Simona Ballardini: giocatrice, allenatrice, anima, cuore e leggenda della sua Faenza!

Domenica ha sfiorato la promozione in A1 con la squadra della sua città. Una carriera straordinaria alle spalle, ora a 37 anni la voglia di giocare a basket per la sua gente è ancora viva.

Se andate a Faenza per assistere a una partita di basket o pallavolo e cercate il PalaBubani, sappiate che l’impianto all’ingresso reca la seguente scritta: “Ballardini Stadium”. E sì perché il basket Femminile a Faenza è Simona Ballardini. Che ha vinto lo scudetto a Taranto e due Coppe Ronchetti a Schio ma che a casa sua ha scritto le pagine più belle della sua carriera, oltre a vincere una Coppa Italia (in Nazionale, Oro ai Giochi del Mediterraneo 2009). Da Faenza mancava dal 2008 ma sono certo che anche a Venezia, Umbertide, Taranto, Bourges e Priolo il suo pensiero è sempre corso a casa sua, alla Romagna, alla squadra della sua città.

A Faenza è tornata nel 2016, nella duplice veste di allenatrice/giocatrice e domenica scorsa ha accarezzato il sogno del salto in A1. Sogno svanito al supplementare con Vigarano, in un Ballardini Stadium colmo di entusiasmo e passione. All’ultima sirena, è arrivato l’infinito e commovente applauso per la 37enne Simona e per la sua squadra, capace di spaventare per 45 minuti una formazione di A1, che in campo schierava anche due giocatrici straniere. Negli anni il talento di Ballardini è rimasto cristallino, così come la sua innata capacità di fare canestro, trascinare, entusiasmare, coinvolgere. Si chiama leadership, carisma: o ce l’hai o non ce l’hai. Il sogno di Faenza è svanito, la passione di Simona per la pallacanestro e per la sua terra no. Quella non svanirà mai.

Simona, cosa è successo domenica pomeriggio?
Magia, magia pura. Faenza ha sempre risposto con amore verso il basket femminile. La città si è fusa con la squadra, è stato uno spettacolo incredibile in campo e fuori.

Quel Bubani stracolmo per una partita di A2. Come ci sei riuscita?
Semmai “Come ci siamo riuscite, non come ci sono riuscita”. Credo ci sia stata riconosciuta la passione, la dedizione, il lavoro. In campo, al di là dei nostri limiti, abbiamo messo tanto cuore e un’emozione enorme, evidentemente la gente l’ha percepita ed è corsa a sostenerci.

Ci riproverete?
Il nostro obiettivo è potenziare il settore giovanile e riportare Faenza in alto, tra le città importanti della pallacanestro femminile. Non so se quando torneremo in A1 ma certamente continueremo il nostro lavoro senza abbassare la guardia, neanche un giorno.

Sembri più in forma di qualche anno fa. Merito dell’amore di Faenza?
Ero in forma anche qualche anno fa, infortuni a parte, ma in tanti avevano smesso di credere in me e invece a Faenza non è mai successo. Dal presidente Mario Fermi a tutti i nostri collaboratori, mi sono sentita sostenuta e supportata, prima come persona e poi come allenatrice-giocatrice.

Ecco appunto, giocatrice e allenatrice insieme. Come hai fatto?
Ce l’ho fatta grazie a Cristina Bassi, Riccardo Bedeschi e Luigi Perna, i miei collaboratori più stretti. Ho provato a dare il meglio, sono cresciuto come persona e le ragazze hanno accettato anche la mia durezza. Tutto quello che è stato fatto è stato fatto consapevolmente, perché queste ragazze sono migliori di quanto credessero di essere e il vero risultato che abbiamo ottenuto è stato questo, il passo in avanti in termini di autostima e consapevolezza. Quando la squadra si è unita nella fiducia, è uscito fuori quello che avete visto. Io e Cristina poi ci capiamo con uno sguardo.

Hai vissuto una carriera pazzesca, piena di alti e qualche basso dovuto agli infortuni. Rimpianti?
Qualcuno sì. Non aver provato la WNBA anche con un contratto in mano, la sconfitta con la Grecia all’Europeo 2009 che ci ha negato il Mondiale, ma soprattutto i tanti infortuni. E’ andata così, ci sono stata male, anche psicologicamente ma poi la vita mi ha dato una mano e soprattuto una mano me l’hanno data le persone care. Quelle che mi hanno aiutato tanto, soprattutto a livello personale.

La compagna di squadra a cui sei rimasta più legata?
Sono tante. Sabrina Cinili è una ma sento quasi tutte le ragazze della vecchia Germano Zama, Manu Ramon, Chiara Pastore e poi anche Kathrin Ress. Con loro e con tante altre ho condiviso attimi, sorrisi, emozioni, fatica.

L’avversaria più forte che hai marcato?
Chicca Macchi in Italia, poi Bridget Pettis, Penny Taylor, mille altre. Una sfida continua, bellissima.

L’allenatore più utile per la tua crescita?
Paolo Rossi, certamente, ma poi ho avuto la fortuna di incontrare tanti allenatori straordinari, come Giampiero Ticchi, Lollo Serventi. Ognuno a modo suo mi ha dato qualcosa, compresa Cristina Bassi che mi allena da quando ho 6 anni e che di me qualcosa conosce…

Quando smetterai di giocare, cosa mancherà al basket italiano?
Non voglio fare assolutamente polemica, ma credo che per il Basket italiano Ballardini già non esisteva più, non sentirà la sua mancanza.

Cos’è per te, la Romagna?
E’ casa, è sole, è la mia vita, è gioia, sono le persone, educate, gioiose, pronte ad aiutarti sempre con un sorriso sulle labbra.

Foto Archivio Privato Simona Ballardini