Giovanni Lucchesi ci racconta Riccardo Sales…”portatore sano di valori”

Giovanni Lucchesi ci svela l'umanità di Riccardo Sales, il compianto Barone di cui Giovanni fu assistente tanti anni fa.

Giovanni Lucchesi racconta Riccardo Sales

Giovanni Lucchesi, assistente allenatore della Nazionale Femminile e coach dell’Under 17 che questa estate ha vinto l’Argento al Mondiale, ci svela in questo splendido articolo tutta l’umanità di Riccardo Sales, il compianto Barone di cui Giovanni fu assistente tanti anni fa.

Ogni tanto mi torna in mente, perché troppo portatore sano di valori e competenza per farlo uscire definitivamente dal pensiero, da qualunque pensiero che sul basket e non solo si fonda questa mia vita.

Riccardo Sales se ne andò in silenzio in quel maggio del 2006. Il mese delle rose. Se ne andò con un sorriso, a beffare il male. E con un abbraccio, l’ultimo, all’amore della sua vita.

Lui che tanti e tanti anni fa, estate del 1994, mi aspettava con una foto presa da un vecchio Giganti, la bibbia cestistica di allora. Non mi conosceva e allora voleva essere sicuro di riconoscermi. “Sei molto meglio in fotogVafia…” e in un attimo seppe annullare qualunque distanza. Era l’estate di Jovanotti e del suo “Penso positivo”, e Riccardo era stato nominato ct di un settore che di positività aveva bisogno perché faticava a trovare una linea guida stabile e condivisa.

Io rappresentavo il suo primo contatto con il “nuovo mondo”. Avevo un compito: mostrare il visibile e l’invisibile di un sistema che aveva fame di Uomini come Riccardo. Il raduno di Norcia (già, la meravigliosa Norcia ora così ferita…) fu la prima tappa di un incontro/confronto con la misteriosa “femminile” dove avrebbe saputo offrire l’efficacia del suo carisma, la sua autorevolezza calda e rassicurante come i suoi sorrisi.

Appena dopo quel raduno partimmo per S. Pietroburgo, obiettivo Goodwill Games, una di quelle manifestazioni che ai tempi, a volte, nemmeno apparivano nel curriculum di una Federazione. Volammo con una squadra sperimentale legata alle esigenze di un’estate di lavoro inaspettata per molte atlete.

Giovanni Lucchesi racconta Riccardo Sales.

Lui, carico di entusiasmo virale, voleva confrontarsi. E capire, non giudicare; voleva essere sempre “dentro” la vita, mai all’esterno, ed io in quel debutto gli ero di fianco, come lui lo era stato ai grandissimi del basket. Sentivo di non voler perdere nemmeno un’istante di quella irripetibile frequentazione. L’impatto del torneo fu terribile: Stati Uniti, Russia e Canada ci passarono sopra.

Riccardo aveva bisogno di capire meglio e per una notte “ripassammo” il basket femminile. Umile Virgilio, raccontavo al Sales/ Dante l’inferno, il purgatorio e il paradiso di quel movimento anni 90: raccontai stili di gioco, protagoniste e protagonisti, attori e attrici e autori, metodi e peccati. Lui se ne stava seduto con un blocco notes sulle ginocchia vecchie, come amava definirle.

Stilammo una lista infinita di atlete: qualcuna l’avrebbe comunque vista di sfuggita, ma l’ansia era quella meravigliosa di non trascurare nessuna, per sapere sempre e con chiunque di chi e di cosa parlare. Il fisioterapista di allora, Vladimiro Soldan, il medico, Roberto Grillo, e la funzionaria Fip Evelina Lorenti, persone speciali, ci sostennero con caffè russo e ci augurarono la buonanotte: erano anche loro persone speciali in un team che si rivelò sempre tale.

Giovanni Lucchesi racconta Riccardo Sales

Dai Goodwill Games senza gloria partì il progetto di lavoro di Riccardo Sales: meticoloso, sereno e chiaro come la sua scrittura, che sembrava stampa gradevole. Pur senza la grande Mara Fullin (che di fronte alla laguna, nel sole e nel vento, abbracciò di un affetto paterno nel giorno invece più buio, quello della scomparsa della sorella di Mara) a Brno, campionato europeo, la sua “competenza di un altro mondo” (parole di una grande del basket, Cata Pollini) fece sì che in quei giorni luminosi la Femminile fosse sorella del maschile. Finalmente basket e non pallacanestro.

L’Italia del Barone vinse l’argento con milioni di occhi davanti alla tv , e il diritto di giocare un’Olimpiade.

E quel sogno continuò con l’Universiade in Giappone, con Marta Rezoagli a correre intorno al campo con la bandiera in mano, immagine felice e per niente confusa di un legame strettissimo.

E il pin degli States, carnefici all’esordio 365 giorni prima e battuti in finale, scagliato via.

Poi l’Olimpiade, il sogno: fino alla partita con l’Ucraina, ancora una volta a fermare il tir azzurro. Dopo quella partita stregata, nulla fu più come prima. La favola, semplicemente ed amaramente, si tramuta in storia. Incomprensione, stanchezza, interesse. Nulla, appunto, resta uguale.

Giovanni Lucchesi racconta Riccardo Sales

Lo stesso mondo che aveva accolto Riccardo come un salvatore, lo trasforma in demone: dal paradiso all’inferno. Viene cancellato il ricordo e la riconoscenza lascia il posto all’arroganza.

Lo andai a trovare l’estate successiva al suo esonero. Era al camp del figlio, Andrea. Barba lunga, provato. Il male cominciava a bussare alla porta del suo corpo. Mi poggiò addosso gli occhi tristi e le mani grandi e mi baciò. La rabbia e il dolore dentro aprirono definitivamente quella porta.

In quegli anni ci sentivamo per gli auguri, per qualche rapido ricordo: l’affetto e il legame rispettoso di sempre. La solitudine intervallata dalle considerazioni sull’impossibilità di vivere questo mestiere come insegnamento, schiavi del successo a tutti i costi.

Giovanni Lucchesi racconta Riccardo Sales

Controcorrente, perché Lui era Uomo senza peli sullo stomaco, che non ha mai accettato il valore sempre attuale del “fine che giustifica i mezzi”, della furbizia come qualità principale. Riccardo sapeva arrivare all’anima ed apprezzarla. Scriveva alle sue ragazze alla vigilia delle Olimpiadi di Atlanta. “Vi auguro Olimpiadi indimenticabili e poiché la squadra è composta da persone estremamente razionali. Per questa volta ci accontentiamo di una impresa impossibile”.

Lo sentii un’ultima volta, poco prima della sua morte. Lo sapevo malato, ma non mi lasciò chiedere di lui. Voleva sapere di me, del mio fare ed essere. Il suo male veniva dopo.

Fuori da quel rettangolo dove Lui era inimitabile ed irraggiungibile, di questo Maestro ho tante piccole immagini.

Giovanni Lucchesi racconta Riccardo Sales

Tutte hanno una costante. Il contatto, l’abbraccio. Come quella volta a Norcia, in quel primissimo raduno: passeggiando si avvicinò ad un’atleta, Alessandra Pongetti, e gli mise una mano sulla spalla con fare protettivo. Alessandra con naturalezza gli cinse il fianco.

Si girò verso di me, che camminavo dietro. Nemmeno una parola, ma solo lo sguardo dagli occhi grandi di un uomo felice perché semplicemente aveva stabilito il contatto.

Per sempre….