Riccardo Fois, dal Santa Croce Olbia a Gonzaga University con furore…

Trentuno anni, vive negli Stati Uniti da 13 e da 5 è nello staff tecnico di Gonzaga, uno dei College più prestigiosi dell’intero panorama NCAA

Riccardo Fois, 31 anni, vive negli Stati Uniti da 13 e da 5 è nello staff tecnico di Gonzaga, uno dei College più prestigiosi dell’intero panorama NCAA. Sardo, da giocatore è stato compagno di squadra di Gigi Datome nel Santa Croce Olbia campione d’Italia Cadetti.

Lo scorso anno ha fatto parte del coaching staff della Nazionale di Ettore Messina all’EuroBasket 2017, recentemente è tornato a lavorare per la FIP. Lo abbiamo intervistato, disturbandolo a Spokane, nello stato di Washington, dove sta preparando la nuova stagione di Gonzaga che quest’anno è tra le squadre più accreditate per raggiungere la Final Four.

Gonzaga: come ci sei arrivato?
Per caso, era l’estate che avevo finito a Pepperdine come Graduate Assistant. Ho provato con l’Internship ai Cleveland Cavaliers ma alla fine hanno scelto un altro. Poi Tommy Lloyd, che conoscevo per averlo incrociato più volte in giro per il mondo, ha saputo che ero in cerca di lavoro e mi ha chiamato. La delusione per non essere entrato nello staff dei Cavs, che in quella stagione riabbracciavano LeBron James è svanita in pochi giorni. Gonzaga mi ha cambiato la vita, per la sua cultura vincente e internazionale. Sono bastati 10 secondi per accettare la proposta: ho preso la macchina da Los Angeles, sono partito e dopo un’ora a Spokane avevo anche trovato casa.

Il tuo ruolo all’interno del coaching staff
Lo staff è relativamente piccolo, ora sono il quarto più “anziano”. Il mio compito è quello di scoutizzare le partite dei nostri avversari ma qui facciamo un po’ di tutto, dal recruiting internazionale allo sviluppo di nuovi progetti offensivi e difensivi. E’ un lavoro che dura 365 giorni l’anno, tanto interessante quanto totalizzante. A coach Few piace delegare e confrontarsi con chi arriva da culture cestistiche diverse dalla sua. Questo per noi assistenti è un grande vantaggio.

NCAA e basket europeo, due mondi diversi..
…ma come tipo di gioco molto più simili di quanto si pensi. Al College come in Europa c’è una forte empatia tra pubblico, coaching staff e giocatori, che vivono spesso a contatto. A livello collegiale i ragazzi non sono pagati ma sono trattati come professionisti di alto livello e le strutture a loro disposizione sempre eccellenti. Tutto è pensato per farli crescere. In Europa non è sempre così. Dal punto di vista tecnico l’NCAA è stimolante, perché agli allenatori vengono concessi diversi anni per trasmettere la propria filosofia di gioco e quindi l’identità di ogni squadra è molto forte. Ogni College che affronti ha una sua faccia e questo ti arricchisce molto, perché ti mette ogni volta in discussione.

L’emozione più forte.
La Final Four giocata nel 2017, il momento che sogni da ragazzino quando guardi film sui College. Un’emozione pazzesca. Ricordo però anche il piacere di vedere ragazzi usciti da Gonzaga giocare stabilmente in NBA. Cito Sabonis ma potrei dirne altri. La soddisfazione è enorme perché negli anni accompagniamo questi ragazzi verso la celebrità ma quando arrivano da noi sono molto giovani e necessitano di una guida, degli strumenti giusti per crescere.

Obiettivi e ambizioni di questa stagione.
Vincere la Conference, non è mai un obiettivo banale anche se ci riusciamo da venti anni. Ci rendiamo conto della qualità della squadra che abbiamo, siamo pronosticati nelle prime cinque ma abbiamo tanti ragazzi nuovi in ruoli importanti, c’è tantissimo da fare e non è detto che un ragazzo che ha giocato una grande stagione lo scorso anno si ripeta. L’obiettivo rimane quello di raggiungere la Final Four e poi di vincerla. Complicatissimo, ma ci proveremo. A gennaio avremo le idee più chiare su chi siamo veramente.

