Marco Calvani e il Giro d’Italia nei playoff: “Grande esperienza, torno arricchito”

In queste settimane il coach romano ha assistito a tutte le partite clou di Serie A e A2. Gli abbiamo chiesto di raccontarci il suo tour dietro a una palla a spicchi.

Ho conosciuto Marco Calvani in mille modi diversi. Nel 1984 l’ho visto sulle tribune a Ginevra con la sciarpa blu-arancio del Bancoroma, festeggiare la Coppa dei Campioni. Nel 1994 l’ho ritrovato assistente della Virtus Roma, di cui ero prima abbonato e poi direttore responsabile dell’house organ. L’ho conosciuto meglio come responsabile tecnico del Camp estivo nel quale facevo l’addetto stampa/autista/animatore: un giorno Marco chiese di provare la mia Moto e la fece cadere, colpa (dice) di un cavalletto difettoso. Lo perdonai, in quanto figura centrale della mia squadra del cuore.

Poi Marco ha preso altre strade professionali, a Roma è tornato qualche anno più tardi e quasi ci porta a casa lo scudetto. Ci siamo un po’ persi di vista ma quando capita di ri-incontrarci scatta quel sorriso complice di chi tanto ha condiviso e nel tempo ha imparato a volersi bene. Così, a pelle. In queste settimane l’ho notato su tutti i campi dei playoff di Serie A e A2, non potevo non chiedergli di raccontarmi il suo Giro d’Italia dietro a una palla a spicchi.

Sei in tour da qualche settimana tra Serie A e A2. Trattasi di Corso di aggiornamento professionale itinerante?
Sì, ho pensato di sfruttare la possibilità di seguire i playoff di A1 e A2. Sono tante le cose che noti dal campo e apprezzi solo dal vivo rispetto a un video, la completezza nei particolari è assoluta. Da bordo campo puoi osservare la gestione della panchina, le reazioni dei protagonisti. Ritengo si tratti di un momento di aggiornamento efficace ed utilissimo. Vedere tante partite dal vivo mi ha dato la possibilità di seguire alcuni colleghi, di analizzare le loro scelte tattiche di inizio gara ed eventuali correzioni in corsa. Divertente. Formativo. Interessante.

Che Basket stai vedendo?
Una buona pallacanestro, ho annotato particolari molto interessanti nelle scelte tattiche che stanno adottando le diverse squadre in relazione ai propri avversari. Una pallacanestro che per certi versi in diversi casi è dominata dall’aspetto fisico/atletico. Lo dico ovviamente con grande rispetto, in questo senso l’esempio di Trento è evidente perché al di là delle mille qualità tecniche e tattiche, sono stati l’atletismo e il dinamismo a risultare determinanti nelle serie vinte con Avellino e Venezia. Per noi allenatori questo deve essere motivo di riflessione, forse bisognerebbe tornare a lavorare di più nella cura dei fondamentali.

Quali le differenze nei sistemi di Serie A e A2?
La grande differenza ovviamente è nella quota stranieri. In A2 molto spesso a fare la differenza è il pacchetto italiano. Interessante oltre che vincente si è rivelata la filosofia di Casale Monferrato che a fianco di giocatori esperti ed affidabili come Blizzard, Martinoni e Tomassini ha inserito giovani interessanti come Bellan, Cattapan, Denegri, Severini.

Quale giocatore ti ha intrigato?
In Serie A dico Toto Forray, che oltre a confermarsi uno straordinario organizzatore di gioco mi ha sorpreso per come ha spostato gli equilibri anche col proprio contributo offensivo. Affidabilità a 360 gradi in un ruolo delicato, il vero valore aggiunto della Dolomiti Energia. Per Milano prendo Kuzminskas, una grande certezza ed un’arma estremamente importante per l’Olimpia grazie alla sua versatilità. In A2 Javonte Green di Trieste, che ho sempre considerato adatto anche ad un livello superiore per la straripante fisicità. Non è un mostro di continuità e questo finora può averlo frenato. Per Casale scelgo Giovanni Tomassini, che ho avuto la fortuna di allenare quando era giovanissimo alla Scavolini. Maturità e personalità da Serie A. Giocatori a parte, ho visto partite accese in piazze appassionatissime di pallacanestro. Mi riferisco a Verona, Trieste, Montegranaro, Casale Monferrato, Venezia, per non parlare della Fortitudo. Quello che succede al Paladozza ogni volta che gioca la F è pazzesco, un esempio unico in Italia. Mi hanno spiegato che il tifo per la Fortitudo non è una passione, è una sorta di stile di vita.

Una persona speciale che hai ritrovato nel corso del tuo tour?
Sono stato quasi sempre insieme a Ugo Ducarello, quest’anno coach di Trapani in Serie A2. Con Ugo ho avuto la fortuna di lavorare a Barcellona Pozzo di Gotto. Nei suoi confronti c’è grande stima, prima come persona e poi come allenatore. Condividiamo molti aspetti del modo di intendere la pallacanestro ed è stato utile oltre che piacevole seguire le partite insieme, confrontandoci, elogiando i colleghi e qualche volta immaginando soluzioni diverse. Ovviamente noi sempre da una posizione privilegiata, in tribuna e senza stress. Poi passare più di qualche giornata con Pozzecco ti arricchisce per la persona che è e per l’innata sana “follia” che ha sempre avuto, oggi molto “inquadrata” dal suo essere allenatore. È di impatto, sanguigno, istintivo però mi ha sorpreso spesso per la lucidità che ha nell’analizzare le cose.

E’ stato anche un tour eno-gastronomico. Torni più arricchito professionalmente. Anche più appesantito?
Certo, nei nostri viaggi non abbiamo disdegnato di apprezzare un calice di prosecco o un buon rosso. Torno certamente arricchito dal punto di vista tecnico e culturale. Appesantito no, perché i 10 chilometri che corro un giorno sì e uno no mi aiutano a tenermi in forma.

Foto Archivio Privato Marco Calvani