Serie A, lo studio sui giocatori: Mvp della stagione, rookie e involuzioni

Il nostro approfondimento stagionale sui protagonisti della serie A: in questa prima parte spazio all'Mvp della stagione, i giocatori più migliorati, i dodicesimi uomini più efficaci, gli esordienti più promettenti e le delusioni inaspettate

Con la fine della stagione, spazio all’approfondimento sul rendimento dei protagonisti della serie A 2017-18. Ecco una prima carrellata di premi partendo ovviamente dall’Mvp della stagione.

Mvp

1. Sergej Milinković-Savić: nonostante la cocente delusione per la mancata qualificazione alla prossima edizione di Champions League, quello della Lazio rimane comunque un Campionato giocato nettamente al di sopra delle aspettative di inizio stagione. Nonostante un mercato estivo non esaltante e le fatiche europee di Coppa, il club biancoceleste è comunque riuscito addirittura a migliorare il rendimento rispetto allo scorso anno. Grandissimi meriti di questo exploit (o meglio, di questa inattesa conferma) non possono che essere individuati nell’enorme produzione offensiva collezionata dagli uomini agli ordini di Simone Inzaghi (miglior attacco del Campionato), a cominciare da quel Ciro Immobile che, senza l’infortunio occorso alla quartultima giornata di Campionato contro il Torino, probabilmente avrebbe anche scavallato quota trenta reti, staccando Icardi dal titolo di capocannoniere e, soprattutto, trascinando i suoi all’obiettivo finale. Eppure, nonostante la vena realizzativa dell’ex-centravanti di Pescara e Torino, la palma di miglior giocatore della squadra biancoceleste, nonché dell’intero Campionato, mi sento di poter dire che se la sia guadagnata Milinković-Savić. Il serbo si è dimostrato il vero “deus ex-machina” del gioco laziale, un giocatore onnipresente che, spaziando per il campo, si è dimostrato in grado di trasformarsi da mezzala a centravanti, da trequartista ad esterno offensivo, ridisegnando totalmente il concetto di “ruolo” (caratteristica sempre più in voga, nel Calcio contemporaneo) ed innalzando a vette sublimi il concetto di “calcio fluido” su cui Simone Inzaghi ha cercato di plasmare la propria squadra. Sarebbe fin troppo superfluo stare qui a rimarcare l’imprescindibilità tattica del serbo, il suo dominio fisico ed aerobico sulle palle alte, oppure la sua brillantezza tecnica in ogni zona del campo. Possiamo solo aggiungere che, in caso la sua cessione diventi realtà nella prossima estate, perlomeno potremo dire di aver assistito ad un commiato dal club biancoceleste (oltre che, eventualmente, da questo Campionato) degno dei più grandi artisti, al di là del risultato finale.

2. Alisson Becker: nel giro di un anno, il brasiliano è passato dall’essere riserva di Szczęsny al diventare miglior portiere del Campionato e, probabilmente, fra i primi in Europa e nel Mondo. Generalmente, si dice che difficilmente i portieri, anche i più bravi, possano incidere positivamente più di tanto sui risultati di una squadra. Eppure, Alisson è riuscito a sfatare anche questa generalizzazione. Se infatti quest’anno la Roma si è ritrovata a poter considerarsi virtualmente già qualificata alla prossima Champions League, lo deve anche al suo portiere, non fosse altro per alcune sue prestazioni straordinarie, specialmente nel periodo in cui la squadra giallorossa ha faticato di più (ossia, nel mese di Gennaio). Se poi allargassimo il discorso anche al percorso in Champions (che comunque esula da quanto si sta affrontando in questo articolo), gli elogi potrebbero durare un’altra mezzoretta buona. E non è un caso che la squadra allenata da Di Francesco quest’anno abbia collezionato ben 18 “clean sheet” (sesta in Europa, considerando tutti i principali Campionati). Ma oltre alle sue doti feline tra i pali e la perfezione tecnica nel posizionamento, il brasiliano si è distinto anche in altre situazioni di gioco, tra cui soprattutto la capacità di lettura del movimento della linea difensiva, alle spalle dell quale il brasiliano agiva in veste di vero e proprio libero aggiunto, oppure l’abilità di imporsi quale regista aggiunto della squadra, grazie a doti tecniche fuori dal comune per il ruolo. E non è un caso che gli stessi tifosi romanisti, del resto, lo abbiano eletto quale miglior giocatore di quest’anno della squadra.

