Diego Armando Maradona, il calciatore di tutti (ma degli argentini e degli italiani di più)

Diego Armando Maradona è stato il calciatore di tutti, ma di argentini e italiani ancora di più: una riflessione cronologica e geografica

Ma quella storia del calcio degli anni ottanta, che era più bello qui che altrove, era vera perché da noi c’era Maradona o c’era Maradona perché qui il calcio era più bello che altrove? Entrambe le cose. Proviamo a scrivere questo articolo in dieci minuti esatti perché il dieci è il numero che ricorre, quello dell’eccellenza, quello che quando i numeri andavano da uno a undici stava sulle spalle dei più bravi. Maradona era certamente il più bravo di tutti all’epoca in cui ha giocato, probabilmente il più forte di tutti nella storia del gioco, ma è stato di due popoli un po’ più che di tutti gli altri. Gli argentini e gli italiani. I primi lo ebbero per nascita, i secondi lo acquisirono per meriti sul campo, entrambi si somigliano. I primi ebbero un mondiale e una finale che doveva essere dell’Italia, i secondi due scudetti, coppa Italia, coppa Uefa ma come al solito non è una questione di trofei. Se eravate sui siti di informazione principale il 25 novembre, avrete notato che quelli di nazioni come l’Inghilterra, la Francia, la Germania avevano Maradona in home page. Quelli di Argentina e Italia avevano solo Maradona in homepage, bisognava scrollare molto a lungo per trovare altre notizie. E anche quelli spagnoli, perché pure loro lo ebbero a Barcellona.

Possiamo dire che nella commozione mondiale suscitata dalla sua scomparsa, l’Argentina e l’Italia l’abbiano sentita anche più che altrove? Sì. Ed è un sì circostanziato, come quello che si deve appunto a una precisa era geologica oltre che geografica. Maradona fu la prosecuzione mitologica di Pelé in un mondo che non era più quello di Pelé. Di Pelé si sapeva molto ma si vedeva poco, di Maradona si sapeva tutto e si vedeva molto. E questa è una differenza sostanziale, per esempio, con le leggende di oggi, con Messi e Cristiano Ronaldo di cui si sa tutto ma si vede, anche, tutto. Maradona era già molto ma non era ancora tutto. Se eri napoletano potevi vederlo allo stadio una settimana sì e una no, se vivevi da un’altra parte potevi vederlo nei riflessi filmati di Novantesimo Minuto, oppure in un secondo tempo trasmesso verso le sette della domenica sera se la Rai decideva di trasmettere il Napoli. Ma erano riflessi, appunto. Da qualche parte nella storia del calcio e del nostro campionato c’è un Maradona che non abbiamo mai visto perché all’epoca le partite si ascoltavano alla radio, si vivevano allo stadio, ma in televisione si vedevano solo in mezzo alla settimana con le coppe europee, e nemmeno tutte.

Se andiamo continuamente a tuffarci dentro quel decennio con una nostalgia direttamente proporzionale al tempo che passa, è anche perché rispondiamo tutti a una legge universale: che minore è l’esposizione, maggiore è l’eccitazione. Vale per il calcio come per le relazioni sentimentali e con Maradona non era diverso. Se quel calcio ci manca è proprio perché ne avevamo piccole porzioni che appagavano il palato ma non saziavano mai completamente l’appetito, al contrario di oggi. Ogni città aveva un eroe straniero, tutte le grandi città vinsero lo scudetto. La Roma con Falcao, il Napoli con Maradona, la Juve con Platini, il Milan con Rijkjard, Gullit e Van Basten, l’Inter con Matthaus e Brehme e ci sarebbero anche il Verona e la Sampdoria. Oltre agli italiani, fu il decennio di brasiliani, argentini, francesi, olandesi, tedeschi. Il mondo era tutto sui nostri prati e i nostri prati avevano una personalità mai più conosciuta. Erano senza copertura, erano spesso coperti di fango, le porte di ogni stadio erano diverse, i palloni di ogni squadra erano diversi, c’era un logo Nr, Robe di Kappa, Uhlsport, Nike e Adidas si vedevano raramente e solo ai piedi, non sulla maglia. Per questo tuffarsi nella nostalgia di Maradona significa ripescare a piene mani da quei colori, quelle sensazioni, si vede anche nelle immagini sgranate che non sono in HD che era un calcio diverso, speciale, totalizzante, magnetico anche per chi è nato nel nuovo millennio e lo vede per la prima volta dopo esserselo sentito raccontare. La serie A era come il Totocalcio, una possibilità di vincere la dava a tutti e dal 1983 al 1991 a vincere di più, due scudetti come la Juve, fu il Napoli che prima non aveva vinto mai. Impensabile prima, impensabile dopo. Quando si dice che Maradona ha dato riscatto alla voce del sud, si intende precisamente questo.

Il calcio di quel periodo è una suggestione continua di cui Maradona è stato il punto più alto e probabilmente è anche per questo che la sua scomparsa suscita questo senso di retorico tributo che si deve a chi si è seduto sulla punta di una cometa che una volta passata non tornerà più. Il 2020 ha dato all’umanità non solo una pandemia, ma anche il dovere salutare due divinità dello sport mondiale, due eventi che capitano circa ogni venticinque anni e sono state per noi compresse in dieci mesi. Kobe Bryant e Maradona, due simboli del nuovo millennio e di quello passato. Per noi e per gli argentini, più che gli altri popoli del pianeta, con una consapevolezza maggiore. Maradona è stato di tutti, ma di noi un po’ di più.