Tour de France 2017, le pagelle semiserie

Un Tour particolare incerto fino alla fine, promossi e bocciati

Tour de France 2017, le pagelle – Edizione particolare quella del Tour appena andato in archivio con un disegno particolare che ha compresso la classifica. Vediamo promossi e bocciati.

PROMOSSI

  • Froome – Pare l’imperatore Commodo in mezzo ai pretoriani ne Il Gladiatore. E’ sempre scortato da almeno tre maglie bianche della Sky ovunque vada, anche in bagno. C’è anche chi sta meglio di lui, tipo Landa, e le sue frullate non sono quelle di un tempo. Al massimo sono spremute di limone dalle quali ottiene la maglia gialla, la terza consecutiva e la quarta in carriera, ma più che le proprie gambe deve ringraziare i ritmi imposti dalla sua squadra che tagliano quelle degli altri. Non dominante e nemmeno impressionante, ma nei libri di storia ci finisce con merito. Gli organizzatori avevano disegnato il Tour per disinnescarlo ma riescono solo a impedirgli di vincere una singola tappa, non a togliergli la maglia gialla. Sempre più sosia di Tim Robbins. Non stupirebbe vederlo recitare nel remake di Alta Fedeltà nel ruolo di Ian. Nel frattempo deve un barile di birra a Mikel Landa, l’uomo più in forma della Sky, che va più forte di lui in salita e lo scorta a Parigi con qualche mugugno. Contrappasso di quanto visto nel 2012 a ruoli inversi tra lui e Wiggins.
  • Uran – L’uomo francobollo. Mai un’iniziativa, mai una partenza, sempre incollato all’album delle figurine degli uomini da podio. E’ l’ombra fedele di Froome e Bardet, tanto banale quanto incisivo. Non lo stacchi mai, vive per gli abbuoni, si prende un secondo posto per il quale non era nemmeno considerato dai più ottimisti. Il disegno del Tour lo agevola ma è tra i pochi a sopravvivere ai ritmi ossessivi della Sky.
  • Barguil – La maglia a pois di cui non parla nessuno tranne quando vince la tappa più sentita dai francesi, il 14 luglio nella tappa compressa a Foix e si ripete la settimana dopo sull’Izoard. Tutti presi a raccontare del poker di testa che si gioca la vittoria, a raccontare della rivalità transalpina tra Bardet e Pinot e lui intanto scala più degli altri e meglio degli altri. I francesi si prendono una maglia a loro cara e si incazzano un po’ di meno per avere rimandato ancora una volta la conquista di quella gialla.
  • Aru – Vero, deve ancora migliorare nella terza settimana e come un anno fa nella parte finale del Tour va in calando. Ma è vero anche che l’Astana fa di tutto per lasciarlo da solo, tra infortuni agli uomini di punta come Cataldo e Fuglsang, e il resto della squadra che non è all’altezza. Fa tenerezza vederlo sbuffare da solo con la bronchite in mezzo ai soldati della Sky e della Ag2r, ha un cuore enorme e le emozioni più belle le regala lui strappando la gialla a Peyresourde e conservandola con i denti. L’unica maglia gialla non indossata dalla Sky in questa edizione la veste lui. L’anno prossimo probabilmente andrà alla UAE e dopo la Vuelta nel suo futuro è scritto che indosserà un’altra maglia di pregio al Giro o al Tour. O entrambi, se avrà squadra e gambe per arrivare fino in fondo senza la lingua di fuori.
  •  Kittel – Potenza nucleare in volata, è il padrone degli sprinter anche in una edizione spigolosa e piena di litigi e imboscate a 60 all’ora. Vince cinque volte, di potenza, da dominatore, stando davanti al suo treno o di rimonta. Se è in forma, e lo è, al mondo nessuno va forte come lui. Il sosia di Ivan Drago prestato al ciclismo, spiezza tutti in due sul serio.
  • Roglic – La storia di questo Tour. Fino a sei anni fa saltava con gli sci (!), poi ha scoperto la bici e si è inventato cronoman di successo. Regala la prima vittoria alla Slovenia in una delle tappe del Tour più dure, in salita, sul Galibier che un tempo era territorio di Pantani. Motivazioni? ‘C’erano i miei genitori e la mia fidanzata a vedermi, l’ho fatto per loro’. Una volta in montagna vincevano gli scalatori, non gli specialisti del tempo. E che ci vuole?
  • Sunweb – Tutti a guardare la Sky, la Movistar, l’Astana. Invece questi silenziosamente fanno abbuffata nei grandi giri. Prima in Italia con Domoulin, di seguito le maglie a pois e verde con Barguil e Matthews, entrambi con due vittorie di tappa. Lo squadrone del 2017 sono loro.
  • Contador – Alla carriera e al coraggio. Le gambe scricchiolano ma la fantasia non invecchia. Rimane il più combattivo e il più originale nell’attaccare dove gli altri fanno la siesta o hanno paura di rimanere dissetati nel deserto. Un epilogo degno di un eroe dei nostri tempi, non privo di ombre, ma ancora in grado di regalare sorprese in un copione dei grandi giri che di tappa in tappa si ripete fino alla noia. Clonategli la testa.