Perché un ragazzo italiano dovrebbe venire al College?
E’ un’esperienza di vita fantastica, avere la possibilità di crescere come persona e giocatore in un ambiente in cui devi ogni giorno confrontarti e rimetterti in discussione è fondamentale. Viaggiare, vedere, vivere altre esperienze porta vantaggi come essere umani, ovvio che anche come giocatore entrare in un Programma che ti segue e ti prende per quello che sei e non per quello che serve alla squadra, è importante. Quando reclutiamo un giocatore lo facciamo per quello che esprime in quel momento, per affinarne le doti e smussarne i difetti ma non per cambiarne il gioco. Non sempre in Europa è così, purtroppo, perché spesso l’obiettivo è solo quello di vincere e allora un 5 diventa un 3 e viceversa. Non si pensa allo sviluppo del ragazzo, ma al risultato e stop.

Vivere negli Stati Uniti cosa vuol dire?
Gli Stati Uniti sono il posto perfetto per il lavoro che faccio. Adoro lavorare in un College, vivo tra i ragazzi e la cosa mi tiene giovane. Sono costantemente informato dei loro gusti musicali, cinematografici e questo mi aiuta a entrare nella loro mentalità e a trovare il modo adeguato per comunicare con loro. Vivo qui da 13 anni, vero anche che gli Stati Uniti sono un Paese pieno di contraddizioni, da sempre. Anche per me è difficile comprendere l’esagerato uso delle armi, la pena di morte, la violenza della Polizia, la diffidenza che c’è tra bianchi e neri in diverse parti degli Stati Uniti. Per chi fa basket e ama lo sport, però, questo è il Paradiso.

Futuro. Ritieni questa esperienza formativa per un ritorno in Europa o vorresti rimanere li?
Ci penso relativamente, ho 31 anni e qui sono felice, mi sento un privilegiato e me lo ripeto tutti i giorni. A Gonzaga ho trovato una famiglia e uno staff che mi stima e mi valorizza, ho l’opportunità di fare il mio lavoro nel migliore dei modi. Prima o poi dovrò staccarmi, lo so. Non sono restio a tornare in Europa ma per ora preferisco guardare al College Basketball o alla NBA, perché è il mondo nel quale sono cresciuto. Non escludo nulla, non so dove mi porterà il futuro.

Quanto e come riesci a seguire il basket italiano?
Tutti i giorni, per quanto posso, guardando partite e leggendo notizie. Onestamente, mi confronto più spesso con coach che sono da questa parte dell’Oceano. Detto questo, nei due mesi che torno a casa cerco sempre di confrontarmi con tecnici e addetti ai lavori italiani ed europei. Lo considero un momento di arricchimento molto prezioso.

L’emozione di far parte dello staff di Ettore Messina.
L’emozione e il grandissimo senso di responsabilità di lavorare per un Hall of Famer, che pretende il massimo tutti i giorni da se stesso e da chi lo circonda. In più la possibilità di allenare giocatori di grande livello e l’onore di rappresentare il tuo Paese. Ho vissuto un’avventura straordinaria all’EuroBasket 2017, nello sport si vince e si perde ma rimane l’orgoglio di aver fatto di tutto per migliorarsi. E il ricordo di un’unione di intenti straordinaria, dal Presidente a tutti i membri dello staff che accompagnava la squadra.

La tua nuova collaborazione con la FIP.
L’obiettivo è quello di trovare giocatori di origine italiana, che siano eleggibili per la Nazionale e che abbiano voglia di far parte del progetto Azzurro. Vorremmo creare una struttura a lungo termine indipendente dalle persone che ne fanno parte, per supportare anche in futuro gli atleti italo-americani che abbiano piacere di giocare con la nostra Nazionale. L’esempio ci arriva da Christian Burns, uno che quando indossa sempre la Maglia Azzurra lo fa sempre con una voglia e un’energia straordinaria.

Foto Ufficio Stampa FIP