3. Douglas Costa: in un Campionato in cui Dybala ha messo a segno dieci gol nelle prime sei partite, il premio di MVP dell’anno sembrava già scritto a Settembre. Invece, l’imprevisto calo dell’argentino (la cui stella è tornata a splendere solamente nel mese di Marzo e, più precisamente, a cavallo tra il gol all’ultimo secondo contro la Lazio e la tripletta di Benevento), ha fatto sì che la Juventus dovesse cercare altrove il proprio leader e trascinatore. Higuaín ha prontamente risposto presente, raccogliendo il testimone direttamente dalle mani dello stesso Dybala, finendo però per afflosciarsi un po’ troppo presto, perlomeno rispetto agli straordinari standard a cui ci aveva abituati negli anni precedenti. Ovviamente, la sua influenza in zona gol nella partita che ha di fatto deciso le sorti del Campionato non era nemmeno quotata, eppure la sensazione è che il vero MVP “occulto” (ma nemmeno troppo, in realtà) della squadra di Allegri vada ricercato da qualche altra parte. Dopo un girone di andata passato in bilico fra campo e panchina, in cui non è mai riuscito a guadagnarsi la titolarità indiscussa, Douglas Costa ha finito per raggiungere picchi di rendimento elevatissimi nella seconda metà del Campionato, dove si è dimostrato un tornado semplicemente incontenibile per le difese della Serie A. Le sue razzie sulla fascia hanno permesso alla Juventus di ottenere la superiorità numerica e posizionale in fase offensiva ogni volta che il brasiliano riusciva a ricevere palla, potendo puntare il suo diretto avversario in 1vs1. Semplicemente devastante. Il suo rendimento ha restituito freschezza e brillantezza ad una macchina da guerra che però, mai come quest’anno, era davvero arrivata al punto di abdicare e di lasciare lo scettro ad altri. Giusto quindi premiare il brasiliano, per come si è caricato sulle spalle l’intera squadra, soprattutto nei momenti più difficili.

Giocatore più migliorato

1. Luis Alberto: ancora una volta, la Lazio ha saputo sopperire ad addii importanti, tramite la valorizzazione di giocatori già presenti in rosa. Esattamente come nel 2014 la cessione di Hernanes all’Inter favorì l’esplosione successiva di Felipe Anderson, allo stesso modo la partenza un anno fa di Keita Baldé si è di fatto trasformata in un trampolino di lancio per lo spagnolo cresciuto nelle giovanili di Barcellona e Liverpool. Questa politica di “auto-rigenerazione” continua portata avanti dal club biancoceleste è la chiave di volta per comprendere come faccia la Lazio, pur con tutti i suoi limiti economici, a raggiungere comunque traguardi di prestigio (se rapportati alle proprie potenzialità) con una qual certa continuità. Nello scorso Campionato, Luis Alberto era stato una semplice meteora, che, tra una comparsata e l’altra, aveva avuto modo di brillare una sola volta. Quest’anno, invece, il suo peso specifico all’interno del gioco e dell’attacco della squadra è aumentato esponenzialmente (undici gol e sedici assist in Campionato). In particolare, grazie alla sua qualità superiore, lo spagnolo è diventato il perfetto anello di congiunzione tra Milinković-Savić ed Immobile.

2. Bryan Cristante: quando lasciò Milanello per tentate l’avventura lusitana, moltissimi tra addetti ai lavori e tifosi rossoneri erano abbastanza convinti che il Milan si fosse privato forse un po’ troppo a cuor leggero di uno dei migliori prospetti italiani dell’epoca. Eppure, nelle stagioni successive, il nome di Cristante era effettivamente scomparso dai radar, riapparendo in maniera sporadica solo quando a dargli fiducia, nuovamente in Italia, sono state realtà come Palermo e Pescara, che lottavano per non retrocedere. Tuttavia, anche in palcoscenici con minore pressione, Cristante ha faticato a mettersi in mostra. E così, un anno e mezzo fa si è concretizzato il suo passaggio all’Atalanta di Gasperini, appena rimasta orfana di Gagliardini. Il terzo trasferimento in un anno per l’ex-rossonero. Ebbene, oggi possiamo finalmente affermare che il ragazzo abbia ritrovato certezze ed un’identità tattica che si era precedentemente sbiadita, grazie alle consegne codificate che gli ha cucito addosso Gasperini. Se oggi Cristante fa gola a diversi club italiani di prima fascia, lo si deve esclusivamente a questa stagione appena conclusa, chiusa dal centrocampista con nove gol e tre assist. Ma a destare attenzione sono state soprattutto la sua versatilità tattica, la capacità d’inserimento e, più in generale, l’intelligenza nel capire quando e come muoversi per dare equilibrio e coordinazione al resto della squadra. Bisognerebbe anche dire che già l’appendice della scorsa stagione aveva restituito “presagi” su una possibile definitiva maturazione del ragazzo, anche se trattavasi di lampi estemporanei ed ancora da verificare lungo un’intera stagione.

