Cecilia Zandalasini in lacrime. Io le conosco bene quelle lacrime…

L'Europeo di Praga è finito tra le lacrime delle Azzurre, beffate contro la Lettonia da un fischio sbagliato. Ma la lista delle delusioni è molto lunga...

Cecilia Zandalasini in lacrime, io le conosco quelle lacrime…

Le conosco quelle lacrime. Le riconosco. Le ho viste dal vivo. A bordo campo. Tentando sempre vanamente di trattenere le mie.

Sono quelle versate da una diciannovenne Giorgia Sottana a Ortona, nel 2007. L’Italia non riusciva a qualificarsi da otto anni a un Europeo e quindi aveva deciso di farselo in casa. A una partita dai quarti di finale inciampammo però sulla Bielorussia, fino a quel momento entità sconosciuta all’universo femminile e poi da quella partita sempre al vertice del basket mondiale.

Sono quelle di Chicca Macchi, sul parquet di Riga, mentre la Grecia si abbandonava al sirtaki e il pubblico lettone lo ballava divertito sulle tribune. Era la finale per il quinto posto che qualificava al Mondiale, non ci bastò essere a +10 a 7 minuti dalla fine, travolti dalla tempesta perfetta di Evina Maltsi. In quell’Europeo avevamo battuto Bielorussia, Lituania e la Lettonia padrona di casa dopo un overtime. Credevamo essere predestinati sulla via del Mondiale. Ci ritrovammo a piangere col sirtaki in sottofondo. Imprinting ingestibile anche a distanza di otto anni.

Sono le lacrime, stesse identiche spiccicate, versate da Francesca Dotto al termine del quarto di finale con la Serbia, 2013, al termine di una partita giocata magistralmente per 39 minuti e 29 secondi. Poi, +5 e palla in mano piovvero 2 palle perse, un paio di disattenzioni difensive e la semifinale andò in fumo insieme al Mondiale. Nelle prime 4 non entravamo dal 1995. A fine Europeo, per la cronaca, la virata utilizzata da Milovanovic per segnare il canestro decisivo venne inserita nella clip dei responsabili Arbitri FIBA, come esempio lampante di “passi” da sanzionare sempre.
Le riconosco. Sono le lacrime sul volto di Raffaella Masciadri nel 2015. In Transilvania, la Nazionale ci rimane appena 4 giorni. Il tempo di perdere 3 partite. La prima, con la Bielorussia, ci vede avanti di 2 a 6” dalla fine: Sottana segna e viene travolta da Snytsina (lo potete controllare qui sotto al minuto 1.10) ma non arrivano fischi, dall’altra parte Liktharovich converte un rimbalzo a fil di sirena. Seguirà overtime, perso, e il nostro pullman verso Venezia. Mentre la Bielorussia avvia la sua corsa verso il quarto posto.

Le conosco sin troppo bene le lacrime di Zandalasini. Le ho subite a Praga ma le avevo già viste in Portogallo un anno fa, quando Cecilia segnò 29 punti alla Spagna nella finale dell’Europeo Under 20 recuperando dal -19 quasi da sola. Per poi veder sfumare la medaglia d’Oro (da MVP…) per due tiri liberi (giusti) concessi a 1” dalla fine.

Quest’anno la storia sembrava cambiata. Niente lacrime, si era detto. Sì vero, ma poi arriva la gomitata di Hollingsworth che trancia di netto la carriera in Nazionale di Chicca Macchi, faticosamente recuperata alla causa Azzurra da Capobianco e dal suo staff. Poi arrivano tre sconfitte e due di queste per 1 punto. La prima, con i liberi prima assegnati a noi e poi alla Turchia sulla parità e 10 secondi da giocare.

La seconda, per la ormai celebre chiamata dell’arbitro spagnolo: antisportivo a Zandalasini e al Mondiale ci va la Lettonia. Dove sarebbe potuta arrivare, segnando sull’ultimo possesso. Ma no, a noi serviva un finale diverso dagli altri per completare il mosaico, per diversificare il dolore: per questo signor Larroco, grazie, di cuore.

E quindi ancora lacrime, ma stavolta di rabbia, di frustrazione, di angoscia che arriva dal “Ma una volta dirà bene a noi?” sussurratomi qualche ora prima da Kat Ress. Una che ad esempio la Maglia Azzurra la indossa da un decennio abbondante con assoluta dignità, entusiasmo e straordinario senso di appartenenza.

E invece no. Ancora lacrime. Che ti escono magari due ore dopo la partita con la Lettonia, mentre scrivi il comunicato stampa e ti arriva il telecronista FIBA quasi a scusarsi. “When your team plays, I am always sure that you will do with Heart and Passion”. “And tears at the buzzer”, mi sono sentito di aggiungere.

Sono lacrime che arrivano da lontano, che avrei preferito non conoscere e che non vengono mai asciugate, figlie di stereotipi che appesantiscono 365 giorni all’anno le fatiche di queste ragazze eccezionali. La cui visibilità prima di questo Europeo era giocoforza circoscritta. Nessun risultato eclatante a livello Senior. Nessuna fidanzata con un tronista. Nessuna storia “drammatica” da dare in pasto ai rotocalchi pomeridiani. Spiace.

Solo fatica, sudore, quotidiano rispetto per se stesse, per la pallacanestro e per la Maglia che indossano. Senza scorciatoie. Senza aiuti esterni. Con una lunga lista di limiti di vario genere da affrontare e combattere.

Una dignità semplice e colorata di Azzurro, che da Praga finalmente è arrivata dritta in faccia anche agli italiani. Ripartiamo da qui. Ripartiamo da Praga. Ma gli occhi sono ancora rossi. Sì, stavolta anche di rabbia.

Coraggio, Azzurre!