Gianluca Quarta: Assistente? VideoAnalista? No, l’Altro di cui non puoi fare a meno

Le trascurabili esperienze da giocatore, la passione per la panchina, il rapporto con Marco Crespi, la magica notte di Boras, l'orgoglio salentino.

Gianluca Quarta non è solo un eccellente allenatore, un maestro della Match Analysis, un professionista esemplare. Gianluca Quarta è “Altro”. Straordinario valore aggiunto di qualunque staff abbia la fortuna di averlo al proprio interno. A Brindisi e con la Nazionale Femminile di Marco Crespi.

Quando e perché hai deciso che avresti allenato?
Sul “perché” non credo di poter offrire una motivazione precisa. Il mio rapporto con il basket è stato molto particolare sin da giovane giocatore. Non un’ossessione dichiarata, ma latente, continua. Mio padre guardava le mie partite giovanili distrattamente e non mancava, al termine di ognuna di ricordarmi di vivere il basket in maniera spensierata. Allo stesso tempo mi diceva, ironicamente: “Studia, altrimenti diventi professore!”. No so, questo contrasto sento che qualcosa abbia contato, anche se non saprei dire in che modo. Ho iniziato ad allenare quasi per caso in una piccola società di Lecce, provincia non particolarmente nota per motivazioni cestistiche. Un caso che va avanti da circa vent’anni ormai, avendo smesso di giocare prestissimo per un infortunio al ginocchio. Non so quando e perché, ma sento di aver dovuto studiare molto per diventare allenatore, questo sì. L’ho fatto sempre con gioia e passione continua, altrimenti forse “sarei diventato professore”.

Diverse leggende metropolitane ti raccontano grande schiacciatore, in campo…
Più che leggende metropolitane direi verità da “Provincia cronica”, per citare i Baustelle. Avevo grandissime doti atletiche, confermo senza timore di smentita alcuna. Fornisco, per chi fosse interessato, come già fatto con Marco Crespi e Matteo Panichi, increduli durante una bianca e fredda serata svedese, il numero di telefono di mio ex compagno di squadra per conferma. Vi parlerà dello “Sconochini-del-Campo-Coni-di-Santa-Rosa-di-Lecce”.

Il tuo rapporto con Marco Crespi
Ho conosciuto Marco nell’estate del 2015. Ricordo di essere partito in treno da Lecce per pranzo/colloquio con lui a Bologna e di essere tornato con altro treno nello stesso pomeriggio. Cercava un assistente per Verona. Ricordo benissimo la sua serietà nel parlarmi, ma soprattutto la sua attenzione e il profondo rispetto nell’ascoltarmi. Da lì in poi il nostro rapporto è cresciuto e maturato giorno dopo giorno, e ancora oggi, dopo 4 anni, riconosco ancora quella serietà, attenzione e profondo rispetto nel confronto reciproco. Un rapporto che, ormai, va oltre il basket, ma che nel basket ha le sue solide radici. Marco è una persona che trasmette continuamente energia, passione. E’ in continua evoluzione ed ha il desiderio costante di migliorare ciò che lo circonda. Una fortuna, quindi, lavorare con lui. Sento di conoscere i suoi tempi e le sue visioni, come lui riconosce i miei. Questo è per me motivo di enorme gratificazione.

Hai già avuto esperienze con le Nazionali Giovanili, ora la Senior Femminile. Come la vivi?
Due esperienze molto differenti sul piano dei contenuti tecnici, ovviamente, ma uguali sul piano dell’emozione. Vestire la maglia della Nazionale è privilegio e responsabilità. Sentire l’inno della tua Nazione sapendo che stai per iniziare una partita in cui La rappresenti è una sensazione non descrivibile. Un sogno che ogni volta si avvera per tornare a essere sogno.

L’arte della Match Analysis al servizio della squadra. Raccontaci come funziona.
Per ciò che riguarda la preparazione della partita è un lavoro continuo di ricerca, raccolta e selezione dati. Si parte dallo studio delle immagini dell’avversario (team o giocatore) non tanto e non solo per avere idea di quello che fa, quanto per cercare di capire come attaccarlo e come difendersi dai suoi attacchi ed avere una visione di cosa farà come reazione alle nostre scelte offensive o difensive. Si lavora quindi su diversi livelli (individuale, di visione di squadra e di previsione di scelte) ed in maniera coordinata con il capo-allenatore e lo staff tecnico. La raccolta dati, precedente alla fase di programmazione tecnica, è di supporto iniziale alla stessa. Il video che arriva alla squadra è notevolmente ridotto. Se la prima è una fase più quantitativa, nella seconda si lavora sulla qualità. E’ necessario cercare poche immagini ma essenziali ed efficaci per fornire istantanee che siano flash di supporto alle giocatrici per affrontare la partita o l’avversario di turno. Parlando del post partita si analizzano le perfomances individuale e le situazioni che hanno o meno funzionato per programmare sia il lavoro immediatamente successivo sia il lavoro più a lungo termine. Dovessi paragonarla ad un arte, per rispondere alla domanda, direi che è arte della maieutica applicata alle immagini. E’ l’arte del far “parlare le immagini”.

Quanto è gratificante vedere che in campo succedono le cose che hai studiato?
E’ una sensazione molto gratificante, ovviamente. Come sosteneva Galilei “non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono”. Per dare forza ad un’immagine, quindi, che mostriamo, essa deve avere un significato, un senso, una direzione. Deve accordarsi con la complessità del gioco, semplificarne la visione e direzionare l’attenzione su dettagli significativi, siano essi individuali o di squadra. Vedere che funziona nobilita quel lavoro, all’apparenza freddo e routinario, perché lo colloca all’interno di un meccanismo più ampio rendendolo strumento di senso e non semplice strumento di fredda riproduzione.

Un ricordo della serata di Boras
Franco Bolelli, filosofo pop, in un suo recente libro sul rapporto tra sport e dimensione individuale dell’uomo, ha messo in relazione lo sport con l’epica. Ciò che dello sport si ama è la sua dimensione epica, di impresa. Più che un ricordo ho una sensazione netta, fisica, un pensiero che è festa anche per i muscoli, per dirla alla Nietzsche. La sensazione, cioè, di star vivendo qualcosa che era già “impresa” mentre la si stava giocando. Impresa nel senso epico del termine. Le ragazze sono state incredibili e tutto è sembrato accordarsi in maniera perfetta. Ci sono partite che ti lasciano un ricordo speciale. La partita di Boras per me è una di quelle.

Off Topic. Il Salento, una terra straordinaria e il privilegio di viverla…
Il Salento è un’isola, senza nemmeno esserlo, “da sempre magnifico, religiosissimo bordello”, come ha scritto Carmelo Bene. Il Salento è incontro, di mari, di culture, di venti e meraviglie. E’ tacco e punta, è piede che cammina S(tr)alento, ma che mai si ferma. Il Salento è una terra che non si riesce a non amare. E’ veramente un privilegio poterci vivere.

Foto Ufficio Stampa Federazione Italiana Pallacanestro