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Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 28/03/2018 - 07:37
Non ci dovrebbe essere, cioè, un primo incarico esplorativo a Salvini.
Le condizioni del Colle per l’incarico e l’«alt» dei 5 Stelle frenano Salvini
–di Lina Palmerini 27 marzo 2018
Se in questi giorni in molti, nei partiti, si sono affrettati a stabilire chi sia il titolare del primo incarico, la mossa di ieri di Matteo Salvini che si è detto disponibile a fare un passo indietro per la premiership ha mostrato una prudenza opportuna. Opportuna perché sulla questione che viene riassunta sotto il titolo “tocca a me”, sono nati molti equivoci, il primo dei quali è che il giro d’esordio spetti in ogni caso a chi rappresenta più seggi in Parlamento. Ma non è solo questo il punto. Perché chi riceve un mandato per formare un Governo deve avere i numeri parlamentari e deve anche essere riconosciuto come premier, come colui che va alle Camere per ricevere la fiducia. In poche parole, se al primo giro di consultazioni, Salvini riceve l’investitura dal centro-destra ma non da Luigi Di Maio, di certo si allontana dall’incarico ma perfino un pre-incarico diventa un po’ una perdita di tempo. Nel senso che il Colle anche per affidare un tentativo, ha bisogno vi sia una ragionevole possibilità sui numeri e una chiara disponibilità sul candidato a Palazzo Chigi. Che a oggi non c’è e dunque c’è stata una frenata del giovane leader.
Già perché insistere sul punto senza avere la certezza di un riscontro in casa grillina, porterebbe il segretario leghista solo a sbattere. O a fare un tentativo solo per perdere tempo, per far passare i giorni mentre matura un’altra scelta. E visto che le consultazioni cominceranno tra una settimana esatta, sembra difficile che in breve tempo si chiuda tutto un accordo di Governo che ha le sue complicazioni e i suoi passaggi stretti. Più probabile che alla fine del primo round di consultazioni ci si fermi, per poi ricominciare con un secondo giro in attesa che si componga un incastro difficile tra programma e postazioni di Governo, la prima delle quali riguarda il premier.
Ecco sembra che Salvini sia diventato consapevole di questa salita. «Se mi rendessi conto che ci sono altre persone che possono dare una mano, non sarò io a dire di no», diceva a proposito di chi dovrà ricevere l’incarico. Ha capito, forse, che replicare quello che accadde a Pierluigi Bersani non gli conviene. L’ex segretario Pd e candidato premier ricevette un pre-incarico che non si trasformò mai in incarico pieno – nonostante avesse vinto in una Camera – proprio per i “no” dei grillini durante il famoso streaming. E di certo se anche a lui mancasse il via libera dei 5 Stelle, Sergio Mattarella non lo manderebbe mai dinanzi alle Camere per la fiducia. E se ci sarà un terzo nome di mediazione, allora è quel nome che riceverà l’incarico, non Salvini che non può essere un “esploratore”, figura riservata a ruoli istituzionali o di garanzia.
Sta di fatto che più ci si allontana dal voto del 4 marzo e ci si avvicina alle consultazioni, più si fa esercizio di realismo e quel “tocca a me” viene corretto per alcuni macigni che ancora non liberano la strada verso un Governo tra centro-destra (con Berlusconi) e Movimento. E che saranno sotto gli occhi del Quirinale a partire dal 3 aprile. Sempre che la Pasqua non faccia miracoli.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AENi6tNE
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 29/03/2018 - 09:20
https://rep.repubblica.it/pwa/generale/ ... P3-S3.3-T1
Renzi chiude ai Cinquestelle
28 MARZO 2018
L'ex premier: "Nei gruppi conto ancora". E spinge Delrio alla segreteria
ROMA. Il "senatore semplice di Scandicci" straccia ogni bozza di dialogo con i 5 Stelle a un passo dall'ascensore del Senato. "Ragazzi, un governo tra Pd e loro mi sembra... difficile, ecco. Guardate ai numeri: ci vorrebbe praticamente tutto il Partito democratico. Il 93% dei gruppi. E diciamo che almeno il 7% sta con me, questo almeno potete concedermelo?". Matteo Renzi non si muove di un millimetro. Con lui in campo, nessun governo con i cinquestelle &...
-------
Se fossi Renzi, personalmente, farei lo stesso. Non avrei alcun vantaggio elettorale futuro appoggiando un governo M5S, visto che, dal 4 Marzo, i sondaggi danno il PD stabile o addirittura al 19%.
