Durant e Thompson, i confini estremi della dinastia dei Warriors

Il futuro dei Warriors, persi Durant e Iguodala, passa da Thompson e Russell ma è improbabile che nella prossima stagione possano essere competitivi

Sembra quasi un poema epico, una storia omerica, una di quelle leggende antiche nelle quali gli uomini che osano spingersi oltre i confini di ciò che comunemente viene reputato possibile vengono puniti in maniera atroce. Proprio come le colonne d’Ercole, i Golden State Warriors che si sono spinti nel mare aperto di cinque Finals consecutive hanno scoperto quanto possa essere logorante raggiungere risultati mai visti prima nel basket moderno. Prima emotivamente e poi fisicamente, in un giugno 2019 talmente brutale che verrà ricordato più per gli infortuni di Durant e Thompson che per il primo titolo nella storia dei Toronto Raptors.

La fine della dinastia?

Giocare cinque finali nella Nba moderna significa esporsi a un logorio mentale e atletico che alla fine ti presenta il conto. Al netto dei risultati, tre vittorie e due sconfitte, i Warriors che hanno giocato contro i Raptors ci sono arrivati al limite delle loro risorse fisiche. Curry, Iguodala, Cousins, Looney avevano infortuni più o meno evidenti. Durant si era infortunato in gara 5 contro i Rockets e Thompson aveva saltato gara 4 delle Finals. Il primo è tornato contro Toronto per 11 minuti prima di rompersi il tendine d’Achille della gamba destra. Almeno una stagione bruciata per il recupero. Il secondo si è rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio destro in gara 6 e ci vorranno almeno sei mesi per rivederlo in campo. Significa che nella prossima stagione i Warriors che abbiamo visto finora non ci saranno. E non ci sarà sicuramente Durant, che da free agent ha fatto passare circa un’ora prima di scegliere per il proprio futuro i Nets e la prospettiva di fare coppia con Kyrie Irving, quadriennale da 164 milioni rispetto al quinquennale da 221 milioni proposto da Golden State. Il prezzo da pagare per raggiungere risultati mai visti prima è altissimo.

Oppure no?

Sul mercato dei free agent, andando via dai Warriors, Durant ottiene una nuova sfida. Ma con infortuni del genere chi è disposto a tirare fuori milioni di dollari per due giocatori che la prossima stagione la salteranno parzialmente o completamente? Pochi, si pensava, invece l’ala ha dovuto solo scegliere la destinazione che lo convinceva di più. Thompson rimarrà ai Warriors accettando il massimo salariale che la dirigenza di Golden State è disposta a concedergli anche come riconoscenza per la dedizione di questi anni. Il gm Bob Myers è stato chiaro da questo punto di vista dichiarando di volere tenere entrambi, anche se come si è visto con Durant conta la volontà del giocatore. Questo complica la situazione dei Warriors che si ritroverebbero con un salary cap ingolfato e un giocatore che non avranno nel 2019-20 almeno fino a febbraio, con l’impossibilità di costruire un nucleo competitivo intorno a Curry in attesa del rientro. Per questo è arrivato a sorpresa D’Angelo Russell, seconda scelta 2015, con una sign-and-trade che comporta il sacrificio di Iguodala che va a Memphis, un altro nome fondante della dinastia che saluta così come Shaun Livingston che si ritira. Comunque vada, la prossima versione di una squadra leggendaria sarà precaria e probabilmente meno competitiva rispetto a come siamo abituati a vedere dal 2014 in avanti visto che i Warriors non possono superare i 139 milioni di dollari per il monte stipendi e che con Curry, Thompson, Green e Russell sono a 119. Per fare il resto della squadra devono bastare venti milioni. Myers è riuscito a prendere Willie Cauley-Stein dai Kings e Glenn Robinson trovando il modo di firmare a prezzi irrisori il centro titolare e una riserva affidabile, ma le incognite restano. Il prezzo da pagare per raggiungere risultati mai visti prima è esso stesso mai visto prima. Mentre una Western Conference sempre più competitiva, con i Lakers di LBJ e Davis, i Clippers di Leonard e George, i Rockets di Harden e Westbrook, renderà ancora più difficile la vita ai Warriors. Ma non scommettete contro un allenatore come Kerr, un giocatore come Curry e una dirigenza come quella di Golden State. La dinastia potrebbe prendersi una stagione di riposo, ma non essere definitivamente conclusa.