Sulla fine della Virtus Roma

La Virtus Roma finisce dopo sessanta anni di storia. Cause, responsabilità e conseguenze della vicenda di una squadra che si intreccia a doppio filo con quelle della sua città

Avevo promesso a me stesso che non avrei più scritto niente sulla Virtus Roma fino a quando non sarebbe cambiata la proprietà della Virtus Roma. Dentro di me ero convinto che non sarebbe cambiata mai, oppure che sarebbe finita prima la Virtus Roma. E adesso che pare proprio finita, la Virtus Roma e la proprietà della Virtus Roma, non avevo comunque intenzione di scriverne. Invece, insospettabilmente, negli ultimi giorni un sacco di persone che per motivi misteriosi si ricordavano del me che in una vita passata si occupava di Virtus Roma, hanno iniziato a scrivermi loro. A chiedermi cosa ne pensassi di questa situazione, a volte con toni che non sembravano quelli del tifoso in ansia per la propria squadra ma con quelli del paziente che scrive al medico preoccupato della salute di un proprio familiare. Che poi in fondo è quello che siamo, un po’ tutti familiari, chiaramente tutti uniti da quello che la Virtus Roma ha rappresentato. Per quale motivo qualcuno perde il suo tempo a chiedere l’opinione sulla Virtus Roma a qualcun altro che non si occupa più di Virtus Roma da almeno sette anni?

Qualunque sia il motivo, piuttosto che rispondere a ognuno singolarmente, riassumo qui il mio pensiero. E’ colpa di Toti se la Virtus Roma finisce? Sì. E’ solo colpa di Toti se la Virtus Roma finisce? No.

Spiego. La sensazione che con Toti proprietario la Virtus Roma stesse iniziando ad avvitarsi su sé stessa l’ho avuta per la prima volta nell’estate del 2003. Non del 2013 e nemmeno del 2015. Nel 2003. La stagione che si concluse con gara 5 del 5 giugno contro la Fortitudo e che riportò la Virtus Roma in Eurolega. In molti si ricorderanno che quello che doveva essere un trampolino di lancio si trasformò in un confuso inseguimento del mercato e si concluse con una squadra impresentabile in Eurolega e appena mediocre in campionato. Quella sensazione di confusa progettualità che non si incastrava coi tempi giusti per perseguire un progetto di crescita progressiva mi ha sempre accompagnato da allora. Ed è sempre stata difficile da raccontare perché nel frattempo arrivavano anche i campioni, da Myers a Anthony Parker (cuore che si spezza) a Dejan Bodiroga. Ma anche quando poi arrivarono le finali di coppa Italia, le due finali scudetto, oppure anche solo le semifinali perse per un soffio, per un’inezia, per un centro di ruolo che non c’era mai quando serviva, la sensazione era sempre quella della casualità. E oltre a questo, la Virtus Roma di Toti si è sempre distinta per l’eccezionale capacità di farsi terra bruciata intorno nel territorio. La Virtus Roma naturalmente rappresentava il vertice del basket romano, l’apice professionistico del movimento, la punta della piramide. Con Toti, la Virtus Roma non ha mai collaborato con il territorio, lo ha anzi spesso snobbato con un atteggiamento di insopportabile superiorità, fossero le antiche glorie che furono in campo e in panchina all’epoca dei trionfi del Bancoroma o le tante società del settore giovanile a cui si potevano strappare talenti in erba senza chiedere il permesso. Non ha mai coltivato un vero rapporto con le istituzioni se non durante l’epoca di Veltroni sindaco, principalmente non ha mai fatto un passo verso l’esterno se l’esterno non faceva un passo verso di lei. E questo anche dal punto di vista della comunicazione. Ed è l’epilogo più scontato del mondo che se bruci il campo in cui vivi, a lungo andare non hai più niente da raccogliere e alla fine muori di fame perché nessuno ti porge un pezzo di pane quando ne hai bisogno. La storia di questa proprietà è fatta di un sacco di nomi celebri che hanno iniziato a collaborare con la Virtus Roma per poi sparire da un giorno all’altro ed è fatta di un sacco di trattative, fossero sponsorizzazioni, l’ingresso di nuovi soci, un cambio di mano, che non si sono mai concretizzate.

Lavorare per Toti non è mai stato facile. Lavorare con Toti è stato ancora più difficile. E la conseguenza è che al momento non ci sarà nessuno che lavorerà dopo Toti. Questa, da qualunque parte la si guardi, è una verità che non si può ignorare. Insomma, se guidi in autostrada e vedi un pazzo contromano di fronte a te, puoi dire legittimamente che hai incontrato un pazzo contromano in autostrada. Ma quando nel corso di venti anni ne incontri a decine, il dubbio legittimo è che quello che guida contromano sei tu. Non vorrei entrare nel merito della decennale disputa tra chi dice che Toti è l’uomo che ha salvato il basket romano dal fallimento e chi dice che Toti sarà ricordato come l’uomo che il basket romano l’ha fatto fallire. Io, per me, ho per lungo tempo avuto la percezione – e perdonate la crudezza dell’immagine – della Virtus Roma come di un ostaggio tenuto in catene in una cantina. Non si può certamente negare il fatto che, nonostante le catene, sia sopravvissuto e lo ha fatto perché qualcuno ha continuato a dargli da mangiare. Non si può nemmeno negare che, a causa di quelle catene, a un certo punto sia morto. Perché chiaramente la storia non inizia a finire con gli stipendi non pagati o una rata Fip non saldata. Inizia molto prima, con tutte quelle mosse che a lungo andare hanno creato il deserto intorno alla Virtus Roma, prima generando un’aspra diatriba interna tra ‘chi è con noi e chi è contro di noi’ (vedi la scelta, che non sarà mai perdonabile, di giocare la finale del 2013 al Palazzetto per punire chi non aveva inizialmente creduto a una squadra che stava quasi per non esistere) e poi una deriva anche surreale come la rinuncia all’Eurolega o l’autoretrocessione del 2015. E se un tifoso tifa una squadra e il suo proprietario gli dice che i risultati acquisiti sul campo non hanno valore, se diventa un sopravvivere e non più un vivere secondo i regolamenti ma anche i valori dello sport, se chiedi un credito illimitato e alla lunga dai sempre meno indietro, perché qualcuno dovrebbe aiutarti quando un aiuto ti serve davvero? Perché non dimentichiamo che Toti in qualche maniera, per quello che rappresenta, è esso stesso Roma. E’ al tempo stesso la causa e la conseguenza di ciò che è Roma oggi. Ecco dove finisce la Virtus e dove sono, inequivocabilmente, le responsabilità della sua proprietà.

