Serie A 2017-18: migliore allenatore, squadra rivelazione e squadra delusione della stagione

Il nostro approfondimento stagionale sui protagonisti della serie A: in questa seconda parte spazio ai migliori allenatori della stagione, alla squadra rivelazione e alla delusione della stagione 2017-18

Con la fine della stagione, spazio all’approfondimento sul rendimento dei protagonisti della serie A 2017-18. Ecco la seconda carrellata di premi partendo dal migliore allenatore della stagione.

Miglior Allenatore dell’anno

1. Simone Inzaghi – E’ stato sicuramente un finale di stagione agrodolce per il tecnico biancoceleste, a causa di un’estromissione dolorosa dalla prossima edizione di Champions, arrivata proprio al termine di un’annata in cui la Lazio ha comunque combattuto per traguardi che, ai blocchi di partenza, quasi nessuno avrebbe ammesso che sarebbero davvero potuti risultare alla sua portata. Eppure, gli uomini di Inzaghi sono stati bravissimi a ribaltare questi pronostici, anche al netto del crollo finale, forse dovuto ad un mix letale tra mancanza di energie, soprattutto a causa di una rosa non certo lunghissima (per essere diplomatici), ed infortuni pesanti (Immobile e Luis Alberto) che hanno privato la Lazio di due dei suoi uomini-chiave nelle ultime gare. Tuttavia, la versione 2017/18 della squadra biancoceleste ha restituito l’immagine di una macchina travolgente, soprattutto dal punto di vista offensivo (miglior attacco del Campionato). Una squadra a forte trazione verticale, che difficilmente ha concesso punti di riferimento precisi agli avversari, grazie ad una interpretazione dei ruoli esente da eccessivi vincoli e caratterizzata dall’interscambio continuo di posizioni e consegne tattiche. In fase di non possesso, inoltre, la fluidità dei moduli ha permesso agli uomini di Inzaghi di sapersi rendere più equilibrata, grazie agli scivolamenti degli esterni di centrocampo in difesa e dei trequartisti in mediana. Semmai, il vero punto debole mostrato dalla Lazio si è paradossalmente rivelato lo stesso che, per gran parte della stagione, rappresentava invece la vera arma in più della squadra biancoceleste: ossia, la mancanza di equilibrio quando i ritmi si alzavano a livelli che rendevano la partita priva di un effettivo padrone. In queste situazioni, la Lazio si è spesso fatto trovare impreparata nelle transizioni difensive, oltre che in fase di marcature preventive. Inoltre, altrettanto evidenti sono state le disattenzioni dei singoli e la mancanza di concentrazione da parte di alcuni elementi della retroguardia biancoceleste, che hanno portato ad errori banali costati caro. Eppure, nonostante i soli due punti conquistati nelle ultime tre partite di Campionato e quei tredici minuti finali contro l’Inter, è impossibile non premiare Simone Inzaghi per il lavoro svolto. E pensare che solo due anni fa, l’ex-tecnico della Primavera biancoceleste era riuscito a guadagnarsi il posto sulla panchina della prima squadra solo grazie all’addio tragicomico di Bielsa. Mentre non è un caso che ora lo stesso Inzaghi venga addirittura visto quale prossimo erede di Allegri alla Juventus (quasi come se lo scopo di ogni membro della famiglia Inzaghi fosse quello di detronizzare l’ex-allenatore di Sassuolo, Cagliari e Milan…..).