3. Josip Iličič: lo sloveno ha appena concluso la sua ottava stagione in Serie A. L’idea che ormai ci siamo fatti di lui è quella di un giocatore dalle innegabili qualità tecniche (oltre che in possesso di doti atletiche forse troppo sottovalutate), che però pecca di continuità (al di là degli stereotipi, una caratteristica comune a tutti i fantasisti slavi). Eppure, se in Italia esistono ancora squadre importanti pronte a scommettere sul suo talento, lo si deve specialmente a quest’ultima stagione agli ordini di Gasperini (toh, che déjà-vu!): infatti, dopo l’annata nettamente in chiaroscuro dell’anno passato (un po’ come tutta la Fiorentina, del resto), Iličič sembra essere (ri-)sbocciato in una squadra che, a causa del netto calo realizzativo di Gómez, aveva bisogno come il pane di un giocatore in grado di caricarsi sulle spalle gran parte delle responsabilità offensive della squadra. A differenza di Cristante, però, la carriera dello sloveno non si è impennata improvvisamente, dopo anni di nulla, ma ha seguito invece una parabola quanto mai ondivaga, fatta di alti (come la sua ultima stagione al Palermo, ma soprattutto come durante il primo anno di Paulo Sousa sulla panchina della Fiorentina) e di bassi. Quindi il dubbio che a quest’ultima annata possa seguirne un’altra su tonalità più grigie è più che legittimo. La quota per una sua candidatura al premio di “giocatore maggiormente peggiorato” del prossimo anno è al momento la più bassa: sta allo stesso Iličič, adesso, dimostrare che ci siamo sbagliati. Dimostrare, dunque, che quella sui talenti slavi poco continui è solo una maldicenza.

Dodicesimo uomo dell’anno

1. Piotr Zieliński: difficile aggiungere altro alle motivazioni che portarono già un anno fa a inserirlo sul podio di questa particolare graduatoria. L’unica cosa che si potrebbe aggiungere, è che forse per il centrocampista polacco è arrivato il momento di prendersi la maglia da titolare che meriterebbe, anche se i recenti sviluppi legati alla questione del nuovo allenatore del Napoli, con Ancelotti subentrato a Sarri, rendono ancora nebulosa qualsiasi situazione legata ai singoli giocatori partenopei.

2. Felipe Anderson: nonostante la partenza di Keita Baldé, quest’anno il brasiliano ha faticato a trovare spazio e continuità di impiego. Ciò si è dovuto sia all’infortunio avuto ad inizio stagione, che ha costretto Anderson ad uno stop di più di tre mesi (in pratica, ha saltato l’intero girone di andata), sia all’exloit di Luis Alberto, di cui già si è parlato. Eppure, nonostante la perdita della titolarità, l’ex-giocatore del Santos ha approcciato al nuovo ruolo di primo cambio offensivo in maniera impeccabile. Simone Inzaghi ha visto nella sua capacità di rendersi semi-immarcabile tanto quando si aprono gli spazi, quanto in 1vs1, un’arma in grado di dimostrarsi letale sia in contropiede, nelle situazioni in cui cioè la Lazio, già in vantaggio, cercava di chiudere definitivamente il risultato, sia quando invece era necessario creare superiorità numerica, contro difese più chiuse. Specialmente contro avversari più stanchi, infatti, la brillantezza atletica del brasiliano è sembrata a tratti incontenibile da gran parte delle difese di Serie A.

