La “mia” amata Virtus Roma, 33 anni di flash indimenticabili

Per più di 30 anni la Virtus Roma è stata al centro della mia vita. L'elenco sconnesso delle immagini indelebili.

Pallacanestro Virtus Roma. Per diverse ragioni, il mio tifo per la Virtus Roma si è affievolito nel corso del tempo.

Eppure, 15enne, mio padre mi vedeva uscire la domenica pomeriggio per andare al Palaeur con l’abbonamento di galleria nell’anno dello scudetto del Bancoroma. Adulavo Paulo Roberto Falcao, veneravo Larry Wright e quell’anno Roma festeggiò due scudetti, non uno.

Ma lo sguardo di mio padre che mi vedeva rinunciare alla radiocronaca di Roma-Catanzaro per Bancoroma-Cantù non mi ha mai abbandonato. Come a dire: “Dove ho sbagliato nell’educazione di questo figlio, dove?”.
Dal 2000 mi sono trasferito a Bologna e sono diventato giornalista professionista: in ordine sparso ho messo insieme i flash di 33 anni di Virtus Roma.

Tra poche vittorie, tante delusioni, una coltellata al cuore e diverse trasferte. Ho deciso di affidarmi a un personalissimo flusso di ricordi, disordinato, sconnesso e cronologicamente improbabile.

Per quanto riguarda i riferimenti temporali, tenete presente che la mia memoria storica si accende con le piroette di Tomassi e si spegne col sorriso di Tonno Tonolli.

Enrico Gilardi che contro la Philips Milano segna da metà campo e ci regala il supplementare in cui poi perdiamo di 10 punti, i movimenti alla moviola ma sempre a canestro di George Gervin, le mie lacrime di gioia nella hall di un albergo di Rimini durante una gita del secondo liceo con Fulvio Polesello in tv che alza la Coppa Campioni.

Le tredici-quattordici finte consecutive di Tiziano Lorenzon sotto canestro, la quasi sempre maledette pagine 231 di Televideo con la scritta “Aggiornamenti in tempo reale” lampeggiante.

I tre canestri in faccia di Ricky Mahorn a Darryl Dawkins in una gara3 decisiva dei playoff, lo schiaccione rovesciato di Marco Solfrini al Palatrussardi che zittisce il pubblico milanese.

La difesa di Michael Cooper che non fa mai toccare il pallone a Richardson negli ultimi 3’ di una partita incredibile vinta in rimonta contro la Knorr, i gilet di Valerio Bianchini, le pistole, gli inchini e le smorfie di Davide Ancilotto.

Il gesto dell’ombrello di Pupi Premier contro tutto il Palaeur, Franco Lauro speaker della Virtus, l’applauso di ringraziamento alla stagione della Teorematour ’94/’95 nella sua ultima apparizione al Palaeur.

Il secondo tempo di Phonola Roma-Glaxo Verona del ’88/’89, il canestro da venti metri di Riccio Ragazzi contro Caserta, la pelata di Phil Hicks, la trasmissione radiofonica pomeridiana di Antonietta Baistrocchi, Scott May che rientra di corsa negli spogliatoi con il braccio rotto, le iniziative “offensive” di Clarence Kea.

“Sgabello” Vargas per vie delle tre gambe…, le attese infinite davanti al cancello R, gli sfondamenti presi da Israel Andrade, l’inno de “Il Messaggero”, gli storni criminali che volteggiavano sopra al Palaeur.

Il tiro da tre di Donato Avenia sulla sirena che si spegne sul ferro e tiene in vita la Benetton, un pomeriggio irreale di fine estate a Mestre per un funerale, Coast to Coast.

Kenny Payne che secondo il mio vicino era “l’unico americano nero de famiglia ricca, questo gioca per hobby”, lo sguardo fiero di Steve Henson, lo sguardo perso di Dino Radja al cospetto della mole di Dawkins.

I passaggi mozzafiato di Leo Rautins, Hugo Sconochini che vince da solo una partita, scavalca i tabelloni pubblicitari e rivolto alla curva si batte il petto.

Pero Skansi che fa allenare la Virtus il giorno di Natale, il parcheggio al Fungo, la retrocessione in A2 vissuta per radio da Reggio Calabria, la pagina di Televideo che annuncia “Con Corbelli Roma ritrova il basket di A1”, la chioma bianca di Eliseo Timò nella prima fila di parterre.

Claudio Capone impazzito contro il Granada al Palazzetto, la zampata dall’angolo di Gianni Bertolotti contro il Barcellona nella finale di Ginevra, la classe cristallina di Mike Bantom, le ricezioni problematiche di Elvis Rolle.

Lo sconcerto seguito alla prima visione del cubo nel Palaeur, le acrobazie di Brian Shaw, le incognite di Gary Plummer, le crisi di astinenza dei mesi estivi, i tiri liberi di Davide Croce, “Jump” dei Van Halen all’ingresso in campo del “Banco”.

Lo striscione “Busca deve da gioca’”, le tante trasferte perse di un punto con il viaggio di ritorno in religioso silenzio, le 475.000 lire elargite al Messaggero per un posto accanto (se non dietro) a centinaia di biglietti-omaggio.

Gli airball da tre metri di Marco Ricci, le confezioni di caffé Splendid in omaggio all’ingresso.

Le accelerazioni incontenibili di Larry Wright, “A Premier, sei più lento de una barca a vela”, sentito una volta urlato da un genio capitolino.

La magia di quei colori arancio e azzurro poi disgraziatamente convertiti in giallorosso dai Ferruzzi con l’avvento del Messaggero Basket. Lo dico da romanista fondamentalista. Quei colori non andavano toccati.

Giancarlo Migliola