BOCCIATI

  • Quintana – Ah c’era pure lui? L’uomo che ‘posso vincere Giro e Tour nella stessa stagione’ non ha vinto nessuno dei due. Non ha vinto neanche una tappa in territorio francese, è stato sempre tra i primi a staccarsi in montagna e insomma il folletto colombiano che doveva prendersi il futuro è rimasto incastrato nel passato e non sa come uscirne. L’assenza di Valverde gli ha tolto un compagno fondamentale ma le sue tre settimane sono state deludenti in maniera assoluta.
  • Bardet – L’anno scorso era entrato in sartoria, in combutta con l’organizzazione del Tour, e ne era uscito con un disegno fatto apposta sulle sue misure. Poca cronometro, tanta distanza tra le montagne più dure, tantissime tappe di trasferimento. Basta per andare a fatica sul podio, non ancora per vincere perché la Ag2r non vale ancora la Sky e non c’è modo di scrollarsi di dosso Froome sulla lunga distanza. Ma sono le sue azioni a scomporre la classifica e a darle la fisionomia definitiva. Non ha paura di attaccare e ormai è lui il punto di riferimento transalpino per le due ruote. Eppure la sensazione è quasi di manifesta inferiorità: se ti fanno un Tour su misura e tu non lo vinci, che altro resta da fare?
  • Greipel – Il grande sconfitto nell’anno delle tante volate. Non ha vinto, mai, è arrivato dietro, sempre, a Kittel. Per un tedesco farsi sverniciare da un connazionale è il peggiore degli affronti, dal gorilla ci aspettavamo almeno un acuto. Niente, non ha nemmeno alzato la voce. Il grande sconfitto tra gli sprinter.
  • Pinot – Un tempo era lui la speranza del ciclismo francese. Al Giro è stato combattivo ma battuto da uno spilungone olandese. Al Tour quel rumore di sottofondo che avete sentito durante le telecronache erano i suoi denti che digrignavano nel digerire che ormai l’uomo su cui punta la Francia è Bardet con cui non è proprio amico. Si è pure ritirato nella tappa del Galibier e le sue azioni sono in enorme ribasso.
  • Rolland – Al Giro era sempre nelle fughe contavano. Sulle strade di casa sua lo si vede raramente. Altra conferma che fare due grandi giri a distanza di due mesi sta diventando sempre più difficile non solo per gli uomini di classifica ma anche per i cacciatori di tappe. Ectoplasma.
  • Italiani – Fuori Aru, c’è stato ben poco da ricordare. Il solo Diego Ulissi ha provato a entrare in qualche azione senza riuscire nell’affondo, gli altri sono rimasti nel dubbio morettiano che esserci ma rimanere in disparte fosse meglio che non andare proprio. Ma non è mica detto che abbiano fatto la scelta migliore. In questo momento il ciclismo azzurro nella cultura di massa è solo Aru e Nibali, non a caso gli unici in grado di vincere una tappa di Giro e Tour nel 2017. Troppo poco.
  • La nuova formula – Dice, chi lascia la strada vecchia per la nuova. Sa quello che lascia, ovvero tante salite nei giorni più importanti, e non sa quello che trova. Adesso lo sa. Meno montagne e separate da tante tappe di trasferimento significa classifica più corta, finale più emozionante, ma anche una quantità esagerata di tappe noiose con il solito copione, fuga più o meno profonda riassorbita nel finale e volata di gruppo. Anzi volate, nel senso che si sono visti ciclisti volare per aria da tutte le parti. Troppe cadute, troppi ritiri e la colpa non può essere solo delle bici sempre più leggere. Se ai pirati togli la possibilità di fare bottino in porti diversi, quelli iniziano a litigare fra loro per spartirsi quello che resta. Da rivedere.
  • La squalifica di SaganLo abbiamo raccontato. Completamente senza senso. Come togliere al ristorante più famoso del mondo il suo chef stellato. Già la maggiore parte della tappe si sono concluse per noia. Sagan avrebbe aggiunto fantasia ed emozioni alla terza settimana. Sapevamo che i francesi erano sciovinisti, anche masochisti ci mancava.