
Il 6 giugno 2015 la Juve giocava la finale di Champions League contro il Barcellona, una sconfitta 3-1 contro la squadra del triplete allenata da Luis Enrique, con un centrocampo composto da Marchisio, Pirlo, Pogba e Vidal. Il 3 giugno 2017, due anni dopo, perdeva 4-1 ancora in finale contro il Real Madrid di Cristiano Ronaldo con un centrocampo composto da Pjanic, Khedira e Dani Alves in un 4-2-3-1 nel quale Dybala agiva alle spalle di Higuain e Mandzukic da falsa mezz’ala. A detta di molti, il centrocampo di quella seconda finale persa era comunque inferiore per qualità a quello della prima finale di Allegri. Il che ci porta direttamente al problema di cui si discuterà da qui a primavera e forse oltre. Il centrocampo attuale della Juve è all’altezza di una squadra che vuole vincere campionato e Champions League?
E’ un dato di fatto che il 2019 nella tirannia bianconera instaurata nel 2012 con otto scudetti consecutivi è stato il più avaro dal punto di vista dei trofei. L’arrivo di Cristiano Ronaldo è coinciso con una sconfitta netta in coppa Italia contro l’Atalanta, come non succedeva dal 2014, con l’eliminazione ai quarti contro l’Ajax in Champions League e con il 3-1 contro la Lazio in Supercoppa, una sconfitta che ha ricalcato nei temi quella in campionato di due settimane prima sempre contro la squadra di Inzaghi. Sono numeri che coincidono anche con un deterioramento nella zona mediana del campo dovuto alle scelte di Paratici e Nedved, che in estate hanno investito in maniera fisiologica su un ricambio di peso internazionale in difesa con De Ligt puntando ancora sui parametri zero a centrocampo. Sono arrivati Rabiot e Ramsey così come l’anno prima era stato preso Emre Can e prima ancora Khedira e Dani Alves (per rimanere solo a centrocampo, ma si possono aggiungere alla lista anche Lucio, Anelka, Llorente, Coman, Neto). Giocatori che hanno in comune la tendenza sempre più pronunciata a fermarsi spesso nel corso della stagione per infortuni di varia entità e che non garantiscono sul piano del palleggio e della personalità la qualità che serve quando il livello si alza o quando Sarri, come sempre più spesso potrebbe capitare, darà fiducia al tridente composto da Higuain, Dybala e Cristiano Ronaldo.
Naturalmente questa scelta filosofica di prendere nomi pregiati in scadenza di contratto ha lo stesso lato oscuro delle squadre che puntano su talenti molto giovani. Ovvero che può andare bene quasi con la stessa percentuale con la quale può andare male e non è difficile capire il motivo. Un giocatore come Rabiot che non viene rinnovato dal Psg ha problemi comportamentali di vario genere, uno come Ramsey che non trova l’accordo con l’Arsenal ha limiti fisici evidenti, la reazione di Emre Can all’esclusione dalla lista Uefa per la prima fase della Champions League riporta a un carattere difficile da gestire. E Khedira con il tempo non perde in arguzia e sapienza tattica, ma in efficienza dinamica sì. Non casualmente l’unico uomo davvero positivo finora è stato Bentancur, che però ha poche doti di costruzione, e Matuidi sta pagando il conto di correre su e giù per il campo con una linea avanzata poco propensa ad aiutare in fase di copertura. Si potrebbe aggiungere che la strategia tecnica della dirigenza non è chiara anche in altre zone del campo visto che Higuain e Dybala, due note positive del girone di andata, sono rimasti solo perché la Juve non ha trovato acquirenti convinti, per non dire di Mandzukic rinnovato e rinnegato nell’arco di sei mesi, o Benatia che lo scorso anno quando sarebbe servito per gli infortuni di Chiellini e Bonucci non c’era più, lui pure coinvolto in una divergenza con la società. Giusto per aggiungere che di pasticciacci a livello di strategia e prospettiva ce ne sarebbero e ce ne saranno altri nelle prossime sessioni di mercato, forse non casualmente accumulati dopo l’addio di Marotta, ma stiamo divagando.
La conseguenza è che rispetto al centrocampo del 2015, che era assortito in maniera impeccabile tra la potenza atletica di Pogba, l’esuberanza agonistica di Vidal, la completezza tecnica di Marchisio e la visione di gioco di Pirlo, il reparto nevralgico del gioco si è depauperato inesorabilmente né si è ritenuto necessario rinfrescarlo con investimenti economici di livello. Nel 2018 in attacco con l’affare monumentale di Cristiano Ronaldo, nel 2019 in difesa con De Ligt, quello che rimane fuori è proprio il centrocampo. In mezzo c’è stato l’allontanamento di Allegri, un allenatore che aveva vinto tutto e che prima di andarsene aveva chiaramente fatto capire che per continuare sulla strada dei successi sarebbe stato necessario fare cambiamenti strutturali profondi, a volte drastici. Si riferiva alla zona mediana del campo.
Allegri ha anche pagato l’eliminazione ai quarti di Champions League contro l’Ajax che è stata più spettacolare e mediatica che tecnica, con l’assenza di tre uomini chiave nelle partite decisive, spostando il dibattito dalla difficoltà dei bianconeri a contrapporre a una squadra di pregevoli palleggiatori un centrocampo altrettanto efficace alla qualità del gioco proposto dall’allenatore toscano. In altre parole si è discusso a lungo sul fatto che la Juve di Allegri giocasse male senza aprire un confronto approfondito sulla possibilità che non potesse fisiologicamente giocare meglio con un centrocampo privo di grandi qualità tecniche se si eccettuano Pjanic, che però va in difficoltà quando viene attaccato come succede quando giochi contro l’Atalanta, Douglas Costa che però è un altro giocatore destinato a stare spesso fuori dal campo per problemi fisici e Bernardeschi intorno al quale nemmeno il nuovo allenatore ha risolto il rebus relativo alla sua posizione ideale in campo, sospeso tra l’esterno che è l’impiego che ne fa Mancini in nazionale e il trequartista che però finora non è stato in grado di interpretare nella Juve. La squadra che perde due volte in due settimane contro la Lazio conferma le difficoltà che incontra quando si trova davanti tanta qualità a centrocampo, perché non ha più interpreti in grado di compensarla atleticamente e nemmeno uomini in grado di alimentare gli attaccanti. Anche lo scorso anno prima della rimonta contro l’Atletico Madrid scrivemmo riguardo al fatto che un giocatore come Cristiano Ronaldo tende a ricevere il pallone in maniera statica invece che in movimento come succedeva nella sua esperienza madrilena.
E’ chiaro che il livello si alzerà sensibilmente a marzo, nei probabili quarti di finale di Champions League, e che il testa a testa contro l’Inter potrebbe essere destinato a protrarsi fino alle ultime giornate impedendo a Sarri di gestire gli uomini dal punto di vista emotivo e fisico in maniera ottimale come succedeva negli anni in cui il campionato veniva ipotecato a febbraio. Che il nuovo tecnico non abbia uomini a centrocampo particolarmente compatibili con la sua concezione di calcio è un altro dato di fatto del quale si discute poco eppure è il bivio davanti al quale la stagione della Juve può trasformarsi in esaltante o in deludente senza soste intermedie. E’ qui che si gioca il destino di questa squadra nei prossimi mesi. Ha qualità dietro e davanti, ma non un centrocampo allo stesso livello. E quando ti mancano i muri portanti, anche un arredamento bellissimo rischia di restare incompiuto. Gli indizi stanno diventando prove, per la definitiva certezza basterà aspettare circa tre mesi.