Il protocollo per la ripresa della serie A

I protocolli per la ripresa della serie A: scelta dei campi di gioco, sede dei ritiri permanenti, trasferimenti

C’è un protocollo per la ripresa del calcio italiano, o meglio della serie A, in totale sicurezza. Studiato dalla Figc e predisposto da una commissione medica presieduta da Paolo Zeppilli ed è stato pubblicato integralmente dalla Gazzetta dello Sport. Come abbiamo già scritto parlando dei criteri per la ripartenza, l’obiettivo è mettere in sicurezza l’intero ambiente e non è una missione facile visto che le incognite legate al Covid 19 e all’epidemia sono ancora molte. Per questo un punto focale del protocollo è quello di organizzare ritiri permanenti e giocare in aree nelle quali il rischio di infezione è significativamente minore, come ha detto anche Walter Ricciardi dell’Oms, ovvero al centro e al sud. Ma è fattibile, in un contesto nel quale alcune squadre come il Brescia sono contrarie al ritorno in campo? Vediamo.

La scelta dei campi

Ecco un concetto da approfondire, perché in questa fase che potrebbe durare a lungo non ci sarà pubblico intorno alle partite, solo davanti alla televisione e allora anche il concetto di stadio perde la propria forma. Per avere una gara di serie A a porte chiuse, lo stadio non serve più. Basta un campo di calcio in ottime condizioni di manutenzione con lo spazio sufficiente per allestire e rendere possibile la trasmissione televisiva che dovrà garantire a Sky e Dazn la possibilità di diffonderlo sul territorio nazionale (e pagare contestualmente i diritti televisivi alle società, che è il motivo per cui si farà di tutto per concludere la stagione). Gravina ha detto che si augura di permettere a tutte le squadre di giocare nel proprio impianto a giugno, ma la situazione della Lombardia e del nord nel quale giocano almeno 12 squadre rende difficile crederlo. Alcune società come l’Inter sono al momento ostili all’idea di traslocare in forma definitiva per concludere il campionato, altre come il Milan riconoscono che senza pubblico il fattore campo scompare automaticamente e a quel punto un campo vale l’altro. Spostare il campionato al sud è praticamente infattibile se si cercano stadi nei quali disputare le 124 partite che mancano alla fine del campionato, ma potrebbe diventare più facile se si cercassero campi in ottime condizioni di manto erboso, anche se rimane il nodo di strutture e alloggi complementari (spogliatoi, docce, spazi logistici) che servono per organizzare una partita di serie A. L’altro problema, direttamente collegato a questo, è quello dei centri sportivi.

I centri sportivi

Ogni squadra di serie A, dalla preparazione allo svolgimento di una partita, mette in moto tra le 50 e le 70 persone. Giocatori, allenatori, dirigenti, staff medico, magazzinieri, autisti e altro personale coinvolto. Nella prima fase tutte queste persone non potranno fare ritorno a casa, come per esempio avviene in Germania per le squadre della Bundesliga che hanno ricominciato a allenarsi, ma dovranno necessariamente vivere isolate in una sorta di ritiro permanente. Esistono qui delle discrepanze legate alle strutture di cui dispongono le singole società. Squadre come Juve, Milan e Roma hanno centri sportivi completamente autosufficienti nei quali isolarsi prima e dopo le partite, con alberghi di proprietà o foresterie. Molte squadre possono disporre di strutture per il pernottamento come Napooli, Lecce, Lazio, Inter, Cagliari e Verona, ma diverse non ne hanno come Sampdoria, Sassuolo, Torino, Spal, Udinese, Genoa, Fiorentina, Brescia e Bologna. Bisogna considerare anche la ristorazione perché non tutti i club dispongono del proprio ristorante. Se bisognerà fare affidamento a strutture esterne, il protocollo di sicurezza è estremamente rigido e prevede la sanificazione preventiva di ogni ambiente e la riduzione del personale al minimo indispensabile, con buffet al posto di camerieri che servono i pasti al tavolo e ingresso consentito dall’esterno solo se strettamente necessario. Per esempio è difficile immaginare che un barbiere possa essere ammesso all’interno del ritiro.

I trasferimenti

Per le squadre del nord potrebbe essere più difficile trovare strutture da monopolizzare nei pressi del proprio centro sportivo, perché il protocollo prevede che anche gli spostamenti debbano essere ridotti al minimo. Tra questi ovviamente c’è anche quello di portare la squadra sul campo di gioco ed esistono due problemi principali in questo protocollo. Il primo è che se si giocherà solo al centro e al sud, più di metà della serie A ogni settimana (ma anche ogni tre giorni se si sarà costretti a giocare in un arco di tempo ridotto) dovrà fare avanti e indietro. Come garantire questi trasporti in sicurezza riguarda anche le misure che verranno adottate dalle singole regioni in un quadro che per diverso tempo potrebbe prevedere la chiusura dei confini. Gli spostamenti di lavoro, quindi anche di natura sportiva, potrebbero essere permessi ma non è detto che sarebbero facili o veloci. Perciò l’altro problema è garantire strutture in ogni sede di gioco nelle quali le squadre possano dormire prima o dopo la partita. Alcuni esperti prevedono che le misure di distanziamento sociale nei prossimi mesi andranno in direzione di un allentamento alternato a un irrigidimento a seconda della presenza di eventuali nuovi focolai. Alcune aree dell’Italia potrebbero essere aperte e altre chiuse da un momento all’altro, comprese quelle in cui si giocano le partite. Una o più squadre in trasferta potrebbero trovarsi nella condizione di non riuscire a rientrare nei propri centri sportivi, altri nella condizione di non riuscire a lasciarlo. Per questo anche il problema dei trasporti prevede un rigido protocollo atto a fare in modo che le squadre possano mantenere la propria autonomia negli spostamenti.