La ‘bolla Nba’, il protocollo per la ripresa della stagione

La 'bolla Nba', ovvero il protocollo spiegato nei dettagli per fare in modo che il basket americano possa completare la stagione

Sono passati quasi due mesi dall’interruzione della regular season e ancora non è chiaro quando e in che modo la Nba potrà riprendere. Come tutte le leghe professionistiche più importanti anche il basket americano ha intenzione di completare la stagione sospesa e per questo l’ipotesi che il 2019-20 si concluda in una specie di ‘bolla’ nella quale l’intera filiera Nba possa vivere in quarantena per disputare partite e allenamenti nella stessa area geografica resta in piedi e si rafforza. Questo scenario presenta molte sfide inedite per la riuscita e per questo si stanno iniziando a identificare i protocolli necessari per realizzarlo.

La bolla Nba

Concettualmente la bolla rappresenta un ambiente isolato e autosufficiente nel quale fare vivere giocatori, allenatori, arbitri, dirigenti, staff medico e sanitario, operatori televisivi e direttori di produzione, lavoratori della gastronomia, della logistica e degli alberghi per il tempo necessario a portare avanti e concludere la parte finale della stagione 2019-20. Come per il calcio in Europa, anche la Nba collabora strettamente con i comitati scientifici americani e anche per il basket il punto chiave della riuscita del piano è la possibilità di realizzare test e tamponi in modo veloce e affidabile. Secondo alcune fonti raccolte da Espn, una prima stima indica in 15000 il numero di test indispensabili per mettere in sicurezza la ripresa del gioco, mentre attualmente le varie franchigie hanno ricevuto indicazioni di non sottoporre a tampone giocatori e membri dello staff che non risultano sintomatici. Un problema da risolvere, comune a molti paesi oltre agli Stati Uniti, è la possibilità di reperire i materiali per effettuare i test mentre la sanità nazionale ne è ancora sprovvista nel numero che servirebbe a livello nazionale. L’altro dubbio è legato a quanto spesso i giocatori dovrebbero essere testati. Secondo Anthony Fauci, uno degli uomini chiave per le gestione dell’emergenza alla Casa Bianca, basterebbe un test a settimana, anche se altri esperti parlano di test quotidiani come numero ideale ma non realistico. Un altro problema riguarda i professionisti che sono più avanti con l’età e per esempio due allenatori come Mike D’Antoni e Gregg Popovich, 68 e 71 anni, rientrano nella fascia di popolazione più a rischio. Sintetizzando anche la Nba si trova a fare i conti con la difficile convivenza con la scienza nell’individuare un esatto confine tra il margine di rischio accettabile e quello che verrebbe considerato troppo elevato.

La durata

L’11 marzo, al momento dell’interruzione della regular season, si sarebbero giocate altre 259 partite prima di entrare nei playoff. Per questo motivo ipotizzando che si voglia recuperare per intero la stagione e giocare i playoff nella forma originaria composta da quattro turni, servirebbero circa tre mesi di vita nella bolla per portarla a termine. Questo scenario va però incrociato con la fattibilità concreta del progetto in relazione al fatto che uno dei pilastri del protocollo è quello di abbassare il rischio di contagi riducendo al minimo il personale indispensabile per mandare avanti la vita delle squadre all’interno della bolla. Di conseguenza uno dei grandi problemi, etici più che tecnici, riguarda l’ipotesi di privare di ogni contatto con le famiglie chi dovrà vivere al suo interno. Non riguarda solo la Nba, ma anche il calcio europeo. Per questo un compromesso per evitare che migliaia di persone debbano stare lontano dalle proprie famiglie per un periodo di tempo insostenibile vira molto probabilmente verso la scelta di comprimere la stagione. La parte restante della regular season potrebbe essere accorciata se non addirittura cancellata e se si giocassero solo i playoff significherebbe coinvolgere 16 squadre anziché 30, ovvero ridurre di quasi la metà il numero di persone da isolare e ridurre ulteriormente i contatti tra gli isolati all’interno della bolla. Comporterebbe anche accorciare di almeno un mese la durata dell’isolamento.

La location

Si era parlato inizialmente di Las Vegas con il deserto del Nevada a fare da naturale barriera. Il dubbio sollevato da molti giocatori e addetti ai lavori è però legato alla natura stessa della città, nota come Sin City anche ai tempi della quarantena. In molti ritengono che soprattutto i rookie e i giocatori con meno esperienza potrebbe difficilmente tollerare l’isolamento in un luogo in cui le tentazioni sono a portata di mano. Evadere per gustarne un sorso sarebbe difficile, ma non impossibile. Per questo negli ultimi giorni sono cresciute le quotazioni del Walt Disney World Resort in Florida, che dispone delle stesse strutture per allenamenti e partite in un ambiente ritenuto meno stringente dal punto di vista emotivo. Si parla di tre campi di gioco per gli allenamenti e due per le partite con particolare attenzione agli aspetti logistici, ovvero evitare al minimo gli spostamenti su mezzi a motore che richiederebbero altro personale all’interno della bolla. Approssimativamente è stato stimato che all’interno della bolla, per rendere operativo ed efficace la ripresa della stagione, dovrebbero essere presenti non meno di 1500 persone nei vari ruoli. Per ogni squadra si è calcolato che andrebbe ridotto a 28 il numero del personale effettivo, 15 giocatori, head coach e tre assistenti allenatori, tre preparatori atletici e fisioterapisti, un allenatore per la forza, un magazziniere, un coordinatore per la logistica, un dirigente rappresentativo della franchigia, un addetto ai media e alle relazioni e un addetto alla sicurezza. In condizioni normali questo numero cresce da un minimo di 45 a un massimo di 70 persone. Con numerosi altri esempi da analizzare, dal numero di arbitri necessari al numero di stanze di albergo e al personale necessario per le loro pulizie, dalla ristorazione al tipo di dieta specifico di cui hanno bisogno i giocatori, la sfida per organizzare uno scenario del genere è probabilmente la più grande che si sia mai vista nello sport professionistico. Che possa essere realizzabile non è affatto scontato, anche se la Nba ha le risorse e i mezzi per essere la prima lega a mostrare al mondo in che modo è possibile ripensare lo sport all’epoca dell’emergenza sanitaria globale.