“Passame ‘sta palla” vi racconta Coast to Coast. Il giornale che ha cambiato la mia vita!

Il nuovo libro di Fabrizio Fabbri racconta le storie più belle del basket romano: tra queste Ctc, la fanzine che per sei anni ha deliziato il Palaeur. E rovesciato la mia vita.

Basket libro Passame sta palla Coast to Coast. Nel nuovo libro di Fabrizio Fabbri le storie più belle della pallacanestro romana. Tra queste, anche la favola di CTC.

La mia vita è cambiata radicalmente nel febbraio 2000 quando Franco Montorro decise, per motivi ancora al vaglio della Magistratura, di assumermi come redattore di Superbasket. La mia radiosa carriera da programmatore informatico venne brutalmente interrotta ma Bill Gates e Steve Jobs se ne fecero rapidamente una ragione. Grazie ai sei anni di Coast to Coast sarei diventato un giornalista. Mi avrebbero pagato per fare quello per cui avevo pagato io fino a quel giorno.

Ovvero guardare una partita di Pallacanestro.

La nascita e la diffusione di Coast to Coast ce lo racconta e ve lo racconta Fabrizio Fabbri in uno dei capitoli di “Passame ‘sta palla” lo splendido libro appena uscito e che racconta undici storie belle della pallacanestro romana.

Undici tappe, per undici racconti autonomi e indipendenti, collegati tra loro dalla stessa passione per le canotte e per il parquet. C’è spazio per la rocambolesca promozione in serie B2 della Petriana Roma (1996) e per il basket solidale della New Star di Andrea Antonelli, da anni impegnata nel far comprendere che sport e disabilità è un binomio possibile.

Fabrizio Fabbri ha voluto mettere nero su bianco la sua grande esperienza nella pallacanestro. Collaboratore di Leggo e, per oltre 25 anni, firma della rubrica basket de Il Tempo, è stato corrispondente di Tuttosport e di Radio24 e addetto stampa della nazionale italiana agli europei di Roma 1991 e di Atene 1995. Coach di formazioni come la Petriana Roma (che ha guidato fino alla promozione in B2), è autore di diversi testi di storia del basket.

“Passame ‘sta palla” è un contenitore di esperienze, che riesce a far percepire l’atmosfera di una pallacanestro quasi dimenticata. Dalla periferia agli occhi di chi sfoglierà le sue pagine, il libro va a canestro con una strizzata d’occhio all’ironia e alla spensieratezza proprie dello sport allo stato puro.

Per acquistarlo o per ulteriori informazioni, scrivete a passamestapalla@gmail.com

Questo il meraviglioso capitolo dedicato a Coast to Coast, in esclusiva per i lettori di infobetting.com.

I sogni di gloria dei giorni dell’era Ferruzzi si erano volatilizzati in un pomeriggio quasi estivo del 1994 a Reggio Calabria. Perdendo sullo stretto la Burghy Roma era ingloriosamente retrocessa in serie A2. I tifosi della Virtus erano tristemente rassegnati alla scomparsa del club che nel secondo campionato professionistico sembrava non poter avere speranza di sopravvivenza. Angelo Rovati, vulcanico uomo di basket, che in futuro sarebbe stato una delle menti della discesa in politica di Romano Prodi legato a doppio filo alla famiglia ravennate, era pronto a farsi da parte. Ma appunto in A2 la società non era assolutamente appetibile.

La città non mostrava alcun interesse per il suo futuro ed il destino era praticamente segnato.

Il salvatore però di lì a poco si palesò ed aveva le sembianze di Giorgio Corbelli, imprenditore di Santarcangelo di Romagna, che qualcuno in futuro avrebbe disegnato come la esatta riproduzione dell’omino della Bialetti vista l’incipiente calvizie ed un baffo nero che incorniciava un volto furbescamente rubizzo. L’acquisto del club fu rapidissimo così come il ritorno nella massima serie utilizzando il diritto sportivo dell’Aurora Desio. Una specie di mano di poker ben giocata.

Corbelli però fu accolto nella capitale dalla diffidenza degli appassionati e degli addetti ai lavori per un passato dove spesso i suoi blitz in città che avevano fame di pallacanestro erano stati legati ai business delle sue aziende. Aldo Celada, uomo che conosceva gli angoli più nascosti del basket e per questo chiamato in fretta e furia dal nuovo proprietario, mise su, supportato dall’infaticabile Mauro Montini da Brescia, una squadra di giocatori da outlet.