2. Leonardo Semplici – Dopo aver preso in mano la SPAL nel 2014, Semplici è riuscito nella semi-impresa di (ri-)portare il club ferrarese in Serie A, partendo dalla Lega Pro, nel giro di tre stagioni. Una doppia promozione consecutiva a cui ha fatto seguito, quest’anno, un’obiettivamente inattesa salvezza, specialmente per quelle che erano le premesse della vigilia. Nella “cavalcata” di questa stagione, Semplici ha avuto il merito di non abbandonare quei princìpi su cui aveva improntato il proprio sistema di gioco anche negli anni precedenti e che avevano portato la SPAL a conquistare nel giro di due anni la massima serie: innanzitutto, l’utilizzo della difesa a tre con cui gestire il pallone fin dalle prime battute, per consolidare il possesso e permettere alla squadra di uscire con maggior qualità dall’eventuale pressing avversario. All’interno dello scacchiere tattico disegnato da Semplici, è risultata quanto mai necessaria la presenza di Vicari, il vero regista della squadra, specialmente nelle situazioni in cui a Viviani veniva impedita la ricezione fra le linee. Intorno a lui ed a Felipe (rivelatosi utilissimo, data l’esperienza a questi livelli nel suo bagaglio personale) sono stati ruotati molti giocatori: inizialmente, era stata riposta particolare fiducia in Oikonomou, Salamon e Väisänen, proprio perché capaci di assicuraare un tasso qualitativo relativamente alto nell’uscita della palla, ma certamente meno reattivi a garantire adeguate coperture con troppo campo alle spalle. Con il passare dei mesi, però, il tecnico fiorentino è stato capace di scendere a patti con il cinismo della Serie A, cominciando a servirsi stabilmente di Cionek. In attacco, poi, il calciomercato estivo ha portato in dote mestieranti navigati della categoria, come Borriello o Paloschi (ai quali si aggiungeva il già presente Floccari). Tuttavia, nonostante la folta concorrenza, l’uomo che ha saputo mantenere maggior continuità in fase realizzativa è stato Antenucci, uno dei pretoriani di Semplici. Ad ogni modo, dopo le prime dieci giornate di Campionato, la SPAL si trovava penultima in classifica, davanti al solo Benevento, reduce da sette sconfitte in otto partite. Il cambio di marcia è arrivato immediatamente, proprio grazie ad alcune scelte ed aggiustamenti tattici del mister, e così il club ferrarese nelle successive otto gare ha conquistato dieci punti, frutto di due vittorie e quattro pareggi. In tutto il girone di ritorno, poi, la SPAL di punti ne ha totalizzati addirittura 23 (quanti la Sampdoria, per intenderci), riuscendo così a guadagnare una salvezza che, solo pochi mesi prima, sembrava insperata e, soprattutto, tagliando questo traguardo attraverso il gioco, senza mai rinunciare alla propria identità. Un messaggio importante, questo lanciato da Semplici e che si spera possa fungere da esempio e da traino per tutte le altre squadre che ogni anno devono lottare per evitare la retrocessione. Con la speranza che in futuro possa essere finalmente sfatata la massima secondo cui il raggiungimento della salvezza non possa che passare attraverso un gioco di reazione, votato all’ingolfamento degli spazi nella propria metà campo e senza nessuna pretesa di controllo del pallone.

3. Gennaro Gattuso – Chiamato a sostituire Montella a Campionato ormai abbondantemente iniziato (male, per il Milan), l’esperienza sulla panchina rossonera di Gattuso si è aperta con il finale tragicomico di Benevento. E’ probabile che tra dieci o venti anni, ci si ricorderà ancora di quel gol segnato dal portiere Brignoli all’ultimo secondo. Troppi i fattori di eccezionalità tutti insieme: tra gli altri, come non ricordare che la squadra campana, prima di quella gara, fosse reduce da 14 sconfitte consecutive (il peggior inizio ogni epoca del Calcio europeo). Il girone di andata dei rossoneri si è poi concluso con una sconfitta nella sempre “Fatal Verona” e con un altro brutto stop, in casa contro l’Atalanta di Gasperini, capace di sbancare San Siro grazie anche al gol siglato dall’ex-rossonero Cristante (della serie, oltre al danno la beffa). Eppure, nel girone di ritorno Gattuso è stato capace di ridare serenità e risultati alla propria squadra, restituendo compattezza (soprattutto attraverso l’utilizzo della difesa a quattro) e centralità tattica a tutti gli uomini di maggior spessore tecnico presenti in rosa (Bonucci, Bonaventura, Çalhanoğlu e Suso). In particolare, rispetto alla gestione Montella, durante la quale il Milan era spesso volto alla risalita del campo graduale, con i terzini (soprattutto Ricardo Rodríguez) bloccati inizialmente dietro per cercare di fornire più soluzioni al palleggio, Gattuso ha cercato una transizione della palla più veloce, con Bonucci e Romagnoli chiamati alla ricerca delle mezzali, oppure dei due esterni offensivi alle spalle del centrocampo avversario, quando questi ultimi entravano in mezzo al campo. Allo stesso modo, pure la gestione dei terzini è cambiata, venendo loro chiesto di salire anche senza palla, per garantire maggior ampiezza nelle transizioni offensive e per premiare, tramite i cross, gli inserimenti in area dei centrocampisti (Bonaventura in primis). Tuttavia, contro squadre che pressavano alte, gli esterni difensivi dovevano inizialmente rimanere sulla stessa linea dei difensori centrali, in modo tale da consolidare il palleggio ed attirare il pressing delle mezzali, per poi sfruttare gli spazzi che consequenzialmente si venivano a creare. Non è un caso, del resto, che i rossoneri, nel solo girone di ritorno, abbiano totalizzato più punti di tutti, Juventus e Napoli escluse. Non abbastanza per recuperare il troppo terreno perso nei confronti di Inter e Lazio (troppo il ritardo accumulato nella prima metà di stagione), ma comunque abbastanza per premiare Gattuso per il lavoro svolto in questa prima metà di 2018.

