Il 30 maggio 1984 di Andrea Scapigliati, Prof. universitario dal cuore giallorosso

E' un Professore dell'Istituto di Anestesia e Rianimazione all'Università Cattolica del Sacro Cuore e Presidente della Italian Resuscitation Council. Gli ho chiesto di raccontarmi il suo 30 maggio 1984, il giorno di Roma-Liverpool.

Tecnicamente, Andrea Scapigliati è un luminare della Sanità italiana, Professore aggregato all’Istituto di Anestesia e Rianimazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Presidente della Italian Resuscitation Council. Gli ho chiesto di raccontarmi il suo 30 maggio 1984. Ho avuto la conferma che sotto a quel camice bianco alberga l’anima di un poeta e un cuore meravigliosamente giallorosso. Buon divertimento.

Il Flaminio è un quartiere di angoli nascosti sotto una curva. Incroci larghi e regolari che sorreggono una gobba di terra carezzata dal Tevere. Una parentesi nella corrente melmosa della Storia. Un posto perfetto dove srotolare l’adolescenza. Dove annusare il mondo, assaggiarne il dolce e l’amaro, farsi graffiare senza malizia, illudersi di doverlo cambiare. Il luogo perfetto per innamorarsi come fosse per sempre.

Se entri nel Flaminio dal fiume nel punto più a nord, come facevano i forestieri per andare a vedere Roma, come faceva il tram quando le rotaie solcavano Ponte Milvio, come faceva l’acqua straripata per trascinare la barcaccia fino a piazza di Spagna; se ti affacci dà lì, passi tra un giardinetto che una volta ci facevamo le squadre con la conta mentre nonna raccoglieva i pinoli e una chiesetta col cimitero e la campana per la messa; se alzi la testa, da lì, lo vedi il primo angolo. È un palazzone alto ma morbido, che non ti punge di spigolo ma ti accoglie smussando.

Ovviamente non lo scegliemmo per quello. Allora non alzavamo la testa per guardare la forma dei palazzi. Perché quella era l’età in cui ti importa delle persone, non dei posti. E in quel posto ci abitava uno di noi. Per quello lo scegliemmo. Il più visionario di noi. A 500 metri d’aria dal luogo reale dove quella cosa stava accadendo, noi ci trovammo a casa del Crucio come per vedere le immagini dell’Apollo 11. Spaghetti e fettine panate garantiti dalla casa e poi ognuno portava qualcosa. Io la torta, perché quella sera, a mezza notte, avrei compiuto 18 anni. La torta e una scatola di rauti.

Sarei diventato maggiorenne quella sera. In ogni caso. Da vincente o da uomo. La torta la mangiammo, i rauti no; ce li ho ancora nel comodino. Le ragazze mi fecero gli auguri e lei coi suoi occhi celesti si avvicinò a ricordarmi che ci sono passioni di cui non ti libererai mai. E lo sapeva di non essere lei.

Foto Ufficio Stampa AS Roma