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C’era chi era stato, magari ingiustamente, dimenticato, chi in cerca di riscatto, chi di una grande occasione. Solamente Emiliano Busca, Fabrizio Ambrassa e Donato Avenia avevano un curriculum di alto livello ma non bastava certo a far riaccendere l’entusiasmo di una piazza ferita dalle vicende ferruzziane. In questo panorama al misto dello scoramento e dell’abbandono due ragazzi con la malattia della palla a spicchi decisero di unire una folle ed innovativa idea.

Costruire un giornaletto, non la voce ufficiale della società, ma qualcosa che ne accompagnasse le partite interne, che superasse lo stantio clichè dei match program. Nacque così Coast to Coast, irriverente fanzine, gonfia di ironia e sfottò. Una pasquinata su carta, in autentico spirito romano. “Se non avessimo provato a sorridere – dicono i pionieri di allora – saremmo affogati in un mare di lacrime visto quello che era stato l’epilogo della stagione precedente”.

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I due, oggi imbiancati uomini sempre con il pallone a spicchi nel cuore, erano Giancarlo Migliola e Roberto ”Bebbo” Rubini. Il primo era un informatico che lavorava all’Istituto per il Sostentamento del Clero (“facevo i 730 ai preti”), l’atro era già attivo in quella che è ancora la sua professione: il grafico. “Quel giornaletto – racconta Giancarlo – ha veramente cambiato le nostre vite. Ci siamo trovati proiettati nostro malgrado in una sorta di sliding doors. Eravamo abbonati ai tempi de Il Messaggero Basket pagando 475mila lire per un posto nel famoso Lato L avendo tutta gente attorno che riceveva biglietti omaggio per vedere quella per noi era la squadra del cuore. Eravamo un po’ fantozziani nella nostra passione. Basti pensare che in giorno che a tutti i presenti fu distribuito un ombrello della squadra come gadget noi non lo prendemmo perché eravamo impegnati a staccare uno striscione”.

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In realtà una piccola ribalta, prima ancora che nascesse Coast to Coast per Giancarlo era arrivata. “Era l’anno della Burghy, quando poi retrocedemmo. Scrissi una lettera aperta, che trasudava amore e disperazione, che venne distribuita a tutti gli spettatori presenti ad una gara.

Antonietta Baistrocchi, che conduceva un seguitissimo rotocalco settimanale su Radio Incontro riuscì ad avere il mio numero e farmi intervenire in diretta”. Cosi’ dalla Sardegna, dove è in vacanza, Migliola contatta Bebbo quando scopre, attraverso il Televideo della Rai, che la Virtus vivrà ed è stata appunto ripescata. “Famo qualcosa” il commento un po’ alla Nanni Moretti. “Certo, facciamo un giornaletto” la risposta di Rubini. E così il concepimento di Coast to Coast era realtà. Intanto Cristian Glendening, “unico dirigente al mondo con un cognome simile ad un whisky single malt e ad un gerundio”, ereditato dalla nuova proprietà nel pacchetto totale delle maestranze che avevano vissuto l’era Ferruzzi, viene contattato dai due. “Basta che non ci create casini potete fare tutto ciò che volete” la secca risposta che venne data ai due. “Il problema iniziale – ricorda Bebbo – era trovare chi potesse stampare le prime copie a costo zero. Andammo in una tipografia a Viale Marconi e provammo a spiegare.

Il proprietario si mostrò interessato a condizione che apparisse il nome della sua azienda. Partimmo tirando 500 copie”. Coast to Coast è una fanzine geniale. Dove l’ironia, il sarcasmo, la genialità e l’irriverenza la fanno da padroni. Non ci fosse la pallacanestro di mezzo si sarebbe parlato di una perla di cabaret, roba da Bagaglino. Ed invece c’è questa palla che rotola che consente al foglio, ancora semiclandestino, di arrivare nelle mani degli spettatori di questa nuova Virtus.

