Stefano Valenti a cuore aperto: Superbasket, la Nazionale e ora la moderna LNP

Per tanti anni è stato una delle colonne di Superbasket, il settimanale specializzato della pallacanestro italiana. Ora è il Responsabile della Comunicazione della seconda lega nazionale.

Ho avuto la fortuna di lavorare nella stessa redazione di Stefano Valenti per circa sette anni, a Superbasket. Le prime (sacrosante) cazziate le ho prese da lui: preciso a livello maniacale, quando scrissi che Laura Macchi era una guardia avrebbe voluto incenerirmi. Avevo raccolto il suo testimone come responsabile delle Femminile, era un mondo che Stefano amava e dal quale era rispettato. Non tollerava inesattezze. Insomma, da Stefano Valenti ho imparato molto.

Ora è il Responsabile della Comunicazione della LNP, la seconda lega nazionale. E da lui continuo a imparare…

Giornalista per tanti anni a Superbasket e da cinque anni Responsabile Area Comunicazione LNP. Cambia tutto. Quanto è stato difficile il salto?
Più che difficile, stimolante. Complesso, certo. Con l’obiettivo di sfruttare le mie conoscenze da operatore dei media tradizionali, avendo iniziato con la radio poi la tv poi i quotidiani ed i periodici, per rendere un’Area Comunicazione adeguata alle esigenze dei Media odierni. In una fase di forte trasformazione. Sia per l’avvento del mondo digitale, sia perché la tipologìa di chi scrive, racconta, giudica, critica la pallacanestro è molto più variegata. E meno strutturata nel percorso di formazione, non volendo farne una critica, ma un’analisi. La prima è a volte una scorciatoia, la seconda costa tempo e studio. E lo si vede anche nei contenuti”.

Gli anni di Superbasket. Direttori diversi, colleghi diversi, una pallacanestro diversa da raccontare. Cosa ti porti dentro?
Una vita. Come può essere aver raccontato dalla Serie A1 femminile, fondamentale palestra di giornalismo, fino alle Olimpiadi. In mezzo, ho visto la declinazione di tutta la pallacanestro, sui campi, viaggiando. Il viaggio ti dà la possibilità di incontro, l’incontro è la base della conversazione faccia a faccia, la conversazione è la conoscenza. E questo ha ampliato enormemente il mio bagaglio. Oggi siamo alle interviste virtuali, agli inviati su campi dove non sono mai stati. Capisco le complessità e la crisi economica, ma posso dire che non mi piace. Perché a chi legge va data qualità e certezza dell’informazione. Ai miei direttori va il grazie per avermi dato spazi, fiducia e responsabilità. Vedendo cosa circola oggi, ringrazio Enrico Campana, il mio primo a Superbasket, per aver fisicamente cestinato tre volte un mio pezzo indecente su Toni Kukoc. Che alla fine fu pubblicato “…solo perché dobbiamo chiudere ed abbiamo la pagina vuota”. Iniziai ad imparare il mestiere da lì. Ecco, oggi non viene cestinato più nulla. Ai miei colleghi di una redazione, vera, va il mio grazie per aver sopportato il mio pessimo carattere”.

LNP: devi trattare una lega che va dalle metropoli ai piccoli paesi. Opportunità e criticità.
Dal 2014 in poi il campionato di A2 ha visto iscritte Fortitudo e Virtus Bologna, Treviso, Siena, Rieti, Forlì, Udine. Non era obiettivamente ipotizzabile. Tutto questo ha per certi versi aumentato la forbice con realtà meno storiche della pallacanestro, in un torneo a 32 squadre, unico in Europa. E’ altrettanto vero però che ha “costretto” tutti a prendere coscienza della situazione. E noi abbiamo spinto sull’opportunità dell’esserci, in un momento in cui il torneo avrebbe goduto di una visibilità inattesa. Ho visto Società prive di un passato illustre fare grandi passi e con una splendida disponibilità per mettersi al passo di un secondo torneo nazionale di questo livello. Ho visto ragazzi e ragazze in gamba lavorare come pazzi, alcuni fare carriera. Anche altrove, e dico purtroppo se è lecito. Mi piacerebbe che i Club avessero più coscienza che quando si scovano qualità, queste vanno incentivate. Troppi, bravi, lasciano i Club. La comunicazione, che è il megafono di tutte le attività svolte, merita più attenzione ed investimento di risorse. Più del dodicesimo giocatore, a mio parere. E forse pure dell’undicesimo”.

