Paolo Rossi e Maradona, simboli di un decennio indimenticabile

Paolo Rossi e Maradona sono stati due simboli di un decennio irripetibile come gli anni ottanta. Ecco perché si può raccontarli solo inquadrandoli in quel contesto storico

E’ che, probabilmente, l’unico modo per ricordare Paolo Rossi è non parlare di Paolo Rossi. Così come l’unico modo per ricordare Maradona senza schierarsi tra chi ne vedeva solo il genio divino e chi gli contestava solo le debolezze umane era non parlare di Maradona. Che il primo e l’ultimo simbolo degli anni ottanta siano scomparsi a quindici giorni esatti di distanza è solo una coincidenza, casuale ma non per questo meno suggestiva. Così come è suggestivo l’incrocio dei numeri, 10 uno, 20 l’altro, 20 come quest’anno che sarà comunque lui pure indimenticabile, l’uno il doppio dell’altro, anche una semplice addizione li tiene insieme.

Perché è chiaro che Paolo Rossi era il numero 20. E il numero 20 era quello che aveva sulle spalle ai mondiali del 1982 e la potenza iconografica di quell’estate, di quel torneo, è tanto visiva quanto filosofica quanto materiale. Come Bearzot tra gli allenatori, non è mai esistito un altro giocatore nella storia del calcio italiano ad entrare nell’immaginario collettivo del paese quasi esclusivamente per quello che ha fatto con la maglia azzurra. Per quello che ha fatto con la maglia azzurra, in quel mondiale. Certamente che lo ricordiamo con quelle della Juve o del Vicenza. Ma sono ricordi, appunto. Spagna ’82 invece è un’immagine fissa, indelebile, c’è Zoff con la coppa, ci sono Gentile e proprio Maradona con la maglia strappata, c’è Tardelli che urla ma c’è soprattutto Paolo Rossi con le braccia sollevate dopo uno di quei sei gol.

Ma ecco, chiaramente quei sei gol se ne stanno qui a girare in circolo nella memoria collettiva perché non sono stati soltanto sei gol che ci hanno fatto vincere il terzo mondiale. L’Italia campione del mondo nel 1982 è stata il varo, il taglio del nastro di quel decennio indimenticabile di cui abbiamo parlato tante volte. Nel calcio, certamente, quello è stato il periodo più luminoso e desiderabile, perciò degno di tutta la nostalgia del nostro serbatoio, della serie A e di un movimento che dominava anche in Europa e nel mondo. Ma a livello sociale, gli anni ottanta sono stati il decennio più felice, anche spensierato, della storia moderna. Perciò inevitabilmente personaggi come Paolo Rossi e Maradona ci si vanno a conficcare perché da un lato hanno contribuito in maniera inequivocabile a renderli grandi, ma dall’altro li ricordiamo ancora più grandi grazie al periodo storico irripetibile in cui grandi sono stati.

Prendi per esempio la finale contro la Germania. Non c’è un’altra partita, a cercare negli almanacchi, che rappresenti in maniera tanto definita la metafora di quell’Italia. Tu a metà del primo tempo hai un rigore e lo sbagli. Potresti farti prendere dallo sconforto e crollare e invece reagisci e ai tedeschi gliene fai tre, uno dopo l’altro, uno più bello dell’altro. Non è semplicemente la trasposizione sportiva dell’Italia che reagisce agli anni di piombo, alla strategia della tensione e si tuffa in un decennio fatto di benessere economico e di quasi assoluta onnipotenza sul piano dei progetti e delle prospettive? Certo che lo è, ed è Paolo Rossi che si butta alle spalle la storiaccia del calcioscommesse a farlo cominciare, con quella tripletta al Brasile e la doppietta alla Polonia e il primo gol nella finale. Lo comincia lui, lo continua Maradona arrivando al Napoli, vincendo in Messico nel 1986 e lo scudetto nel 1987 e vincendone un secondo nel 1990. E’ sempre Maradona che fa finire gli anni ottanta nella semifinale di Napoli, contro l’Italia, nel mondiale italiano. In quegli otto anni, quasi nove, molti di noi hanno i ricordi più belli in assoluto. Dell’infanzia, dell’adolescenza, dell’età adulta. Per questo, probabilmente, non possiamo raccontare Paolo Rossi raccontando semplicemente Paolo Rossi. E lo stesso vale per Maradona.

Sono due personaggi i cui confini si mescolano con l’epoca storica in cui hanno vissuto fino a quando quei confini non si possono più distinguere. E’ forse il motivo principale per cui la loro scomparsa ci fa questo effetto. Che anche se lo sapevamo, più o meno, che gli anni ottanta erano finiti da un pezzo, finché c’erano loro per un altro pezzo potevano continuare. Adesso sono finiti sul serio. E siccome succede proprio in concomitanza con l’8 dicembre, una data che oltre a John Lennon uccise per sempre anche gli anni sessanta, e visto che il mondo ha vissuto senza John Lennon esattamente lo stesso tempo che John Lennon ha vissuto nel mondo e cioè quaranta anni, la facciamo chiudere a lui. And so dear friends, you just have to carry on. The dream is over.