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C’è curiosità attorno alla squadra, tanta quanto lo scetticismo di chi pensava ad una rapidissima rotolata verso i bassifondi con susseguente nuova retrocessione. Invece il miracolo sportivo avviene. Perché la truppa di Caja, targata Teorematour, sorprende tutti tanto da iniziare con il piede pigiato sull’acceleratore al massimo il campionato. Il titolo della prima pagina d’esordio di Coast to Coast recitava: Basta Vincere, mutuando il titolo del film. “Il giorno che lo distribuimmo per la prima volta – dicono i due all’unisono – eravamo tesissimi. Era la nostra creatura e la guardavamo passare nelle mani dei tifosi con tenerezza. Per riempire le pagine fu complicato perché fummo colti da un blocco tipo quelli che capitano a poche ore dall’esame di maturità. Nella testa era tutto bianco. Poi piano piano iniziammo a dare vita alle nostre pazzie”.

La linea editoriale è chiara: nessuno deve atteggiarsi a fare il giornalista, a sputare sentenze. Bisogna non prendersi troppo sul serio. Cosa che riuscì alla perfezione. E nasce lo slogan che accompagnerà il cammino di Coast to Coast dal primo all’ultimo numero: Non fate passi.

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Intanto in corso d’opera la redazione si allarga perché due tifosi, fratello e sorella, con la passione della Virtus si palesano a Bebbo e Giancarlo. “Per farci i complimenti” sogghignano “incredibile”. Sono Francesca e Antonio Aloise. Le difficoltà sono comunque tante. “Non c’era possibilità – ricorda Rubini – di usare la computer grafica. Il giornaletto seguiva il percorso dei quotidiani tradizionali. Venivano scritti pezzi, incollati e si creava la pagina corredando con titoli e foto”. Le rubriche sono legate all’attualità, ovvero la partita. Così oltre alle consuete formazioni ecco “Visitors”, era il tempo della serie con gli alieni ripugnanti su Italia 1, per raccontare chi sono gli avversari. Poi un’intervista-scheda ad un giocatore e soprattutto quello che caratterizzò per 94 numeri la vita del giornaletto: la classifica che veniva creata ex novo ogni volta, andando a pescare nel pozzo della più irriverente ironia. Nasce così “gli accoppiamenti dei playoff” dove il tabellone con le squadre che si contenderanno lo scudetto è caratterizzato da alcune posizioni del kamasutra.

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La “classifica oculistica” invece vedeva la prima classifica sparata ad una grandezza a prova di miopia fino all’ultima in classifica illeggibile per quanto i caratteri fossero piccoli. Si va avanti tra sorrisi e sfottò. E del giornale non ne parlano solo i tifosi ma anche i giocatori, della Virtus ed anche avversari, e tutto l’ambiente. Finisce la prima stagione dove le laute prebende per questo sforzo sono state: cinque biglietti di servizio per distribuire la fanzine.

Ma per Bebbo, Giancarlo e i fratelli Aloise vivere l’ambiente di Settebagni, dove la virtus si allenava, avere una quotidianità di contatti con Caja, Calvani ed i giocatori è come un sei al superenalotto. Giorgio Corbelli però si accorge di loro. Li affronta alla fine partita di campionato. “Siete voi che fate il giornale?” la domanda che un po’ mette in soggezione i ragazzi. “Si” la timida risposta. “Bene” prosegue il patron “l’anno prossimo provo a darvi una mano. Come posso fare?”. Migliola si fa coraggio e chiede. “Il problema più grande per noi è non avere un computer. Sa noi facciamo il più bieco dei copia e incolla. Un po’come Totò e Peppino quando compongono la lettera dei rapitori”. Il dialogo a questo punto rasenta il surreale. “Fatemi pensare ragazzi – dice Corbelli allisciandosi il baffo – perché la scorsa settimana ho comprato una televisione”. Dentro di sé Migliola ha una reazione istantanea. “Ma che me ne po’ fregà. Io me so comprato er frigo” pensando un elettrodomestico che magari avrebbe abbellito un salotto.

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Corbelli invece pochi giorni prima aveva definito l’acquisizione di un canale televisivo che sarebbe diventato Telemarket. “Grazie presidè – la risposta che poi bloccò questa strana conversazione – noi col televisore ce famo poco”. Il computer non arrivò mai in compenso iniziarono ad affacciarsi degli inserzionisti che diedero la possibilità a Coast to Coast di crescere. “Possiamo dire con orgoglio – sghignazzano – che siamo stati pagati dall’attuale presidente del Coni”. Parlano di Giovanni Malagò i due. Appassionato di basket, aveva deciso di sostenere l’operazione con il marchio della sua prestigiosa società che si occupava di vendita di macchine di lusso.