Aspetterei che si formi un governo M5S-Centrodestra, che farebbe perdere molti voti ai grillini, e punterei a un futuro partito alla MACRON, assorbendo i centristi e parte di Forza Italia (visto che Berlusconi non ha un vero erede moderato). Certo, una parte del PD si spaccherebbe ulteriormente, ma in un futuro governo potrebbe essere sempre "un alleato in una coalizione elettorale".
Altra cosa se fosse Mattarella stesso a chiamare tutti a fare un governo del presidente, retto da una personalità terza.
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 29/03/2018 - 16:23
Concedere di fare i Premier a Di Maio, dietro un certo numero di ministeri pesanti al centro-Destra, con il riconoscimento di Berlusconi (o meglio dei suoi uomini) a farne parte.
Un prezzo alto da pagare anche in termini di futuri elettori anticasta; ma se Di Maio vuole andare al governo, lo dovrà accettare.
In caso contrario governo del presidente o elezioni a breve.
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 30/03/2018 - 14:50
http://www.lastampa.it/2018/03/30/itali ... agina.html
“Di Maio pronto al passo indietro”: il braccio destro di Casaleggio svela il piano per l’accordo col Pd
Bugani: dopo il 4 aprile offriremo un programma in 5 punti Sfida a Salvini: legge sul conflitto d’interessi di Berlusconi
[i]Per capire fino a che punto esista davvero un doppio forno nella testa di Luigi Di Maio bisogna andare a Bologna. E ascoltare con attenzione quello che Max Bugani ha detto a un esponente del Pd emiliano: «Dal 4 aprile (avvio delle consultazioni, ndr) le cose cambieranno. Chiariremo meglio la nostra strategia. Saremo più espliciti con il Pd. Il primo giro di consultazioni andrà a vuoto. Passerà qualche giorno. Poi noi e il Pd dovremo per forza parlarci. A quel punto proporremo un programma di pochi punti, magari cinque, che vada bene a entrambi. Solo dopo, Luigi farà un passo indietro sulla premiership. Di Maio non è mica Renzi, non resterà inchiodato alla poltrona».
Non stiamo parlando dei desiderata di un peone qualsiasi: Bugani è la storia del M5S, consigliere comunale a Bologna e braccio destro di Davide Casaleggio nell’associazione Rousseau, ascoltatissimo da Beppe Grillo, in prima linea con i vertici romani del Movimento. Bugani chiarisce le voci che ieri sono tornate a essere insistenti tra i parlamentari, soprattutto dopo il muro alzato da Matteo Salvini sull’opportunità di rompere con Forza Italia a favore del M5S. Dopo le consultazioni, il fortino pentastellato avvolto dal silenzio comincerà ad aprirsi a dichiarazioni più esplicite. Chi lavora ai dossier economici in vista del Def acquisirà un ruolo più centrale.
Da quanto si apprende, si sta cercando un difficile equilibrio su un programma che riesca nel miracolo di non scontentare nessuno, tra Lega e Pd. Ma ai dem, i grillini sono già pronti a offrire taglio dell’Irap, lotta all’evasione, misure contro la disoccupazione giovanile, e una nuova formulazione del reddito di cittadinanza che tenga conto del reddito di inclusione come base di partenza. Questi punti sono solo una parte selezionata di quella decina su cui ieri i capigruppo si sono confrontati con gli altri partiti. «Chiunque si dica di sinistra dovrebbe votarli» spiega Lorenzo Fioramonti, braccio economico del M5S.
Lo scenario disegnato da Bugani non è dissimile da quello ventilato da alcuni 5 Stelle in chiacchierate informali con i leghisti. Se lo stallo si trascinasse per un mese, Di Maio verrebbe quasi costretto al passo indietro, pur di far partire un governo. Salvini pensa che sarà con la Lega, alcuni grillini sperano con il Pd, convinti che sia la direzione in cui si muoverà anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Diventa ogni giorno più chiaro che Di Maio sta davvero giocando su due tavoli, pronto ad assumersi tutti i rischi del caso: «Le convergenze sono possibili sia a destra che a sinistra - ha detto dopo gli incontri di ieri - L’unico gruppo che si sottrae al confronto e al cambiamento è il Pd». Di Maio prova a stanare i dem, mentre i suoi colonnelli, a partire da Giulia Grillo, messi di fronte all’apertura di Dario Franceschini ripetono: «Ma con quale Pd dovremmo parlare? Sono troppi».
Il leader del M5S si sposta a seconda delle convenienze, pensando di sfruttare le debolezze dei suoi interlocutori. Da una parte c’è la Lega, con cui la sintonia è ottima, ma che si porta dietro un problema non da poco: Silvio Berlusconi. Dall’altra c’è il Pd, a cui il M5S non ha rinunciato fino in fondo, né intende farlo ora che sta combattendo una guerra di posizione con Salvini. Raccontano che Di Maio abbia espresso tutta la sua frustrazione durante l’assemblea del gruppo della Camera: «Se Salvini vuole restare attaccato a Berlusconi, faccia pure. Vediamo dove arriva...».