Dove sta andando la LNP, in termini di Comunicazione?
“Dove i tempi di grande rivoluzione nel modo di comunicare, frenetico con rischi annessi, la stanno portando. I capisaldi di una carriera si stanno sgretolando, ma ho vicino collaboratori più giovani, pensavo di poter essere io una guida per loro ma lo sono loro per me. Credo che dal primo giorno di lavoro nella nuova LNP, nell’estate del 2013, l’evoluzione sia stata enorme, con l’obiettivo di intercettare al più presto i nuovi media, adeguando il sistema alle esigenze. Ma al tempo stesso convinto che alcune cose del passato vadano salvaguardate. Su tutte la riconoscibilità e l’attendibilità della fonte. Noi siamo riconoscibili e dobbiamo essere attendibili, la Lega è un’istituzione e come tale deve saper comunicare. Sfruttando le nuove opportunità e con altrettante ovvie limitazioni, detto senza ipocrisie. Poi ho provato a metterci dentro un po’ del mio percorso, inserendo contenuti giornalistici in un progetto editoriale. Cercando di rispondere alle domande di cosa un giornalista si attende da una Lega, con l’obiettivo di non lasciarle insolute. Tra queste, un contatto diretto che cerco mai di negare. In primis a chi lavora per i Club, rigettando quell’etichetta di addetto stampa che non sopporto: ormai sono veri e propri specialisti della nuova comunicazione a 360°: foto, video, banner, il digitale, il web, oltre ai comunicati. E poi ci sono i rapporti con i media che sono dall’altra parte. Con l’obiettivo di togliere la barricata, pur nel rispetto dei ruoli”.

La vostra offerta del campionato di A2 su piattaforma di webtv è stato il marchio di fabbrica del nuovo corso.
Una esigenza, perché restiamo un secondo campionato nazionale e di conseguenza con attenzione non primaria delle emittenti televisive tradizionali. Ma anche una necessità per un torneo che anno dopo anno si è arricchito della storia della nostra pallacanestro. Senza la piattaforma web, e con le difficoltà delle emittenti locali, il torneo non avrebbe avuto visibilità. Abbiamo iniziato con le prime dirette web monocamera da Ravenna, ospite Roseto, nel novembre 2013. Siamo arrivati a produrre l’ultima Final Eight di Coppa Italia in HD, quadricamera, con replay, highlights ed interviste pre e postgara ad uso esclusivo dello streaming per i nostri abbonati. Abbiamo incontrato tante difficoltà, tante ne abbiamo superate, un altro passo evolutivo è allo studio. Ci siamo trovati a dove gestire 16 dirette simultanee e 480 dirette solo di stagione regolare. Un numero che nessun altro campionato deve saper sostenere. Devo ringraziare i vertici di LNP che mi hanno voluto e poi confermato e che in questi anni hanno sposato il progetto, ci hanno creduto ed hanno investito. Quando parli di televisione lineare, cioè tradizionale, devi rispettarne le logiche: giorno, orario, selezione delle gare. Lo streaming invece è il sistema più democratico, perché ci ha permesso di mostrare, in diretta, una sfida tra ultima e penultima. Dando a tutte le squadre identica dignità indipendentemente da nome, storia, denari e bacino d’utenza. Quando abbiamo iniziato, in Europa c’erano in tutto cinque piattaforme similari nel basket: ACB spagnola, LNB francese, Bundesliga tedesca, VTB e noi di LNP. Ma non avevamo operatori di telefonia o grandi partner alle spalle. Ed a seguire, in Italia, sono arrivati il volley di A1 maschile e la Lega Pro, per fare un esempio. O la pallanuoto, quando ha visto gli spazi tv ridursi. E sarà sempre di più così”.

