
Non conosco bene Paola Ellisse ma la sua voce ha fatto parte della mia vita negli ultimi venti anni. Campionato italiano, Eurolega, NBA o NCAA, mai una sbavatura nelle sue telecronache. E invece sempre uno spunto curioso, una sottile auto-ironia, la capacità di andare oltre il fatto sportivo. Intervistarla è stato un privilegio per me. Un vero privilegio. Dalla qualità delle riposte capirete perché.
Giornalismo: una passione/mestiere che nasce come e quando?
Una passione soprattutto, che si applica al mestiere, e che nasce per puro caso. Alla fine degli anni 80 ero soltanto la moglie di un giocatore di basket che viveva a Caserta e si annoiava da morire, e grazie al GM Piero Costa cominciai a lavorare in una tv privata. Non avevo esattamente un ruolo ma mi divertivo tantissimo. Poi, per varie combinazioni che sarebbe noioso raccontare, sono finita a Tele+, e lì ho cominciato a fare sul serio. Ascoltando Flavio Tranquillo, Claudio Arrigoni e Federico Buffa sentivo il loro divertimento nel fare le telecronache, e chiesi di fare una prova. Il giorno successivo la mia prova era in onda… e il resto è storia.
Quanto tempo ti occorre per preparare una telecronaca?
Il più possibile! Scherzi a parte, con tutto quello che puoi imparare su giocatori, schemi, storie e statistiche servirebbe una settimana. In realtà dipende da quale tipo di partita devi preparare. Se, come facevo lo scorso anno, segui un paio di campionati come l’italiano e l’Euroleague, dopo qualche settimana cominci a conoscere abbastanza bene le squadre, quindi devi solo aggiornarti su numeri e novità. In più hai la possibilità di parlare con gli allenatori prima della partita, quindi sei più “dentro” le cose. Diverso è per il college, dove difficilmente fai due volte la partita di una determinata squadra, quindi ogni volta è come se fosse la prima. Per fortuna esiste Synergy, che ti offre dati e immagini su cui lavorare….
L’importanza della spalla tecnica. Quanto è importante per te l’empatia con la seconda voce?
Fondamentale! E anche facile, devo dire. Sai, si parte sempre dall’avere una passione in comune, un linguaggio con il quale ci comprendiamo al volo. Ho lavorato con tanti “compagni di banco”, dall’esordio con Federico Buffa all’ultima commentata con Fabrizio Ambrassa. Tutti diversi tra loro, dalla scanzonatezza di Andrea Meneghin alla dolcezza di Hugo Sconochini, dall’umorismo di Franco Casalini alla serietà di Matteo Soragna al perfezionismo di Marco Crespi. Ma con tutti mi sono trovata benissimo. Ovviamente sempre uomini, ma quando fai un mestiere che è sempre stato territorio maschile devi aspettartelo. È importante avere a fianco qualcuno che ti faccia sentire tranquilla, qualcuno con cui, prima della partita, condividi le idee sulle squadre, provi a prevedere le incognite, le mosse. Un po’ come se fosse la riunione tecnica dei coach! E quando si alza la palla a due mi sento sempre così, a mio agio e sicura che il mio partner sia pronto ad aiutarmi per rendere al meglio il racconto.
La sensazione è che ti emozioni ancora molto quando fai una telecronaca: vero?
Sai, forse mi emoziono addirittura più di prima. Forse perché invecchiando ho imparato a godere al massimo di quelle cose che ti offrono adrenalina e gioia, ma quando parte il conteggio in cuffia divento elettricità (cit. Billy Elliot…) e non penso ad altro che a vivere quel momento, quell’emozione.
Sei tornata a commentare il College Basketball. Il primo amore…
E il primo amore non si scorda mai, anche se ti confesso che ero un po’ spaventata all’idea di tornarci dopo tanti anni. Il College è un pianeta a parte, temevo di non essere più in grado di raccontarlo, di prepararmi a dovere. Ho vissuto la prima partita come se fosse un nuovo debutto, terrorizzante e bellissimo! E l’amore è tornato, più forte di prima.
La telecronaca che ricordi con più piacere e quella che vorresti dimenticare
Il ricordo più piacevole non riguarda una partita, ma un pick and roll con Marcus Camby che segna, la prima azione in assoluto che abbia mai commentato. È impressa nella mia mente, in uno di quei cassetti della memoria che nessuno potrà mai aprire per derubarmi. E vorrei riuscire a dimenticare tutte quelle volte in cui, conscia di aver fatto una cattiva telecronaca, mentre tornavo a casa in macchina continuavo ripetermi che sono un’idiota….. ma purtroppo anche quei momenti sono indelebilmente fissati nella testa.
La cosa più divertente che ti è successa nel corso di una telecronaca.
Olimpiadi del 2000, Vince Carter posterizza Weiss con una delle schiacciate più pazzesche della storia del gioco. Io e Federico cominciamo ad urlare saltando come pazzi sulla sedia nel commentarla, un momento unico. Invece no, l’unicità finisce nel momento in cui ci dicono che la registrazione è fallita e dobbiamo ripetere. La seconda volta in cui commentiamo la schiacciata è comunque entusiasmante, perché trattavasi di autentico capolavoro. Ma c’è un altro problema, e dobbiamo rifare. Non ti dico quanto è stato difficile mettere il giusto entusiasmo in una cosa che vedevamo per la terza volta in poche ore…..