Su questo non sembra proprio esserci margine di trattativa. A domanda diretta i leghisti scuotono la testa, sconsolati. Stanno tentando di convincere Berlusconi a un’operazione di «cosmesi» spericolata: lasciare Forza Italia a un reggente e dire addio alla politica, nella speranza che i 5 Stelle accettino un’alleanza con l’intero centrodestra. Ma hanno capito che forse non basterà. «Ci sono zero possibilità a un governo con Fi» spiega, dietro garanzia di anonimato, un esponente della cerchia stretta del leader: «A maggior ragione, Di Maio premier non può coesistere con quelli». Molto si capirà il giorno in cui Fi salirà al Colle. Se ci sarà o meno Berlusconi. Anna Maria Bernini, capogruppo al Senato, non lo ha escluso ma nel colloquio con i 5 Stelle ha detto che comunque non ci sarà interlocuzione senza l’ex Cavaliere.
Un atto di sfida che i grillini sono pronti a sterilizzare evocando in chiave anti-berlusconiana una legge sul conflitto di interessi. Con il Pd? «Vediamo...non l’hanno fatta in dieci anni - spiega Giulia Grillo - Ma le strade del signore sono infinite». Di legge sul conflitto di interessi e lotta all’evasione (entrambi un chiaro messaggio a Fi e all’alleato Salvini) parla anche Danilo Toninelli che per la prima volta ammorbidisce le resistenze alla flat tax. Una cortesia dopo la disponibilità mostrata dalla Lega sul reddito di cittadinanza, prima che in una carambola di tweet con il dem Michele Anzaldi Salvini facesse nuovamente impallinare la misura regina del M5S. Il doppio forno continua a bruciare ogni certezza. [/i]
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 31/03/2018 - 08:44
scommettitore siracusano ha scritto:In attesa di ulteriori sviluppi, stamattina mi limito a riportare la dichiarazione di Renzi:
https://rep.repubblica.it/pwa/generale/ ... P3-S3.3-T1
Renzi chiude ai Cinquestelle
28 MARZO 2018
L'ex premier: "Nei gruppi conto ancora". E spinge Delrio alla segreteria
ROMA. Il "senatore semplice di Scandicci" straccia ogni bozza di dialogo con i 5 Stelle a un passo dall'ascensore del Senato. "Ragazzi, un governo tra Pd e loro mi sembra... difficile, ecco. Guardate ai numeri: ci vorrebbe praticamente tutto il Partito democratico. Il 93% dei gruppi. E diciamo che almeno il 7% sta con me, questo almeno potete concedermelo?". Matteo Renzi non si muove di un millimetro. Con lui in campo, nessun governo con i cinquestelle &...
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Se fossi Renzi, personalmente, farei lo stesso. Non avrei alcun vantaggio elettorale futuro appoggiando un governo M5S, visto che, dal 4 Marzo, i sondaggi danno il PD stabile o addirittura al 19%.
Aspetterei che si formi un governo M5S-Centrodestra, che farebbe perdere molti voti ai grillini, e punterei a un futuro partito alla MACRON, assorbendo i centristi e parte di Forza Italia (visto che Berlusconi non ha un vero erede moderato). Certo, una parte del PD si spaccherebbe ulteriormente, ma in un futuro governo potrebbe essere sempre "un alleato in una coalizione elettorale".
Altra cosa se fosse Mattarella stesso a chiamare tutti a fare un governo del presidente, retto da una personalità terza.
**************
Anche questa volta, la mia analisi sulle intenzioni di Renzi, sembra che si stia rivelando giusta
I piani di Renzi: opposizione e patto con Macron
30 MARZO 2018
In vista delle consultazioni l’ex premier deciso a stoppare accordi e trattative di governo. L’obiettivo di arrivare alle europee con un nuovo asse politico
ROMA. Il "senatore semplice di Scandicci" ha in mente una svolta. Vuole andare oltre il Pd, confida in queste ore Matteo Renzi. Ridisegnarne la collocazione europea, riscriverne i contenuti. Succhiare linfa vitale al progetto continentale di Emmanuel Macron, muovendo passi decisi verso "En Marche". L'ambizione, assicura, è quella di spingere l'intero Pse a sposare quel progetto con le Europee del 2019. Con una certezza: il Partito democratico, comunque...