3. Arkadiusz Milik: come Felipe Anderson, anche Milik ha dovuto saltare gran parte del girone di andata, oltre che una buona fetta di quello di ritorno, a causa di un infortunio grave. Il secondo, da quando è sbarcato in Italia. Decisamente la fortuna non è stata dalla sua parte. E se lo scorso anno il Napoli riuscì non solo a sopperire all’assenza forzata del centravanti polacco, ma addirittura a migliorarsi, grazie all’invenzione di Sarri che propose Mertens quale falso nove, in questa stagione invece l’assenza dell’ex-giocatore di Ajax e Bayer Leverkusen si è sentita moltissimo, non fosse altro perché ha costretto il belga a straordinari che lo hanno portato, nell’ultimo quarto di stagione, ad un calo fisico (oltre che realizzativo) evidente. Proprio in quel momento, Milik è riuscito finalmente a lasciare la propria impronta, inanellando una serie di ottime prestazioni e numeri comunque molto buoni, considerando il numero limitato di presenze. Ed anche in quel paio di volte che perfino un integralista delle gerarchie come Sarri ha deciso di schierarlo da titolare, Milik è riuscito a rendersi decisivo. In particolare, la sfida che rappresenta l’esempio massimo della bravura di Milik nel farsi trovare pronto anche quando chiamato in causa dalla panchina, rimane quel Napoli-Chievo in cui il polacco, con tre colpi di testa (che si sono trasformati in un gol segnato, uno solo sfiorato ed un assist), ha ribaltato nei minuti finali un risultato che invece sembrava già scritto e che avrebbe sancito la semi-definitiva resa del Napoli dalla corsa Scudetto. Ma anche una settimana dopo quella gara, sempre Milik è arrivato ad un miracolo di Donnarumma di distanza dal sigillare un’altra vittoria napoletana (e chissà come sarebbero andate le cose, senza quella straordinaria parata). Del resto, una delle critiche che è stata maggiormente mossa nei confronti di Sarri, ha riguardato proprio l’utilizzo troppo centellinato del suo numero 99, che forse avrebbe meritato molte più chances da titolare.

Esordiente  dell’anno

1. Alisson Becker: il fatto di non aver mai giocato lo scorso anno nemmeno un minuto in Serie A, chiuso com’era da Szczęsny, lo rende “de facto” un rookie a tutti gli effetti di questa stagione. Per il resto, le motivazioni di questo primato sono già state affrontate quando si è parlato degli MVP del Campionato.

2. Douglas Costa: anche in questo caso, resta poco da aggiungere a quanto già scritto in precedenza.

3. Cengiz Ünder: dopo una prima parte di Campionato passata principalmente in panchina, escludendo le rare (e comunque opache) presenze accumulate, in cui era sembrato obiettivamente un giocatore semplicemente non ancora pronto, proprio fisicamente, per certi livelli, a Gennaio scorso era stata paventata perfino la possibilità che il giovane turco venisse ceduto in prestito in qualche squadra della “middle/working class” della Serie A. Anche tatticamente, del resto, il giocatore sembrava totalmente a disagio e spaesato, faticando a metabolizzare i corretti movimenti richiesti da Di Francesco ai propri esterni: il culmine era arrivato nell’ultima partita del girone di andata, contro il Sassuolo, in cui Ünder si rese protagonista in negativo nel concitato finale, causando l’annullamento del gol di Florenzi all’ultimo respiro (che avrebbe consegnato i tre punti alla squadra giallorossa), per un’ingenua ostruzione da posizione di fuorigioco. Eppure, la Roma ha deciso di continuare a puntare sul suo numero 17, venendo ripagata da un girone di ritorno in cui il turco è stato probabilmente uno degli elementi più decisivi dell’intera rosa. In particolare, da incorniciare il suo straripante mese di Febbraio (con l’appendice della trasferta di Napoli, ad inizio Marzo), in cui ha messo a segno sei gol ed un assist tra Campionato e Champions: un boom improvviso, paragonabile come estemporaneità ed epicità alla “Linsanity” di New York del Febbraio 2012. L’exploit improvviso di Ünder si è trasformato addirittura in un fenomeno mediatico in Turchia, dove perfino la stampa nazionale ha cominciato a dipingerlo come il nuovo ambasciatore del Calcio turco. Di certo, le prestazioni inanellate durante quella serie di partite, hanno aiutato non poco la Roma ad uscire dalla palude in cui era andata ad infilarsi nel mese di Gennaio (per sua fortuna, non da sola, ma accompagnata anche dalle altre due più dirette concorrenti. Specialmente l’Inter, che nel giro di tre mesi, da Dicembre a Marzo, è stata “capace” di vincere solo due partite su tredici), sopperendo soprattutto alla (temporanea) scarsa vena realizzativa di Džeko. E’ quindi giusto che, nonostante anche l’ottimo Campionato di cui si è resi protagonisti João Cancelo e Veretout, il terzo posto sul podio spetti a lui, senza il quale forse la Roma non sarebbe riuscita a raggiungere l’agognata qualificazione alla prossima edizione di Champions.