Parigi. Atene. Stoccolma. Quale partita/evento che hai raccontato da bordo campo ancora ti fa battere il cuore?
La Nazionale fa sempre battere il cuore. La femminile dal 1995, la maschile l’ho seguita per quattordici anni, dai Mondiali del 1998 agli Europei del 2011. Ed il cuore batte forte anche nelle difficoltà. Però sono stato fortunato, perché ho potuto raccontare due Olimpiadi e soprattutto tre medaglie. Sarebbe facile, ed onesto, dire Parigi 1999 ed Atene 2004, anche perché fu possibile restituire sfottò sparsi con i colleghi stranieri, vedendoli via via uscire dalla competizione. Mentre tu sei quello “dell’ultima partita”. Ma a Bercy ed OAKA Tanjevic e Recalcati avevano messo assieme squadre che giocavano col pilota automatico, in quei giorni c’era attorno una fiducia incrollabile anche nel fisioterapista. Se parliamo di emozioni legate a quei due eventi dico Italia-Russia, con un Andrea Meneghin dominante nella gara che ci diede il ritorno alle Olimpiadi, 16 anni dopo Los Angeles; e ad Atene, ovviamente, l’inarrivabile Italia-Lituania, Basile, Galanda, Pozzecco che dice “e stasera ho difeso!”. Ma di lui scrissi altro. Però l’emozione più forte la vissi agli Europei del 2003 in Svezia. Una squadra che aveva perso il talento di Myers, Fucka e Meneghin, che a Lulea rischiò l’eliminazione al primo turno, che a Norkoepping buttò fuori la Germania di Nowitzki nello spareggio secco, che a Stoccolma fece fuori nei quarti la Grecia fin lì imbattuta. E nella finale per il bronzo la vittoria in rimonta sulla Francia di Parker e Diaw, per un posto alle Olimpiadi di Atene. Prima della gara un collega greco, Vassilis, mi diede la cravatta ufficiale dei Giochi 2004. A fine partita la regalai a Giacomo Galanda che ci fece tutte le interviste. Indossava un simbolo unico nella storia dello sport. E non sapevamo ancora cosa sarebbe successo l’anno dopo”.

Hai vissuto in prima persona Cata Pollini, ora hai intravisto Cecilia Zandalasini. A parte che sono nate tutte e due il 16 marzo, percepisci la stessa “onnipotenza” cestistica?
“Ho avuto la fortuna di condividere anni di basket femminile con squadre italiane di altissimo livello e che dominavano in Europa. Nel 1997 fui inviato a Houston per raccontare la prima finale WNBA della storia, con le Comets impegnate contro New York. Vivendo quell’esperienza al fianco di Catarina. Lei è sempre stata l’esempio della giocatrice di talento ed eclettica, lunga di 1.95 che sapeva giocare anche fronte a canestro. Non conosco Cecilia, l’ho vista in campo, ne riconosco la naturalezza dei gesti sul solco delle Zara e Bonfiglio, ed il talento da giocatrice dei suoi tempi. Che sono diversi. Se il suo fuoco non si spegnerà, come sta dimostrando col Club, in Nazionale e con le Lynx, spetterà solo a lei decidere quando smettere… Fuori, mi piace il suo modo di porsi, ciò che dice e come lo fa”.

Il tuo talento cestistico lo sta dilapidando tuo figlio, che ha scelto il calcio. Lo diseredi?
“Ha capito presto che non avrebbe saputo pareggiare le qualità di tiratore del padre, preferendo di conseguenza evitare il confronto. Spero che la sua scelta sportiva renda ricco lui e quindi la famiglia, concedendomi una chance di pensione. La madre curerà il marketing, io la comunicazione, la sorella i social. Quanto allo sport, l’importante è che ne faccia, sempre, meglio se di squadra. Sulla disciplina scelta, gli sport si dividono in civili ed incivili: i primi, se hai una partita la domenica alle 10, si gioca. Gli altri invece ti possono far alzare alle 7 della domenica, andare al campo alle 9 e vedere la gara rinviata perché piove”.

Foto Archivio Privato Giancarlo Migliola