L’evento che hai seguito dal vivo e che non dimenticherai mai…
Caspita, difficile scegliere. L’oro di Parigi, il bronzo di Stoccolma, la finale dell’instant replay, le Final Four NCAA in giro per gli Stati Uniti…. E di sicuro dimentico qualcosa. Ma forse la più indimenticabile non riguarda il lavoro: la finale di Losanna nel 1987, quando l’Olimpia sconfisse il Maccabi. Ero lì come semplice moglie/tifosa, ma ricordo di essere passata, dopo la partita, davanti allo spogliatoio del Maccabi ed aver visto i volti degli sconfitti. Quel momento mi ha insegnato a pensare che c’è sempre qualcuno che deve perdere perché un altro possa vincere, e che quel qualcuno merita ancora più rispetto dei vincitori.
Sei cresciuta dicendo “Un giorno io…”
Farò la ballerina! Ho frequentato la scuola della Scala per cinque anni, e il mio sogno era quello di ballare. Ma non ero abbastanza brava, quindi mi hanno bocciata. Tutto sommato, anche se la danza rimane una grande passione incompiuta, le cose mi sono andate comunque benissimo, che ne dici?
C’è una cosa che secondo te un telecronista non dovrebbe mai fare/dire?
Credo che, semplicemente, non si debba mai smettere di usare il buonsenso, usando ovviamente un linguaggio pulito e grammaticalmente corretto, dato che sono convinta che chi fa il mio mestiere debba rispettare la lingua sia scrivendo che parlando. Ovvi anche l’imparzialità, anche se tutti ci accusano regolarmene di tifare per questa o quella squadra, e il rispetto per il lavoro di tecnici, giocatori e arbitri. Mancare di rispetto ad un singolo esponente sarebbe come insultare il Gioco.
Il telecronista tuo di riferimento/quello che ti piace più ascoltare, senza distinzione di sport…
Elena Pero. Ha la capacità di raccontare il tennis con competenza assoluta. Ammiro la sua voce e la capacità che ha di usarla con la giusta misura. Vorrei imparare ad avere il suo equilibrio, ma temo sia un po’ tardino….
Se non avessi fatto la giornalista…
Avrei vissuto di tutù e scarpe da punta, oppure, più verosimilmente, avrei fatto l’istruttrice di sub alle Maldive. Ma sono felice così, non cambierei la mia vita per nulla al mondo.
La tua intervista a Michael Jordan, hai 10.000 battute per raccontarci le emozioni
Non so se 10.000 battute basteranno! O forse ne bastano 15: indimenticabile.
I tetti di Parigi, la torre Eiffel sullo sfondo, una di quelle giornate in cui la luce è speciale. E poi LUI. Per un miracolo ottenuto da Elisa Guarnieri mi avevano concesso una one-to-one, permessa solo alla tv di Stato francese oltre che a noi. Mentre aspettavamo che i colleghi francesi finissero Giovanni, il nostro operatore, aveva le mani che tremavano dall’emozione e faticava a montare la camera sul treppiede. E non ti dico come tremavano le mie. Un gruppo di ragazzine urlava il nome di MJ. Ci avviciniamo, stretta di mano bella decisa, sorriso. Gli dico che per me è un privilegio incontrarlo, e lui si mostra debitamente imbarazzato, anche se so che ha sentito quelle parole milioni di volte. Fa una battuta di spirito. Ridiamo. E io penso che sono a Parigi a farmi quattro risate con Michael Jordan. E non sto sognando. Per sapere cosa avesse detto nell’intervista ho dovuto riguardarla la sera, da tanto ero emozionata nel pensare che lui era Michael Jordan, e stava rispondendo alle mie domande! Faccio fatica a descriverti l’emozione, era come aver tagliato un traguardo inimmaginabile e allo stesso tempo mi sembrava la cosa più normale del mondo; posso solo dirti che non ho smesso di sorridere per molti giorni al pensiero di quei 15 minuti sui tetti di Parigi. Ora il mio screenshot è una foto di MJ nei cui occhiali da sole sono riflessa, con il microfono in mano e un’espressione di ebete beatitudine in faccia. E ti confesso che ho registrato lo speciale e ogni tanto me lo riguardo, e rivivo esattamente le stesse emozioni. Bellissimo.
Negli ultimi 20 anni è cambiata di più la pallacanestro o il mestiere di chi deve raccontarla?
Entrambe le cose. La pallacanestro è molto più veloce, fisica. C’è un atletismo che 20 anni fa ce lo sognavamo! Non mi piacciono le critiche di chi dice che si giocava meglio allora, credo che si debba andare con i tempi, credo che il passato, come mi disse una volta Tanjevic, sia solo una foresta di pietra su cui nessun uccellino può più posarsi. Il basket è diverso inutile vivere di nostalgia. E il mestiere si è adeguato. Ora tutti hanno la possibilità di accedere ad ogni tipo di informazione, quindi chi fa il mio mestiere deve approfondire ancora di più per cercare di dare qualcosa che non sia già stato pubblicato su mille siti o mille social. Non è facile, ma è stimolante. E rimane il lavoro più bello del mondo!