Riccardo Pittis, dal campo al Mental Coaching: “Ora gioco a Touch Rugby”

E' stato una bandiera dell'Olimpia Milano e della Benetton Treviso, ora ha avviato un'altra carriera importante.

Riccardo Pittis ha accompagnato, suo malgrado, le varie fasi della mia vita. L’ho amabilmente detestato quando veniva al Palaeur con la maglia di Milano e poi con la Benetton Treviso, l’ho intervistato più volte quando ero a Superbasket e poi l’ho conosciuto meglio quando ha ricoperto il ruolo di Team Manager in Nazionale.

Una volta incrociandolo a notte fonda sulle frequenze di Radio Deejay mentre dialogava amabilmente con Alessandro Bergonzoni. Giocatore totale, personaggio verticale, uomo a cui la battuta e il sorriso non mancano mai.

Dell’immagine dell’Acciughino bandiera dell’Olimpia Milano è rimasto ben poco. Ora Ricky ha aperto una scuola di Mental Coaching a Treviso (per info www.riccardopittis.it) e fa la spalla tecnica per RaiSport.

Motivatore eri in campo, motivatore sei rimasto. Di cosa ti occupi ora?
Oltre alle telecronache, di Mental Coaching. Quando ho smesso di giocare mi sono reso conto di quanto la mente sia stata importante per me nella pallacanestro e di quanto questo aspetto sia sottovalutato nella vita di tutti i giorni, qualsiasi lavoro si faccia. Così ho prima cercato delle risposte e poi il modo per trasferire strumenti e dinamiche che mi hanno permesso di avere una carriera di un certo tipo. Sono molto contento di questa mia nuova attività, è stimolante e gratificante.

L’allenatore di riferimento per la tua carriera
Facile. Mike D’Antoni. E’ stato prima mio idolo, poi mentore, compagno di squadra e allenatore in due diverse squadre. Mike ha segnato la mia carriera, non me ne vogliano gli altri allenatori che sono stati tutti importanti. Non sono un fanatico del Basket NBA ma ovviamente quello che sta facendo Houston mi rende molto felice.

Il più forte giocatore mai incontrato.
Risposta impossibile. Il primo che mi viene in mente è Drazen Petrovic, che ho avuto l’onore di incrociare. Ma poi come si fa a fare una classifica? Potrei dire Sabonis, Marciulionis, Galis, Djordjevic. E poi magari dimentico Dino Meneghin, Oscar, Divac, Kukoc. No, impossibile. E se parliamo altri cinque minuti me ne vengono in mente altri dieci…

La tua partita a cui sei più legato.
Ho la fortuna di poter dire che ho diversi ricordi belli legati a qualche partita. Se ne devo scegliere una, dico gara5 di finale vinta nel 1997 con la Fortitudo al Palaverde. Le emozioni più forti della mia carriera le ho provate quel giorno (per la cronaca, era il 18 maggio 1997 e Ricky chiuse con 17 punti, n.d.a.).

La cosa che un allenatore non c’era bisogno che ti dicesse.
Difendi.

Il tuo rapporto con i Social.
Amore più che odio, anche se qualche volta leggo cose che mi fanno arrabbiare. Ma i Social mi hanno permesso di tornare a contatto con tante persone che non sentivo da una vita, poi è un mezzo utile per comunicare e promuovere la propria attività.

L’altro sport, oltre al basket.
Mi piace il calcio ma l’unico sport che pratico ora è il Rugby, anzi per la precisione il Touch Rugby.

Dovendo tornare a occuparti di Basket, cosa ti piacerebbe fare in una società?
Il giocatore.

Che effetto ti fa accendere la TV e sentire così tanti tuoi ex compagni di squadra commentare basket?
Prima cosa, non ascolto mai me stesso. Poi, mi fa molto piacere che tanti ex giocatori e miei amici possano essere considerati parte integrante della storia della nostra pallacanestro. Sono diventate voci autorevoli, è un riconoscimento importante che mi può fare solo piacere.

Foto Archivio Privato Riccardo Pittis