La punta di vitello al forno e la rivincita di Mario “Boogie”

Una ricetta sepolta nella mente per decenni e riscoperta di questi tempi insieme a qualche altra storiella

Via Cesare da Sesto, quasi all’angolo con Corso Genova, per molti anni è stata la sede delle storica Trattoria Albertazzi. Un posto alla buona, ancora ben al riparo degli eccessi della globalizzazione e anche da certe strane idee di oggi che vorrebbero indurci a dare maggior importanza alla condivisione sociale delle immagini di quello che si mangia piuttosto che all’atto in se. Siamo strapieni di foodies farlocchi, senz’anima.

Negli anni ottanta, almeno da Albertazzi, anche i moduli per fare le ricevute fiscali erano rigorosamente local. Erano prodotti dalla Eurgraf Tipolito di Ebaghetti e Gemelli con sede in via G. Alessi 10, proprio a due passi. La società esiste ancora ma si è trasferita a Cesano Boscone mentre Albertazzi ha chiuso da tanti anni.

Mi legano a quel luogo il ricordo di alcune persone che non vedo da decenni e la mitica punta di vitello al forno con patate.

Secondo lo zio Franco, il dott. Rovida e il Carlino era l’unico piatto degno di questo nome che il locale era in grado di offrire. La pensava allo stesso modo anche uno dei camerieri storici, di quelli di una volta, che alla domanda “Cosa ci dai oggi”? rispondeva immancabilmente: “Punta”. Non sono mai stato assiduo come loro ma posso testimoniare che il copione non è mai cambiato.

Come dicevo, era un posto alla buona, si spendeva pochissimo per essere a Milano. Il mezzo litro di vino (pessimo), venduto ovviamente sfuso, costava 1.000 lire. I primi andavano sulle 2.000 lire, i secondi 6-7.000. Caffè 700 lire.

Si passava poi alla cassa, uno per uno, dove Mario faceva il conto. Gli tremava parecchio la mano e per questo lo chiamavamo “Boogie”. Da giovani si è un po’ bastardelli. Per noi Albertazzi era solo un’insegna: si andava a pranzo da Mario, da Mario “Boogie”.

Per anni ho pensato che la punta di vitello al forno fosse un ripiego, un salvataggio in corner per evitare improbabili risotti. In realtà non ho mai saputo se in quella trattoria si mangiasse bene o male, dato che ho sempre mangiato la stessa cosa. L’errata percezione però è rimasta per molto tempo fino a quando non l’ho finalmente rivalutata.

Si tratta di un taglio tipicamente italiano, oggi molti si riferiscono al petto di bovino con il termine brisket, che però mi dicono che non sia proprio la stessa cosa.

Ricetta semplice della punta di vitello al forno

Un pezzo di punta di circa un kg
Sale
Pepe
Rosmarino
Olio d’oliva
Una tazza di brodo vegetale

Versare un filo d’olio in una una padella ben calda e rosolare la carne su tutti i lati. Dicono che serva a sigillarla, io so solo che così viene bene e mi basta.

Nel frattempo avrete portato il forno a una temperatura non troppo alta, diciamo 180°.

Una volta finito di rosolare prendete un misto si sale, pepe e rosmarino e cospargetelo sulla carne cercando di spalmarlo bene.

Infornate avendo cura di usare la carta forno ben oliata. Controllate di tanto in tanto che la carne non si asciughi troppo ma, dato che succederà, siate pronti a bagnarla con un po’ di brodo. C’è chi dice di metterla in forno coperta per almeno una parte della cottura e poi una bella botta di grill nel finale. Ci sta.

Dopo circa 90-100 minuti dovrebbe essere pronta. Una preparazione alla portata di tutti i cuochi e anche di tutti i portafogli dato che tutto compreso spenderete 10-15 euro per un bel pezzo di carne che tagliata a fette farà la sua figura e non deluderà.

Per le patate arrosto, se le volete, non credo che vi serva la ricetta.

Grazie Mario e scusaci per quel nomignolo così poco rispettoso. E poi probabilmente da te si mangiava meglio di come dicevano i miei amici. Dieci anni fa un’amica svizzera mi chiamò per chiedermi se a Milano ci fossero ancora posti come Albertazzi, che alla sua mamma piaceva tanto.