Le Azzurre al Mondiale? Bene, si torna a parlare di Nazionale “Maschile”

Se ieri avete giudicato esagerata la festa delle Azzurre e le lacrime spese in panchina, sappiate che arrivano da anni di trascurata applicazione quotidiana, con in testa un obiettivo, un’idea, una missione.

Tra i tanti meriti della Nazionale Femminile di calcio che ieri sera si è guadagnata l’accesso al Mondiale 2019 ottenendo la settima vittoria consecutiva contro il Portogallo, ce n’è uno che pochi avranno notato.

Quello di aver indotto spontaneamente i vertici della Federcalcio a parlare della Nazionale aggiungendo l’aggettivo “Maschile”, quando normalmente gli Azzurri sono semplicemente la Nazionale. Ve lo dice uno che da undici anni ha la fortuna, l’onore e il privilegio di raccontare le gesta della Nazionale Femminile di pallacanestro. Avendo ben presente che rispetto al comparto Maschile abbiamo a che fare con un micro-cosmo in termini di appeal, indotto economico e interesse medio del pubblico.

Poi però succede, come è successo ieri sera alla splendida squadra di Milena Bertolini e in passato alle Azzurre di pallavolo e pallanuoto, di ottenere un grande risultato e allora immediata la prima considerazione spesso è quella che ti rapporta all’omologa squadra Maschile. “Giocassero anche gli uomini, col cuore di queste ragazze”. Inevitabile lo so, ma fastidioso, perché per esperienza diretta posso dire che il valore più importante di una squadra e di una squadra al Femminile in particolare è la propria dignità. E se non volete scomodare parole troppo ingombranti, possiamo parlare di identità. Individuale e poi di gruppo, applicata quotidianamente in ogni giorno di lavoro collettivo.

Che in palio ci sia la finale di Eurolega o la qualificazione alla fase finale dell’Europeo, il sudore è lo stesso, come identica è la tensione emotiva. Anche se i riflettori sono spenti, intermittenti o rivolti altrove.

A maggior ragione conta la qualità del lavoro quotidiano perché il successo diventa l’unica chiave per evitare l’oblio. E’ successo anche a noi, in questi anni, di ottenere qualche vittoria bella, amplificata dalla visibilità offerta da SkySport, e sempre la desuetudine (mista a imbarazzo) all’esultanza delle “mie” Azzurre di fronte a una telecamera mi ha intenerito il cuore.

Se dunque ieri sera avete giudicato esagerata la festa delle Azzurre e le mille lacrime spese in panchina, sappiate che arrivano da anni di trascurata applicazione quotidiana, con in testa un obiettivo, un’idea, una missione. Mi sono identificato nella gioia scomposta dello staff al seguito perché a 18 come a 51 anni si finisce per identificarsi con una squadra, quando questa merita rispetto e attenzione. E a me, fortunatamente, in pratica è sempre accaduto, negli ultimi 11 anni.

Brave le Azzurre, di tutte le discipline, anche per la fierezza e la pazienza con cui affrontano ogni giorno scetticismo, diffidenza e luoghi comuni dell’altro millennio. Con una citazione d’onore per quelle della pallacanestro, me la passerete.

Foto ufficio Stampa FIGC