Questa è una storia tipicamente inglese, squisitamente anni sessanta, nettamente caratterizzata da due città della working class come Manchester e Liverpool. Ci sono due uomini con lo stesso cognome, lo stesso fascino sulla popolazione femminile, la stessa appartenenza alle due squadre più forti del mondo. Solo che il primo, George, è e rimarrà sempre Best, il secondo, Pete, è diventato noto come l’uomo più sfortunato del pianeta. Il primo ha contribuito a rendere il Manchester United la squadra più forte del mondo, il secondo è stato esonerato dalla sua squadra appena prima che diventasse la più forte del mondo, i Beatles. E’ una storia che per tanto tempo si poteva inseguire negli articoli dei giornali e anche, a volte, in quelli online dei siti di informazione all’inizio del nuovo millennio. Almeno fino a quando entrambi sono stati in vita, mentre oggi il primo è un ricordo di tutti gli altri che si celebra esattamente il 25 novembre (lo stesso giorno della scomparsa di Maradona e di Fidel Castro, altri due nomi leggendari che hanno vissuto questo pianeta in maniera piuttosto diversa da quasi tutti gli altri), quest’anno fa esattamente diciotto anni, e il secondo principalmente di sé stesso, però in buona salute. Ogni tanto capitava che George Best, quando si faceva riferimento all’asso del calcio britannico, venisse riportato come Pete Best. E allora sapevi che chi aveva scritto il pezzo era come minimo un appassionato verace dei Beatles. Che invece Pete venisse scambiato per George, anche solo su un pezzo di carta, non risulta alle cronache. D’altra parte non ce n’era motivo.
Il primo Best
George Best ha in comune molto altro con i Beatles, oltre ad avere condiviso con loro lo stesso decennio. Infatti lo chiamavano il quinto. Naturalmente lui stesso ci giocava sopra, dicendo che se fosse stato anche bello nessuno avrebbe mai sentito parlare di loro. Peraltro mica era brutto, anzi, e infatti la variante dell’aforisma era ‘se non fossi stato così bello non avreste mai sentito parlare di Pelé’. Oltretutto anche in rete potete pescarlo in certe foto a colori, con la maglia rossa dei Red Devils, coi capelli lunghi e i baffi a manubrio e di profilo pare proprio Paul McCartney nelle session fotografiche per la copertina di Sgt. Pepper’s. Di più, condivideva con loro anche origini proletarie, famiglie povere ma dignitose, lui di Belfast e loro di Liverpool ma tutti nati tra il 1940 e il 1946, con il mondo in fiamme e con un’infanzia trascorsa tra le macerie.
Se non basta, probabilmente Best non sarebbe diventato Best senza Matt Busby, il manager demiurgo del Manchester United con cui vinse la Coppa dei Campioni del 1968 eliminando prima il Real Madrid e poi liquidando 4-1 il Benfica in finale, che in questa storia sta a questa squadra come George Martin sta a quella dei Beatles (e viene anche citato in un pezzo puramente lennoniano, Dig It, veloce collage di nomi più o meno prestigiosi che fa da antipasto della ben più celebre Let it Be, album omonimo). Ci si interroga da decenni se uno con quel talento e quella leggiadra visione del calcio come intrattenimento, di una partita come se fosse un concerto, avrebbe potuto dare di più sul campo se solo avesse avuto un minimo senso di responsabilità. Probabile. Altri dicono che è giusto prenderlo così, come è venuto, come un bagliore ma non come una meteora, che quello che ha dato è stato forse troppo poco ma non significa che non sia stato abbastanza. Di sicuro è rimasto a tutti quelli che c’erano un senso di appetito inappagato, di volerne ancora di quella pietanza succulenta dentro il piatto di un decennio irripetibile. Proprio come i Beatles, finiti prima del previsto ma anche più in là del prevedibile dopo ciò che avevano passato in otto anni trascorsi ai confini delle potenzialità umane. Le donne, l’alcool e tutto il resto lo risparmiamo perché lo conoscono tutti e non aggiunge niente. In qualche modo, lui e loro, avevano un destino scritto al quale non si sono sottratti.
Il secondo Best
Pete Best pure aveva un destino scritto, di fronte al quale però non ha potuto fare niente per sottrarsi. Il batterista che si fa tutta la gavetta in cantine marce e puzzolenti, nel Regno Unito come in Germania, e viene cacciato proprio un attimo prima dell’entrata in orbita. Come se un portiere facesse la preparazione estiva e giocasse le prime giornate di campionato prima di essere cacciato all’inizio di una stagione che porterà la squadra al triplete. La storia del secondo Best in realtà ha un’importanza ineludibile per i Beatles, anche se il capitolo che viene raccontato è solo quello finale, in cui gli altri tre si rimbalzano la palla prima di costringere il manager Brian Epstein a cacciarlo in procinto di registrare l’album Please Please Me perché si vergognavano di farlo di persona. Dal 1957 al 1962 quello del batterista era stato un problema costante per loro. Non riuscivano a trovarne uno che desse continuità, ogni tanto suonavano senza per mancanza di titolari affidabili e a chi gli chiedeva come mai mentivano spudoratamente dicendo che il suono per loro dovevano farlo le chitarre. Con Pete Best i Quarrymen, nome primordiale della band, non trovarono solo un batterista affidabile ma anche sua madre Mona, che in uno scantinato della proprietà di famiglia aveva inventato un club per la musica dal vivo che si chiamava The Casbah. Senza di lui, e senza di lei, probabilmente i Beatles sarebbero finiti prima di iniziare: senza Pete, niente date. Pete Best era con loro ad Amburgo ed era con loro quando diventarono il gruppo più famoso di Liverpool. Pete Best, come George (Best, non Harrison, che qui il rischio di confondersi è reale), era anche il più desiderato e guardato dalle ragazze. Condivisero entrambi storie di gelosia all’interno dello spogliatoio e guardate che non è una faccenda marginale. Molte colonne dello United, come Bobby Charlton, non capivano perché dovessero farsi un mazzo così in allenamento se a un ragazzino impertinente ma di talento veniva permesso di fare prevalentemente come gli veniva. Lennon e McCartney non capivano come mai loro, frontmen col compito di accendere il pubblico, ricevevano meno attenzione dalle ragazze presenti tra il pubblico. Quando poi si disse che per le registrazioni in studio Ringo Starr era più adatto, la tesi era credibile, divenne quella ufficiale ma mai fu comprovata. La verità è che i Beatles sono diventati la squadra più famosa del pianeta solo perché il loro batterista originale rimorchiava di più. Il che è un altro punto in comune con l’altro Best. Il quale poi, come sappiamo, ha sperperato tutto in donne e alcool e macchine. Pete, ma non si è mai saputo con precisione, in qualche punto degli anni successivi ha ricevuto qualcosa dai suoi ex compagni di squadra. Noccioline, rispetto ai milioni e milioni di sterline che si mettevano in tasca gli altri. Pete pagò forse l’unica differenza con George, era timido e introverso mentre l’altro era sfacciato e irriverente, proprio come Paul e John. Entrambi sono diventati due esempi da non imitare. Il primo per avere sprecato tutto il suo talento, il secondo per non avere saputo sfruttare l’occasione della vita. Ecco perché a volte, ancora oggi, quando si scrive Best non si sa se farlo precedere da George o da Pete.