Naturalmente non è solo colpa di Toti, così come è certo che la sua proprietà abbia fatto anche cose buone, a volte ottime, sia pure slegate da una progettualità fondamentale e a Roma ancora più necessaria perché, semplicemente, la Virtus Roma sta a Roma. E a Roma sono fallite, e ci hanno messo molto meno di venti anni, società professionistiche di pallavolo, pallanuoto, rugby. Che abbiano vinto qualche trofeo, a differenza della Virtus Roma, non conta assolutamente niente. La sostanza è che a Roma lo sport professionistico che non sia il calcio, nel nuovo millennio, non si può fare. Tendenzialmente non si può nemmeno praticarlo per mancanza di strutture adeguate e se Toti, che di mestiere fa il costruttore di immobili, in due decenni non è mai riuscito a costruire un immobile per farci giocare la Virtus Roma, nemmeno una palestra in cui allenarsi, siamo di fronte a un paradosso helleriano. Roma, facciamo dagli anni Novanta in poi per non essere troppo estremisti, ha prodotto progressivamente una classe dirigente mediocre che a sua volta era figlia di una struttura sociale sempre più frastagliata, fragile, vuota. Mi viene da dire rassegnata. Quello che altrove non è tollerato, siano le buche nelle strade o la manutenzione inesistente o la spazzatura che ricopre i marciapiedi, a Roma è ormai tacitamente accettato come normalità. L’eccezionalità sono le cose che funzionano, a Roma ci si ferma a ringraziare chi si è fermato per farti attraversare sulle strisce invece di viverlo come quello che effettivamente è, il normale rispetto del codice della strada e dei pedoni. E in una città dove la normalità è che le cose vadano male, nella quale nessuno investe e chi ci investiva è andato altrove, può sopravvivere una società di pallacanestro in un periodo storico nel quale la pallacanestro che non sia Nba praticamente non esiste da nessuna parte se non la si va volutamente a cercare in televisione o su internet? Non può, e infatti non ha potuto. Che poi ci sarebbe da domandarsi: ma quale settore precisamente, a parte forse quello gastronomico, ha potuto sopravvivere a Roma negli ultimi anni? E aggiungo allargando il discorso fuori dal raccordo anulare, quale squadra di grande tradizione della pallacanestro italiana ha scongiurato questo passaggio? Virtus Bologna, Fortitudo, Siena, Treviso, Caserta, per fare un elenco incompleto solo con quelle che dagli anni novanta in poi hanno vinto lo scudetto, ci sono passate tutte. Ma non divaghiamo. Perciò rispondo a un’ultima domanda che più di qualcuno in forma diversa mi ha fatto. Avrebbe potuto la Virtus Roma salvarsi se invece di Toti ci fosse stato qualcun altro?

Avrebbe potuto fare qualcosa di diverso per salvarsi, sì. Avrebbe potuto sopravvivere meglio, in certi momenti. Avrebbe forse potuto sopravvivere anche oltre il 2020, è possibile. Ma alla lunga no, non sarebbe sopravvissuta nemmeno con un proprietario diverso e i motivi, sia pure sintetizzati all’estremo, sono tutti nelle righe che avete appena letto. La Virtus Roma invece è ancora qualcosa di diverso, che il tempo potrà forse un giorno restituire e che allo stesso tempo non potrà cancellare pure se è finita. Mi piace immaginare che se qualcuno ancora ricorda l’epoca di Terzotempo, di quel sito e di quel forum, è proprio perché entrambi rappresentarono l’essenza di ciò che dovrebbe essere una narrazione sportiva: entusiasmo, condivisione, la possibilità di incontrare e conoscere persone che hanno la tua stessa passione, radunarle tutte insieme, virtualmente o in un palazzetto, anche in un ambiente vasto e dispersivo come quello della capitale. Riunire e non separare. Che, purtroppo, è anche il contrario di ciò che ha fatto la Virtus Roma negli ultimi anni, somigliando sempre meno alla Virtus e sempre di più a una Roma arida, divisa e disinteressata. Ecco perché, concettualmente e concretamente, Virtus e Roma non si possono scindere. Dove comincia una finisce l’altra e viceversa. La Virtus, questa Virtus, quella romana, non poteva esistere senza Roma. Ora sappiamo anche che a causa di Roma non può esistere più. E cosa è stata la Virtus Roma, non solo Virtus e non solo Roma ma entrambe le cose insieme, non posso proprio essere io a definirlo. Tutti quelli che mi hanno scritto in questi giorni, lo sanno.