Delusione della stagione

1. Patrik Schick: solamente un anno fa, il ceco era stato eletto miglior dodicesimo uomo dell’anno, oltre che uno dei candidati più credibili per il premio di miglior rookie. Non a caso, su di lui in estate si è scatenata una vera e propria asta al rialzo tra Roma ed Inter, alla fine del mercato, dopo che perfino la Juventus aveva deciso di liberarlo dalla Sampdoria, pagando la sua clausola rescissoria (acquisto poi saltato, a causa degli ormai noti problemi che sono stati riscontrati durante le visite mediche). Tuttavia, tra infortuni fisici e forse un’eccessiva pressione dovuta al costo del cartellino, dire che Schick abbia faticato in questo suo primo anno giallorosso rappresenta un’iperbole. Tra le cause più probabili di questo suo flop (posto che comunque è ancora troppo presto per lanciarsi in giudizi definitivi), oltre a quelle a cui già si è accennato, bisognerebbe anche aggiungere la difficile collocazione tattica all’interno del “rigido” 4-3-3 di Di Francesco (che pure ha cercato più volte di modificare modulo e consegne, proprio per aiutare il ceco ad inserirsi meglio all’interno dello scacchiere giallorosso) e la concorrenza insormontabile di Džeko, probabilmente uno dei migliori dieci giocatori mai passato dalle parti di Trigoria e dintorni. Fatto sta che sul podio dei peggiori giocatori della Serie A per media voti, ritroviamo proprio il suo nome. Spesso evanescente, quasi mai cattivo e determinato (escludendo la storica partita di ritorno contro il Barcellona) nel cercare perlomeno di far vedere che mentalmente la voglia di emergere non è mai mancata. Eppure, pur nel grigiore generale delle sue prestazioni, almeno una perla a partita l’ha quasi sempre regalata al proprio pubblico. Sicuramente troppo poco per ribaltare l’epica negativa di questa sua prima annata con la Roma, ma abbastanza per tranquillizzare i tifosi giallorossi sul fatto che le qualità tecniche del ragazzo non si discutono. La speranza, adesso, è più che ad un nuovo Iturbe, ci si trovi di fronte ad una situazione simile a quella vissuta dallo stesso Džeko nella sua prima stagione a Trigoria, dove il bosniaco fu oggetto di scherno e di pesanti critiche per il suo rendimento, soprattutto sotto porta. Appuntamento tra un anno per l’ardua sentenza.

2. Leonardo Bonucci: prima di iniziare, è opportuna una premessa. L’annata tragicomica del Milan ha di fatto reso impossibile stabilire quale giocatore, all’interno della rosa rossonera, abbia fatto registrare un maggior crollo delle proprie prestazioni. Per quale ragione, infatti, Bonucci dovrebbe essere nominato in questa graduatoria, mentre un Biglia no? La risposta è abbastanza semplice: per ovviare a questo problema, si è scelto scelto di inserire il capitano della squadra, colui che, dal momento in cui ha preteso quella fascia al braccio, si è contemporaneamente fatto carico di onori ed oneri legati al destino della squadra. E così, è sembrato giusto che Bonucci “pagasse” a nome di tutti i propri compagni, che avrebbero meritato allo stesso modo di finire in questa poco edificante classifica. Eppure, la scelta di inserire Bonucci ha anche motivazioni squisitamente tecniche, non solo simboliche: lo scorso anno si era definitivamente affermato (se ancora ce ne fosse stato bisogno) come uno dei migliori difensori in circolazione al Mondo, anche grazie alle sue prestazioni in ambito continentale. Non è un caso che addirittura Chelsea e Manchester City si fossero interessate fortemente al giocatore. Oltre alle doti prettamente difensive (che comunque lasciavano ancora qualche dubbio ai “puristi” del ruolo, tanto che già al momento del suo passaggio al Milan si diceva da più parti che Bonucci al di fuori di una difesa a tre e, in particolare, senza la protezione di Barzagli e Chiellini, avrebbe faticato non poco a mantenere i propri standard), a rendere Bonucci un giocatore sofisticato e quanto mai moderno era la sua raffinata qualità in fase d’impostazione. Bonucci è sempre stato il regista occulto della Juventus, specialmente dopo l’addio di Pirlo, così come della Nazionale. Inoltre, in un sistema difensivo come quello bianconero così ben codificato, prima da Conte e poi da Allegri, anche difensivamente le sue comunque palesi lacune sono state puntualmente ben nascoste dal contesto. Ebbene, nel Milan 2017/18 tutti i suoi difetti sono improvvisamente riemersi da sotto il tappeto, specialmente a causa dell’eccessiva “isteria tattica” vissuta dai rossoneri, prima con Montella, che dopo la débâcle contro la Lazio ha deciso di cambiare modulo, passando alla difesa a tre, poi con Gattuso, il quale, subito dopo il pareggio iconico contro il Benevento, ha deciso dunque di riproporre la difesa a quattro. Questo continuo cambio di sistema di gioco, specialmente nella prima parte di stagione, ha finito con il disorientare eccessivamente una squadra che già faticava ad amalgamarsi, a causa dello stravolgimento della rosa estivo, e che forse avrebbe necessitato di maggior stabilità. Non a caso, una volta consolidato il 4-3-3, la squadra di Gattuso nel girone di ritorno ha iniziato a macinare gioco e risultati, finendo addirittura ad un passo dal poter tornare ad essere una credibile concorrente per un piazzamento fra le prime quattro. Tuttavia, presto le falle sono iniziate a riemergere, facendo sì che il finale di stagione ritornasse sugli standard iniziali (al netto della bella vittoria finale contro la Fiorentina, comunque inutile ai fini della classifica). Difficile dire se il prossimo anno potrà rivelarsi un’occasione di riscatto per la squadra e per lo stesso Bonucci, date anche le vicende finanziarie che stanno tenendo sulle spine la tifoseria rossonera. Di certo, la convinzione che peggio di com’è andata quest’anno sia difficile fare, ha una sua ragion d’essere. E questa, per quanto poco lusinghiera, dev’essere la base da cui il Milan può e deve ripartire. A cominciare dallo stesso capitan Bonucci, in attesa che torni ad essere il giocatore ammirato alla Juventus. Il difensore che gli equilibri li spostava per davvero.

