L’ombrello

Il vero motivo per cui l'Inter ha conquistato il diritto di partecipare alla prossima Champions League

Le cronache degli scriba di fede nerazzurra sono piene di termini come ‘mistico’ e ‘ultraterreno’. Non è una sorpresa: un’aura di follia circonda il club da sempre. All’interno dell’alone di luce tutto è possibile, e nessuno potrebbe seriamente spiegare perché succede. Tanto vale, quindi, non provarci nemmeno.

Quando, ieri mattina, sono salito sul volo AZ 885 Malta-Roma mi aspettavo dei segnali. Un bimbo con la maglietta di Icardi, un gruppo di ragazzi intenti a sistemare con cura sciarpe e bandiere nelle cappelliere.

Niente di tutto questo.

A dire la verità nemmeno io ero riconoscibile, ma, oltre a quelli anagrafici, avevo i miei buoni motivi.

Adagiato sul sedile in similpelle ho serrato le palpebre e mi sono messo in ascolto. Vociare indistinto, insignificante, da turisti per caso.

Il nostro aereo è costretto a fermarsi prima di proseguire il tragitto verso la pista di decollo. ‘Namoooooo….

Era solo il capo di una comitiva di pensionati sardi che a Roma sarebbe stata solo in transito.

Sappiate dunque che la parcellizzazione delle costruzioni nel basso Lazio è ben diversa da quella che trovereste in Sardegna. E ‘sticazzi nun ce lo metti?

Calma piatta, ma, naturalmente lo avrei capito solo dopo, in realtà era solo la quiete che precede la tempesta. Andiamo con ordine.

Il percorso che porta dal mio hotel, dalle parti di Piazza Cavour, allo Stadio Olimpico è praticamente un lungo rettilineo. Roma merita sempre di essere assaporata con calma. Mi metto in cammino.

Inizia a piovere. Dapprima radi goccioloni, poi vien giù di brutto. Cerco riparo, ma non smette. Dall’aura di cui sopra emerge però un signore, forse indiano, ed è qui che tutto ha inizio, che ci crediate o no.

Ha un carico di ombrelli, di varie misure. Resiste impavido al riparo di un grosso albero. Ci guardiamo. Da sotto il cornicione protendo il braccio destro mentre pollice e indice si sfregano a vicenda.

“Cinque euro quello piccolo, dieci quello grande.”
“Ma quello piccolo dura un giorno, quello grande tanti giorni.”

Sorride. Capisco che non posso più indugiare. E’ anche da questi particolari che si giudica un giocatore.

Abbandono il cornicione senza più paura.

“Dieci per quello piccolo.”

Afferro un ombrellino nero con la mano sinistra mentre con la destra gli metto un deca nel taschino. Mi allontano quasi abbagliato da un sorriso a tremila bianchissimi denti.

Al mio fianco barcollano vecchine con la borsa della spesa sulla testa, altri si rifugiano sotto il tendone di un tabaccaio. Ma non io. Ormai marcio sicuro verso la meta. Goccioloni si infrangono poderosi attorno a me e non mi importa se l’ombrello è piccolo o se le mie scarpe di tela non sono adatte.

Piazza Bainsizza: su quell’altopiano, nel 1917, si combatté una famosa battaglia, l’undicesima dell’Isonzo, in cui il Ten. Sandro Pertini si guadagnò una medaglia d’argento al valor militare, anche se gli fu consegnata solo nel 1985.

Ormai ci siamo: il campo di battaglia è vicino. Sul prato dell’Olimpico però non morirà nessuno. Marco e Moreno mi aspettano, ignari, al settore 13BS della tribuna Monte Mario.

Mentre entro, lo stadio rimbomba di cori.

Co-come-mai, co-come-mai, la Champions League tu non la vinci mai.”

Sono i ragazzi del settore ospiti, contiguo al nostro anche se separato da un barriera di plexiglass.

In genere, penso che queste cose menino una gran rogna. Ma non stavolta, anche se loro non lo sanno.

Le curve sono gemellate da anni. “Solo-la-Lazio, a Roma solo-la-Lazio“.

Mi sento un po’ in colpa con Giancarlo ma sono certo che alla fine capirà.

Dopo la Bainsizza venne Caporetto. Ma oggi non ci deve importare. Sta a Suning evitare che la prossima Champions League sia una disfatta.

Amala.