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Il corridore della Vini Fantini, la stessa di Danilo Di Luca, non supera un controllo effettuato al termine della prima tappa del Giro. Da parte del ds del team, Luca Scinto una rabbia che non convince. Inoltre il sistema antidoping presenta troppe falle. Il presidente federale Di Rocco: "Evidentemente qualcuno non ha ancora capito e spera di farla franca"
di EUGENIO CAPODACQUA
ciclismo, doping, mauro santambrogio
ROMA - A vedere gli occhi rossi di Luca Scinto, dopo la ferale notizia della positività di Mauro Santambrogio al Giro, si resta sconcertati. "Come si fa a stare nella testa di questi imbecilli", ripete ossessivamente l'ex corridore. "Come si fa a controllarli giorno e notte?". Dispiace vedere soffrire. E credo che, almeno nella rabbia, il buon "pitone" sia sincero. Ma credo anche che per uno che viene da questo ambiente e che conosce bene questo ambiente non basti la meraviglia e il disdoro. E neppure la rabbia. Come si fa a meravigliarsi se il tale corridore: "In cima al San Baronto, mi spiega che la positività di tizio, piuttosto che di caio venga perché ha sbagliato vena". Perché una simile frase presuppone da parte del corridore che la pronuncia una conoscenza del "mondo" e del "modo" con cui ci si dopa davvero profonda. E questo in un dirigente responsabile di un ciclismo responsabile (utopia...) dovrebbe spingere immediatamente alla denuncia. Non ad aspettare che esplodano casi su casi. Per poi ammettere sfiduciati di essere stati traditi. La fiducia, purtroppo, in questo ambiente, ancora largamente popolato dagli imbroglioni, è un lusso. Questo lo sanno anche i paracarri. Un lusso che un dirigente consapevole non può permettersi. Questa, nella migliore delle ipotesi, è la colpa di Scinto. Perché lui sa come andavano le cose ai suoi tempi e non può cascare dal pero con la meraviglia della fiducia tradita. Ma tant'è.
Ora è fin troppo facile sparare sul pianista. E Scinto la testa la mette facilmente sotto la ghigliottina. Ma la domanda che sorge spontanea nel "ciclismo che vuole cambiare" è: "Quanti Scinto ci sono ancora nel gruppo?". O meglio: Quanti anche peggio di Scinto galleggiano nel bosco e sottobosco del ciclismo di vertice? E' ipotizzabile che in una squadra di diplomati dopatori si percorra la strada del ciclismo più pulito? E' ipotizzabile fare del ciclismo pulito in una squadra di dopatori conclamati? E' credibile la "redenzione" di chi per lustri ha fatto del doping un "sistema", un modello assoluto di comportamento: "Altrimenti non si vince"? Il caso Di Luca è chiarissimo: difficile, difficilissimo che un ex dopato smetta. Specie in un sistema che presenta innumerevoli falle (basti pensare alle sostanze doping e ai metodi che sfuggono ai controlli) per non dire di un sistema in cui controllati e controllori coincidono mescolando in un marasma assoluto interessi e obbiettivi. A Santambrogio si sarebbe arrivati perché l'Uci avrebbe richiesto un surplus di controlli sulla squadra di Di Luca, dopo la positività che lo ha allontanato dal Giro. Tradotto: lo scandalo dell'ennesima positività di Di Luca ha spinto ad una maggiore attenzione. A rifare i test. E anche in questo caso la domanda viene spontanea: ma non sono bastati gli scandali che dal 1998 ad oggi hanno travolto e sconvolto il ciclismo per mettere in piedi un sistema di controllo che non dipenda da cosa succede giorno per giorno? Che si metta in moto solo quando gli scandali scoppiano o sono già scoppiati, travolgendo tutto e tutti, anche quei (pochi) che vorrebbero marciare onestamente?
Il fatto è che, mentre si dichiara la lotta più serrata, si toglie il piede dall'acceleratore. Questa è l'amara verità, raccolta da fonti attendibili. Meno soldi, meno test, meno indagini. Per non parlare del settore giovanile e dilettantistico, praticamente lasciato a se stesso, cioè ai più squallidi medici dopatori e ai praticoni. E suonano davvero a vuoto i proclami del presidente del Coni Malagò: "L'antidoping sarà una delle linee guida della mia presidenza". Ai tempi della crisi diventa un lusso, nonostante i roboanti proclami. Un dato su tutti: i test sull'epo, l'ormone che ancora oggi nelle sue nuove forme "fa la differenza", costa troppo e non viene cercato di routine, ma solo su "segnalazione" o "sospetto mirato". E allora c'è da chiedersi se per uno beccato non ce ne siano cinque, dieci, cento che la passano liscia. Specie con la farmacia che ogni giorno ne inventa una. E allora: quale senso può avere un simile controllo? E soprattutto quale deterrenza? E' solo un alibi? Come possono cambiare le cose con questi presupposti?
Duro il commento del presidente federale Di Rocco: "Non voglio ripetermi. Vale quanto ho dichiarato per Di Luca. Evidentemente ci sono alcuni ciclisti che non hanno capito e sperano ancora di farla franca a spese di tutti gli altri", fa sapere in una nota. "Proprio oggi la nostra Procura Federale guidata dal Procuratore Giovanni Grauso sta svolgendo le audizioni legate al caso Danilo Di Luca e la notizia che riguarda un suo compagno di squadra induce ad allargare e approfondire l'indagine in modo scrupoloso e determinato. Risponderemo coi fatti per fare piazza pulita di questi residui del passato. Chiedo soltanto che il nostro sforzo sia sostenuto senza strumentalizzazioni e senza fare di tutta l'erba un fascio. C'è stato un punto di svolta oltre il quale abbiamo stabilito di procedere con sanzioni drastiche contro chi sgarra. Ricorreremo anche alle vie legali per tutelare gli interessi e l'immagine del movimento ciclistico italiano".
"Posso solo dire che sono incredulo, per quello che è successo e chiederò prima possibile le controanalisi", le parole di Mauro Santambrogio.