3. Roberto Gagliardini: la lotta per l’ultimo posto del podio bisogna riconoscere che è stata molto combattuta. Tra il calo realizzativo di Belotti (senza la tripletta al Crotone, forse avremmo dovuto parlare proprio di crollo) e Gómez, oltre che l’improvvisa scomparsa dai radar di uno dei migliori tre portieri dello scorso anno (ossia Skorupski, che però ha pagato la scelta della Roma di tenerlo come vice-Alisson, piuttosto che monetizzare da una sua cessione. Ed in questo momento, perfino Ederson è costretto a sedersi in panchina, contro un rivale come Alisson), si è trattato di una scelta alquanto ardua. Ma alla fine, a “spuntarla” è stato Gagliardini. La scorsa stagione il centrocampista aveva impressionato tutti non solo per il girone di andata disputato ad altissimi livelli con l’Atalanta, ma anche per la facilità di inserimento in un nuovo contesto come l’Inter. Il giocatore, infatti, non aveva minimamente sofferto né le pressioni dovute al costo, comunque alto, del suo trasferimento, né la confusione (leggi anarchia) che regnava sovrana in campo e nello spogliatoio dell’Inter della passata stagione. Anzi, il centrocampista si era affermato come una delle poche notizie liete dell’annata particolarmente nera (più che azzurra) dell’Inter di Pioli. Eppure, nonostante le premesse e nonostante l’arrivo di Spalletti, un allenatore notoriamente maestro nel mettere i propri giocatori nelle migliori condizioni ideali per esprimersi, quest’anno il rendimento di Gargliardini è obiettivamente crollato. Ma al di là della media voto (passata dal 6.21 del 2016/17 al 5.87 di quest’anno), l’ex-centrocampista di Gasperini ha faticato moltissimo a ritagliarsi un ruolo ben delineato all’interno del 4-2-3-1 di matrice “Spallettiana”. Inadatto a coprire in ampiezza il campo per imporsi come elemento di un centrocampo a due, ma al contempo in netta difficoltà ad agire spalle alla porta, nel ruolo di finto trequartista, Gagliardini è sembrato essere l’ombra del giocatore dinamico e dall’intensità sorprendente dello scorso anno. Il fatto che sia riuscito a mantenere comunque la titolarità, è dipeso principalmente dalla mancanza di alternative concrete, data la poca autonomia fisica di Borja Valero (oltre che la sua incompatibilità con un altro regista come Brozović) e le prestazioni altalenanti di Vecino (escludendo le gare in trasferta contro le romane: del resto, se si giocasse sempre all’Olimpico, probabilmente adesso l’uruguaiano varrebbe quanto Toni Kroos).