Squadra rivelazione dell’anno

Lazio – E’ difficile spiegare esattamente per quale motivo la Lazio sia stata considerata da molti addetti ai lavori (e non) LA rivelazione dell’anno. A conti fatti, i biancocelesti non hanno fatto “altro” che replicare la, comunque ottima, stagione dello scorso anno, con lo stesso posizionamento finale in classifica e due punti in più, comunque non sufficienti a conquistare l’agognato quarto posto (lo scorso anno invece sarebbero bastati, ma la qualificazione in Champions non era ancora stata allargata anche alla prima squadra fuori dal podio). Anche dal punto di vista statistico, la squadra di Simone Inzaghi ha comunque collezionato molte luci, ma altrettante ombre: infatti, la Lazio ha fatto registrare, oltre al miglior attacco del torneo, la peggior difesa fra le prime nove classificatesi. Insomma, esattamente in cosa il Campionato della Lazio sarebbe risultato così sorprendente, rispetto alle altre? Ebbene, tanto per cominciare, bisognerebbe sottolineare il fatto che questo Campionato è risultato alquanto avaro di sorprese, perlomeno in positivo (per quelle in negativo, invece, ci arriveremo a breve). Eppure, ridurre il tutto ad una mancanza di “concorrenza” non sarebbe corretto, nei confronti di una squadra che, per larghi tratti del Campionato, si è sicuramente affermata come una delle più divertenti (se non la più divertente in assoluto) da veder giocare. E non è un caso che Simone Inzaghi sia stato premiato quale miglior allenatore dell’anno. Forse, più che di sorpresa, si dovrebbe parlare di piacevole conferma. Del resto, anche un anno fa avevamo considerato la Lazio fra le rivelazioni del Campionato e, quando ne avevamo analizzato le ragioni, alla fine avevamo ribadito quelli che sarebbero dovuti essere i principali traguardi del club nella stagione successiva (ossia quella appena conclusa). Citando testuale: «la profezia vuole che il club biancoceleste alterni costantemente, da otto anni a questa parte, una stagione pessima con un’altra esaltante e quest’anno c’è stata l’ennesima conferma. Ora sarà compito della dirigenza provare a rompere definitivamente la maledizione, consolidando anche l’anno venturo tutto ciò che di buono è stato seminato in questi ultimi mesi. A partire dalla prossima Supercoppa, da disputare ancora contro i bianconeri: questo sarà il primo taboo da sfatare, soprattutto per iniziare al meglio e con un trofeo in più in bacheca la nuova annata». Ebbene, ad un anno di distanza, possiamo dirlo con sicurezza: missione compiuta.

Squadra delusione dell’anno

Milan – Lo scorso anno, in questa stessa graduatoria, avevamo messo i rossoneri sull’ultimo gradino del podio, principalmente grazie al fatto che, a differenza di Inter e Fiorentina, perlomeno erano riusciti a conquistare la qualificazione in Europa League. Ad oggi, invece, nemmeno l’aver replicato i risultati dello scorso anno, conquistando un punto in più, può permettere qualsiasi considerazione che non parta dal presupposto che il Milan questa volta è stato in assoluto la vera delusione della stagione. E con un enorme distacco su qualsiasi eventuale secondo classificato, andrebbe aggiunto. Del resto, il commento riguardo il Campionato del Milan di un anno fa si concludeva con uno sguardo al futuro tutto sommato positivo: citando testuale le nostre considerazioni in merito, infatti, si poteva leggere che «(…) notizie ben migliori arrivano dal mercato, dato che la dirigenza rossonera ha già piazzato colpi importanti (…) ed altri sembrano in procinto di arrivare (…). Del resto, in situazioni del genere, è sempre meglio voltar pagina e pensare al futuro». E infatti i rossoneri, dopo la scorsa sessione estiva di mercato, si pensava davvero che potessero aver colmato parte del gap con le prime della classe. Nonostante alcuni equivoci tattici di fondo, infatti, la squadra sembrava esser costruita in maniera logica e razionale, con molti giocatori associativi nella metà sinistra ed altri elementi ottimi nell’attaccare gli spazi senza palla in quella destra. L’idea di fondo rimaneva quella di sovraccaricare la zona mancina, per poi premiare gli inserimenti sul lato debole (un po’ il concetto su cui si basa anche il gioco del Napoli, del resto). E Montella pareva l’allenatore giusto per realizzare sul campo quanto teorizzato a bocce ferme. Invece, tra rendimenti sottotono di molti giocatori fondamentali (Bonucci e Biglia su tutti) e l’infortunio grave di Conti, sono emerse fin da subito le pecche di un tale sistema di gioco, ancora ostaggio delle ambiguità di ruolo di alcuni interpreti. E nemmeno il comunque ottimo girone di ritorno può bastare per salvare la stagione, soprattutto alla luce degli investimenti fatti in estate. Investimenti che, adesso, rischiano di complicare seriamente il futuro del club, a causa delle sanzioni già annunciate dall’UEFA, che potrebbero estromettere di fatto il Milan dall’Europa. Lo stesso Milan che dieci anni fa saliva sul tetto del Mondo e che invece, il 21 Aprile scorso, in una replica imprevista dell’ormai iconico Milan-Cavese, veniva sommerso di fischi a San Siro, dopo esser stato sconfitto in casa dal Benevento.