, programmazione e avanguardia tecnologica. Dave Brailsford una manciata di anni fa si mise in testa che la Gran Bretagna doveva diventare un’isola ciclistica e lo immaginò quando ancora la bici e l’isola venivano associate al massimo a Tom Simpson, la prima vittima moderna del doping stroncato sul Ventoux nel 1967 da un caldo troppo più forte di lui e degli intrugli che aveva assunto per superarlo.

Sky è diventata simbolo del ciclismo che conosciamo così come i suoi corridori britannici sono diventati vincitori seriali di maglie gialle. Bradley Wiggins, Chris Froome, Geraint Thomas. Hanno inventato il ciclismo dei pretoriani, il che viene più facile se hai un budget quasi doppio rispetto alle altre squadre, assumendo gente che altrove avrebbe fatto il capitano a fare da gregari ritmi impossibili per tutti gli altri. Si sono spinti in là con i materiali, da Pinarello a Castelli, sono detentori del copyright del ciclismo programmato, tutto watt e cadenza, che secondo i più critici toglie fantasia e gioia a uno sport di fatica e improvvisazione. A volte anche con zone ombrose, alcune anche con contorni pericolosamente reali, vedi la vicenda doping di Froome iniziata nel 2017 e conclusasi con molto clamore con un’assoluzione.

Poi proprio Froome all’ultimo Giro è uscito dallo schema, inventandosi la fuga impossibile sul Colle delle Finestre, e forse quell’azione dell’uomo a cui un’azione del genere non doveva appartenere è la sintesi, l’ultima fotografia di una squadra che ha inventato il ciclismo nuovo e il suo campione più pregiato ha inventato la magia solitaria che proprio non doveva appartenergli. Sky se ne va e lascia con una marea di vittorie, un monopolio al Tour spezzato solo da Nibali nel 2014, quasi sempre nei giri a tappe più che nelle corse di un giorno, più difficili da controllare e da maneggiare.

Sky lascia, la squadra resta con l’obiettivo nel 2019 di vincere per trovare altri sponsor, che non dovrebbero mancare visto che sotto contratto ci sono Froome, Thomas, Moscon, Bernal. Presente e futuro del ciclismo. Però quando un colosso se ne va, ci si domanda come mai. A Sky se ne vanno da campioni, ma la sensazione è che la vicenda Froome e la storia di doping chiarita ma non chiarita abbiano inciso, così come esiste la conferma che fare ciclismo e investire milioni e vincere è possibile ma non all’infinito, non in questo momento storico. Tanti grandi marchi del passato hanno lasciato, ma raramente mollando lo scettro nel momento in cui era saldamente nelle loro mani. Che sia una crisi o un passo fisiologico lo vedremo successivamente, il primo impatto non è mai positivo per il movimento perché un sisma è la conseguenza di un’inquietudine viscerale e interiore della quale il ciclismo ha sempre fatto una compagna sgradita ma inseparabile. Il 2020 si preannuncia gustoso, perché uno scettro posato a terra chiede qualcuno che lo raccolga. Forse, stavolta, partendo da un budget più simile tra le varie squadre.