Maledizione Champions League, la coppa che spezza sogni e carriere

Da Buffon ad Allegri passando per il Real Madrid, perdere la Champions League modifica le percezioni, spezza i sogni e rischia di condizionare le carriere dei protagonisti che non riescono a vincerla

Prendete Gigi Buffon. Lui la coppa, quella coppa, non la vincerà neanche quest’anno. Nel 2018 la perse contro il Real Madrid perché non c’era il Var in Champions League. Nel 2019 l’ha persa contro il Manchester United perché c’è il Var in Champions League. Il contrappasso è ironico ma doloroso, se sei forse il più grande portiere della storia e di sicuro della modernità. E’ anche surreale, se perdi agli ottavi dopo avere vinto 2-0 a Old Trafford e la rimonta 3-1 dei Red Devils, a casa tua, è anche frutto di un tuo errore di respinta su uno straccio bagnato tirato senza velleità che regala il secondo gol a Lukaku e fa piovere 2 in pagella dalle testate giornalistiche di tutto il mondo. Buffon quella coppa non riesce a vincerla ma non dispera, non si ritira, anzi persevera, anzi rinnova. Con il Psg fino a 43 anni. Se questa non è un’ossessione, gli psicologi di tutto il mondo possono trovarsi un altro lavoro.

Prendete Max Allegri. Lui la coppa, quella coppa, potrebbe ancora vincerla quest’anno. Sbattuto fuori dall’Atletico Madrid dopo l’andata, l’unica squadra che proprio non voleva trovarsi davanti nella strada verso la finale, tacciato come fautore del gioco brutto. La sconfitta dell’andata aveva di fatto cancellato, come un beffardo incantesimo magico, cinque anni di trionfi. Mica parliamo di noccioline. Cinque scudetti consecutivi, quattro coppe Italia, due finali di Champions. Perse, è vero, ma in quest’epoca di dittatura iberica quante altre squadre ci sono arrivate all’ultimo atto? Non il Manchester City, né il Psg, non il Manchester United, né il Bayern Monaco. Ci sono arrivate Barcellona e Real Madrid, con cui ha perso in finale, c’è arrivato l’Atletico Madridche ha battuto quest’anno, poi solo il Liverpool. Eppure non contava niente prima dell’andata, eppure è (ri)diventato un genio tattico al ritorno, dando fiducia a Bernardeschi, Spinazzola, Kean. Il sogno bianconero è ancora in piedi dopo essersi sgretolato.

Dice, ma quelle di Buffon e di Allegri sono storie esclusivamente o tendenzialmente bianconere. Allora prendete il Real Madrid. Loro la coppa, quella coppa, fino all’anno scorso non erano capaci di perderla. Tre di fila. Arriva sempre il momento in cui un ciclo finisce, gli dei smettono di sorriderti e uno di loro decide pure di andarsene a giocare in un altro campionato. Eppure il crollo contro l’Ajax ha mandato in fiamme la città, ha fatto saltare per aria anche prima del previsto un traghettatore innocente come Solari, ha trasformato una fisiologica stagione di ricambio in una tragedia capitale. Dopo averne vinte tre di seguito e quattro in cinque anni. E infatti è stato richiamato in tutta fretta Zidane, un talismano più che un allenatore, proprio in nome del tris da lui firmato. Tutto normale?

Poi prendete Diego Simeone. Quello che i capolavori continua a farli anno dopo anno e Cristiano Ronaldo continua a rovinarglieli puntualmente. Pensava di essersene liberato dopo avere perso due derby in finale e uno in semifinale, pensava di averlo neutralizzato dopo il 2-0 dell’andata. Niente. Quell’altro si diverte a mandargli in frantumi il cammino verso la coppa, stavolta con la tripletta dello Stadium. Simeone non aveva mai perso contro una squadra italiana, la Juve non aveva mai ribaltato due gol al ritorno. CR7 disintegra i record. Degli altri. E i sortilegi. Bianconeri. Per ora. Il Cholismo si ferma sempre sul Cristianoronaldismo.

Ci sarebbe anche Di Francesco. Lui la coppa, quella coppa, non doveva vincerla. Ma è stato l’unico allenatore giallorosso ad andarci vicino, a raggiungere la semifinale dopo 34 anni, a sfiorare la finale. L’anno dopo, a un passo di nuovo dai quarti, beffato da due errori di Dzeko davanti al portiere e da un non fischio arbitrale che il Var non ha saputo convertire almeno in review, cacciato a marzo per l’eliminazione agli ottavi. Per quella e non per altro, perché altrimenti lo avrebbero mandato via molto prima invece di aspettare l’esito della sfida con il Porto. Tutto cancellato con la necessità di mettere nella capitale un normalizzatore come Ranieri. Già, perché portare la tua squadra tra le prime quattro d’Europa nel 2018 e a un soffio dalle prime otto nel 2019 è un’anomalia da cancellare.

E queste sono le storie di chi, al primo capitolo dell’eliminazione diretta, appartiene già al passato. Ci sarebbero poi quelli del presente, che all’ultimo capitolo devono arrivarci ma solo uno finirà il libro da eroe. Tipo Guardiola, che fuori da Barcellona non ci è mai andato nemmeno vicino. Tipo Klopp, che come Allegri ha perso due finali e nel frattempo rischia di farsi sfuggire anche l’altra maledizione liverpooliana, il titolo in Premier League che manca dal 1990, ma almeno è riuscito a togliersi la soddisfazione di eliminare il Bayern Monaco suo incubo. Qualcuno aggiungerà una nuova maledizione a quelle precedenti.

E il rammarico quest’anno sarà più forte per gli eliminati, perché sono già saltate per aria Real Madrid, Atletico, Bayern Monaco, Borussia Dortmund, Psg. La strada non spiana, ma verso il traguardo alcune delle salite sulla carta più dura sono già fuori dal percorso. Capita raramente in Champions, come quando nel 2004 si affrontarono in finale Porto e Monaco e iniziò a brillare la stella di Mourinho. Un altro che l’ha vinta due volte eppure è stato cacciato da Manchester per evitare che facesse altri danni e il suo successore, un norvegese che non aveva mai allenato a alti livelli, ha ribaltato il Psg e tutti a circondarlo di un’aurea magica perché ‘chi meglio di lui, che segnò il gol decisivo nel 1999 in finale e in rimonta contro il Bayern Monaco’? Tanti sogni e carriere indirizzati, modificati, influenzati e spezzati in nome della coppa. Di quella coppa. Che non si può programmare, tante sono le incognite e le difficoltà sparse in otto mesi di percorso, eppure ti può condannare se non la vinci.