“Da inserzionista di Coas to Coast a numero uno dello sport italiano è un attimo….” la battutaccia che non riescono a trattenere. Intanto Tiziana Luciani si presta a fare da direttore responsabile, l’irresponsabile è già Migliola, e la testata viene registrata. “Non arriva il pc, perché Corbelli se ne era dimenticato, ma entrarono i soldi per dare a Bebbo un Mc usato che ci fece decollare come veste grafica”. Sulle ali di un giornaletto ormai divenuto adulto cambiano le vite di tutti i ragazzi che compongono la sua spina dorsale.

“Non di tutti – dice Rubini – perché io il grafico facevo e continuo a fare. I fratelli Aloise sono poi entrati in Telemarket, Giancarlo ha percorso e lo fa ancora la complicata strada del giornalismo. Io casomai ho vinto, e ne sono fiero, sedici anni, ed ancora oggi continuo, come speaker ufficiale della mia Virtus”. I giocatori sono i primi ad attendere che venga sfornata una nuova copia.

Si ride a crepapelle. “Eravamo una sorta di Gialappa’s casereccia. Davanti ad una pizza è nato il titolo “Piede Pernod”, con Flavio Carera che sorseggia il famoso liquore francese, oppure “Blocco Cechov” con i giocatori che leggono il Gabbiano dello scrittore russo. La squadra continua ad inanellare buone stagioni. Le rubriche crescono. “Ci inventammo quella de il Confronto. Una, esilarante era “Cazzaro d’Italia vs Il Cazzaro d’America”. Gli Usa erano rappresentanti da Jerry Lewis, per noi mettemmo l’arbitro Stefano Cazzaro. Diciamo che non la prese benissimo”.

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Si arriva anche a uno spettacolare Michael Jordan vs Michele Giordano, con il campione dei Bulls che sfida l’allora famoso Cardinale. Non tutti i giocatori, spesso messi nel tritacarne riescono a capire questo umorismo dissacrante. “Mazzoni se la prese un po’. Chi la prese proprio a male fu Tonut. Avevamo montato la sua faccia su Sharon Stone nella famosa scena in cui accavalla le gambe in Basic Instinct. Si offese da morire e ce lo mandò a dire. Così come Messina. Ma Ettore difendeva, a suo dire, Abbio. Avevamo fatto l’ennesimo fotomontaggio con un pugile che picchiava un avversario. Su questo avevamo appiccicato la sua foto.

Il soprannome storico dell’ex giocatore di Bologna è Picchio. Noi titolammo Picchio Abbio”. Le stagioni vanno avanti, le idee cominciano ad inaridirsi un po’. In mezzo a questo percorso c’è anche la tragedia di Ancilotto. “Per noi la pallacanestro come la vita era un sorriso. La sua morte ci segnò, come tifosi ed amici. Gli dedicammo una copertina, era il minimo. Ma per tanto, tantissimo tempo passò a noi come a molti la voglia di scherzare”.

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Intanto Giancarlo prende la strada di Bologna chiamato da Superbasket, Bebbo è sempre più impegnato nel suo lavoro di grafico, i fratelli Aloise passano a lavorare per la Telemarket. “La nostra creatura si stava avviando verso la sua fine naturale. Nel frattempo tante persone avevano incrociato la nostra strada. Allenatori, giocatori, dirigenti, tifosi, addetti ai lavori. Ricordo un giovane Luca Pelosi che iniziava ad aiutarci. Diciamo che gli abbiamo portato bene”.

Arriva la fine di un progetto che accompagnato per sette anni la Virtus. Coast to Coast, non muore, va in pensione. E’ affaticato, vorrebbe godersi un meritato riposo eppure un giorno rischia di tornare in campo. “Pensammo ad un numero unico a poche ore da gara-5 di semifinale conto la Fortitudo Bologna nel 2003. Fossimo andati in finale avevamo già la prima pagina pronta “Avvolte ritornano”. La Virtus dilapidò un + 23 (31-8) perdendo 75-77. Così l’idea restò nel cassetto”.

Un cassetto che forse un giorno forse sarà riaperto.

Con il sorriso sulle labbra ma soprattutto… non facendo passi.