
Da un paio di stagioni Monza è diventata una sorta di porta sul futuro, che si spalanca sulle prospettive della Ferrari e racconta ciò che può essere e ciò che non può essere. Proprio un anno fa il gran premio di casa disse che la rossa non era in grado di battere la Mercedes per il mondiale perché non era in grado di gestire i propri piloti nel momento decisivo del campionato e perché Vettel, all’ennesimo errore contro Hamilton, non era in grado di gestire la pressione emotiva contro l’avversario che gli contendeva il quinto titolo mondiale. Dodici mesi più tardi, Monza dice che la Ferrari ha un nuovo padrone e conferma che il nuovo, inteso come nome e come pilota ma anche come generazione, travolge il vecchio. Dentro il trionfo di Leclerc c’è il declino di Vettel e non è una dinamica reversibile. Come del resto si poteva intuire, e lo avevamo scritto a bocce ferme.
Vettel
Dunque, in ordine cronologico, dal vecchio si parte perché è ormai chiaro dove si arriva. Sempre allo stesso punto, in un loop circolare nel quale un pilota che ha vinto quattro titoli mondiali perde progressivamente il controllo. Prima dei propri nervi, poi della propria monoposto, quindi della squadra per cui corre, infine dei suoi tifosi. Il suo regno per un cavallo, anzi per il cavallino, Vettel lo ha perso dal 2017 in avanti perché messo di fronte al più duro tra gli avversari sul piano emotivo, ne è stato lentamente stritolato. Troppi errori, quasi tutti gratuiti, quasi sempre conseguenza dell’incapacità di mantenersi freddo di fronte a scelte decisive in pista. Concetti da ripetere per aumentarne il valore. A volte nella vita e nello sport trovi chi è più bravo di te indipendentemente dal tuo grado di bravura. La differenza è che il tedesco, di fronte a Hamilton, non ha trovato dentro di sé lo step successivo, il salire di livello al contemporaneo crescere della sfida, è rimasto fermo al pit stop dei propri limiti. E appena gli è stato messo di fianco un ragazzo con il fuoco dentro, e non più un finlandese senza reali motivazioni, è svanito nel nulla. La sua Monza ha fatto perfino tenerezza, con quel testacoda solitario, quel rientro in pista sciagurato, quel già visto che si traduce semplicemente in una verità ormai costante. Vettel reagisce alle delusioni deludendo ulteriormente. Accumulando altri errori quando si sente in credito con qualcuno, con qualcosa, con la sorte. E delude ulteriormente chi, esattamente a Monza 2018, aveva dovuto prendere atto che non è con lui che si può battere Hamilton e la Mercedes. Ci voleva qualcuno di altrettanto duro e implacabile.
Leclerc
Leclerc che vince a Monza non è soltanto un giovane pilota che conquista il gran premio più importante della stagione per la Ferrari. Non è nemmeno un giovane pilota che ne vince due di seguito in Belgio e in Italia, i circuiti più rappresentativi della F1 insieme all’Inghilterra, proprio come aveva fatto Michael Schumacher nel 1996 al primo anno in rosso. Non è neanche soltanto l’uomo che riporta il gran premio d’Italia a casa dopo nove anni di digiuno. Queste sono solo suggestioni statistiche, ché tanto pure Vettel doveva da tedesco raccogliere l’eredità della leggenda e non ci è riuscito. Non ha vinto solo una gara perché è arrivato primo, l’ha vinta soprattutto perché ha battuto Hamilton e la Mercedes. Si è avuta chiaramente la percezione, in quei 53 giri, che Hamilton non sarebbe riuscito a parlare e Bottas non ne parliamo. Si è visto nitidamente che il campione del mondo stava sbattendo i denti contro qualcuno duro come lui, spigoloso come lui, insensibile alla pressione come lui. Il britannico i suoi avversari li stritola dentro una morsa emotiva implacabile e li soffoca. Contro Leclerc, a Spa e Monza ovvero a quasi parità di vettura, è rimbalzato indietro dopo vari tentativi. Il diamante non lo puoi spezzare e Leclerc è un vero diamante, capace di guidare al limite, sotto pressione, di andare oltre quel limite ma di rimediare velocemente all’errore, vedi il taglio geniale della prima chicane o la capacità di trovare il modo di non prendere bandiera a scacchi nel finale del Q3, da tutti interpretata come segnale di egoismo nei confronti della squadra ma da un altro punto di vista semplicemente il modo di uscire dai guai più velocemente degli altri. Roba da fuoriclasse, che va oltre la stoffa dei campioni, quella che ti fa essere totalizzante, che ti fa chiudere la porta in faccia a tutti, avversari e compagni di squadra, in uno sport brutale che non guarda in faccia nessuno. A Monza, dopo la consapevolezza acida della scorsa stagione, ne è comparsa un’altra entusiasmante. C’è qualcuno in grado di rispondere colpo su colpo a Hamilton, di giocare al suo stesso gioco, di batterlo pure. E indossa la tuta rossa.
Le conseguenze
Ora si potrebbe dire spensieratamente che Vettel è un campione da quattro titoli mondiali ma non un fuoriclasse, e che Leclerc è un fuoriclasse dopo un paio di vittorie? Sì, a dare retta alla suggestione, ma sarebbe un esercizio pericoloso. Le suggestioni a volte ti portano fuori strada, fuori logica, fuori tempo massimo. Come con Vettel. Invece a Monza si è visto quel bagliore che illuminava i nomi che hanno fatto la storia. Inutile fare l’elenco, lo conoscete tutti. A Monza una nuova generazione ha preso possesso della Ferrari, dei suoi tifosi in delirio, della scuderia, della F1. Leclerc e Verstappen si giocheranno il futuro di questo sport. Ma nel presente, il sorpasso del francese ai danni del compagno tedesco è compiuto e non soltanto in classifica. Ed è stato incredibilmente veloce. Come tutto il resto. Veloce e inevitabile.