La stagione sportiva 2019-20 può essere completata?

Le organizzazioni sportive provano a formulare ipotesi sulla ripresa, ma al momento attuale è giusto interrogarsi sull'ipotesi che la stagione 2019-20 per come la conosciamo potrebbe essere finita

Per rispondere subito al quesito del titolo, è un’ipotesi che dovremmo iniziare seriamente a prendere in considerazione. Dicendo stagione sportiva 2019-20 intendiamo tutte le manifestazioni sportive di tutti gli sport che sono iniziate e successivamente sono state interrotte a causa della pandemia di Coronavirus. Ma perché guardare così in là nel tempo se non sappiamo quello che succederà domani? Alcuni spunti di riflessione.

Provare a salvare la stagione

Che è quello che stanno facendo tutte le organizzazioni sportive colpite dallo stop improvviso, dal calcio con Uefa e Fifa, al basket con la Fiba e la Nba, al ciclismo con l’Uci e la Fia e la Dorna per F1 e MotoGp. I motivi per cui i governi dello sport provano a mandare avanti la stagione, o più precisamente a programmare una ripresa, non sono esclusivamente economici come si potrebbe pensare a una prima analisi. Sicuramente esistono contratti milionari, in alcuni casi miliardari, che coinvolgono sponsorizzazioni, diritti televisivi e di trasmissione, sistemi estremamente complessi che vengono intaccati forse irrimediabilmente dall’emergenza. Ma questo vale per lo sport come per qualsiasi altro settore economico del mondo e le conseguenze al momento non possono essere nemmeno ipotizzate o stimate. Un altro motivo per il quale sentiamo ragionamenti come ‘se si dovesse riprendere a giocare il 3 aprile’ o ‘a maggio’ o ‘l’ipotesi è di concludere la stagione a giugno inoltrato spostando gli Europei’ (che sono stati spostati) è che per come siamo stati abituati a concepire il ciclo stesso della vita nell’epoca moderna della globalizzazione, è che il nostro cervello non è semplicemente programmato per muoversi a proprio agio in uno scenario nel quale sappiamo dove comincia un evento, sia sportivo o professionale o privato, senza sapere dove finisce. Perciò automaticamente prova a cercare soluzioni, proprio come fa un disco di ripristino, per riportare il proprio sistema operativo a un sistema di efficienza e funzionalità. Lo stanno facendo anche i governi dei vari stati, ognuno a proprio modo, e lo stiamo vedendo anche in Italia con la progressione delle decisioni prese per provare a fronteggiare l’emergenza. Ma in tutto questo è sempre prevista una scadenza a termine più o meno lungo. In altre parole, cognitivamente non siamo programmati per farne a meno. Non casualmente l’accensione della fiamma olimpica, potente simbolo sociale prima ancora che sportivo, si è svolta regolarmente. Arrendersi all’eccezionalità preservando l’illusione della normalità, non solo nello sport, è il risultato più difficile da raggiungere.

Si può salvare la stagione?

E’ la domanda che senza allarmismi ed esagerazioni bisogna farsi, provando a forzare il sistema operativo che ci induce a ipotizzare scadenze a breve termine. La risposta, denudata di quella quantità gargantoesca di interessi economici e specifici che in business multimiliardari come quella degli sport professionistici è enorme, semplicemente al momento non può essere positiva. O è comunque più negativa che positiva. Non abbiamo evidenze di quanto potrebbe durare l’emergenza in ottica di numero di contagi e risposta del sistema sanitario in Italia, e questo da solo è un problema per lo sport italiano che comunque non è composto solo da componenti italiane, dalla nazionalità di giocatori e staff alla provenienza di materiali che servono per organizzare e fare svolgere in maniera efficiente anche solo una singola partita di serie A. Non esistono evidenze che ad aprile potremo ricominciare a uscire di casa. E benché non abbiamo nemmeno evidenze che non potremo ricominciare a farlo, questa sorta di bilancia che sta a cinquanta e cinquanta rende di base impossibile una programmazione credibile di una ripresa. Posto che si possa risolvere il problema sul nostro territorio, è facile comprendere come in un mondo interconnesso le incognite si ingigantiscono perché coinvolgono praticamente tutte le altre nazioni del pianeta. Una domanda che dovrebbero porgersi in Figc come in Uefa è l’ipotesi di manipolare e gestire uno scenario nel quale uno o più paesi europei hanno superato la crisi e uno o più altri paesi europei sono ancora alle prese con l’emergenza. Chiudere tutto in maniere semplicistica, dai porti agli spazi aerei ai confini, abbiamo visto che non è una soluzione efficace, semplicemente perché è una risposta semplificata a un problema che oltre a essere iperstrutturato è invisibile. Se da una parte il contagio è concluso e da un’altra parte è ancora in corso, come si concilia l’interconnessione tra paesi che sta alla base di una competizione come la Champions League o l’Eurolega o il Giro d’Italia o il Tour de France o il gran premio di Baku in F1? Gli Europei sono stati rinviati al 2021 e l’idea di svolgere le Olimpiadi a luglio, al momento, è poco più di una speranza. Non ha in altre parole delle fondamenta che inducano a credere che sia possibile.

La stagione 2019-20 è finita?

E’ possibile, non sicuro, ma ipotizzabile. Rassegnarsi all’idea che un torneo iniziato non venga portato a termine, lo hanno detto più volte i pezzi grossi dello sport mondiale, è mortificante. E qui torniamo al punto di partenza, ovvero all’incapacità di concepire un punto di partenza in uno scenario nel quale il punto di arrivo viene improvvisamente a mancare. E’ evidente che l’uscita da questo tunnel non sarà improvvisa, non ci sarà il sole accecante dopo il buio assoluto, sarà più una piccola luce che progressivamente si accende e diventa sempre più forte. Costringerà la società stessa a ripensarsi e costringerà lo sport stesso a essere ripensato. E’ giusto però riflettere un momento anche sulla sua funzione assoluta e pura. La funzione dello sport non è soltanto nell’offrire svago, divertimento, emozione e intrattenimento al pubblico. E’ anche uno degli elementi più identificativi che impediscono alla quotidianità, intesa proprio come alternarsi di giorno e notte, di svolgersi sempre uguali. E’ per questo, per esempio, che i campionati nazionali vengono programmati fin dall’inizio della loro storia la domenica e poi nel fine settimana. Perché la loro presenza produce una differenza con i giorni precedenti, che sono lavorativi. E anche quando la domenica è lavorativa, la presenza di un evento sportivo identifica quella giornata come diversa. Lo sport aiuta a scandire il calendario e questo è un altro dei motivi per cui le organizzazioni sportive senza calendario non riescono a identificarsi. Per questo è ipotizzabile che al termine dell’emergenza sarà proprio lo sport, appena esisteranno le condizioni per svolgerlo in sicurezza, ad avere un ruolo primario nella ripresa di ciò che facciamo rientrare nel concetto di normalità. Come e in che modo è ancora presto per dirlo. Ma è una visione che va molto oltre l’assegnazione dei titoli della stagione 2019-20 ed è, probabilmente, molto più importante rispetto al rassegnarsi all’ipotesi che la serie A, la Champions League e tutti gli altri eventi sportivi che seguiamo quotidianamente siano finiti senza avere avuto una fine effettiva.