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 05/04/2018 - 09:05
Segnalo questa notizia, che potrebbe pesare su eventuali alleanze o meno:
Pd, assemblea nazionale il 21 aprile. E Martina si candida segretario
http://www.repubblica.it/politica/2018/ ... P1-S2.4-T1
Ritengo che Mattarella vorrà aspettare tale esito, prima di sciogliere eventualmente le camere come da ipotesi di voto a Giugno:
L’ipotesi di rivotare già a giugno: l’arma estrema dei due “vincitori”
04 APRILE 2018
L’eventualità non è più pura teoria, se ne parla in tutti i Palazzi. E il pressing di M5S e Lega sui tempi stretti è un indizio
https://rep.repubblica.it/pwa/generale/ ... P1-S1.8-T1
Ed ecco le quote di oggi:
Matched:………………..Back/Lay
Matteo Salvini…....…4,2/4.6
Luigi Di Maio…......….2.14/2.84
Giancarlo Giorgetti. 7,8/14,5
Paolo Gentiloni….....15.5/55
Carlo Cottarelli......... 16,5
Antonio Tajani....……46/1000
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 06/04/2018 - 08:04
Premier terzo, con la Lega. La via d’uscita di Casaleggio
Dietro l’addio di Giannuli la presa d’atto dell’intesa. Il leghista Giorgetti, che tiene i contatti: opzione possibile, a patto sia un politico
http://www.lastampa.it/2018/04/06/itali ... agina.html
Il Movimento è una macchina in leasing, la guida Luigi Di Maio, ma le chiavi sono nelle mani di un’altra persona, colui che detiene la presidenza della piattaforma online su cui gira tutta la vita di questa forza politica: i dati, gli iscritti, le votazioni online, i link ai social network, le candidature. Ecco, qual è la strategia dell’uomo che ha queste chiavi, Davide Casaleggio, in questa difficile crisi per formare una maggioranza?
Casaleggio jr ripete in questi giorni: «Il Movimento ormai è una forza di governo, e deve governare». È finito il tempo dell’opposizione. In questo c’è una differenza anche caratteriale con Beppe Grillo, che non s’è mai tanto posto il problema di andare al governo, mentre invece Davide marcia in sintonia con Di Maio. Tuttavia, mentre Di Maio gioca il tutto per tutta in una partita ormai solitaria, Davide ha un’altra strada davanti più che buona. Per capirlo dobbiamo seguire tre passaggi.
Il primo è una discussione, avvenuta molto di recente, tra Grillo, Casaleggio jr e Di Maio. Tema: il limite del doppio mandato, la regola fondativa del Movimento, voluta da Casaleggio sr e da Grillo, non amatissima dai leader parlamentari, più volte messa nel mirino (si arrivò anche a proporre di interpretare il vincolo del doppio mandato nel senso di dieci anni pieni nelle istituzioni). Bene, il confronto ha avuto questo esito: la regola del doppio mandato resiste. È stato Grillo in persona a decidere che «questa cosa non si tocca, non possiamo cambiare anche questo». A Casaleggio la cosa torna utile, gli consente di tenere a bada un’eccessiva presa di potere di Di Maio. E qui veniamo al secondo punto.
L’irrigidimento di Di Maio in questi ultimi giorni - lui come unico premier possibile - è stato in parte conseguenza diretta della conferma del limite del doppio mandato: Di Maio sa di doversi giocare tutte le sue carte adesso. Anche se ieri, all’uscita dal colloquio con Sergio Mattarella, è parso più flessibile; magari solo per opportunità.
Qui arriviamo al terzo tassello del puzzle: come si muove Casaleggio jr in tutto questo? Attende, senza slanci, molto concreto. Sostiene Di Maio; ma se la situazione si dovesse piantare sul suo nome, la sua consonanza con la Lega ha fatto enormi passi avanti, e lui potrebbe accettare «un premier terzo», indicato da M5S-Lega, ne sono convinti anche dentro il M5S, al di là delle smentite di facciata. Ciò che è solido è l’intesa sua con la Lega. Già c’era un’affinità, storica, tra il Carroccio e Casaleggio sr: Roberto diceva ai suoi dipendenti: «Sapete perché la Lega ebbe il successo che ebbe? Perché era nei bar, all’inizio c'erano quattro gatti a sentire Bossi. Ve lo dico perché uno di questi quattro gatti ero io». Ora la sintonia è evidente anche nei temi.
Casaleggio jr sa che i sondaggi parlano chiaro: metà dell’elettorato grillino (il 46%, fonte Demopolis) vuole un accordo con la Lega, solo il 18% col Pd, e appena il 25% vuole tornare alle urne. E fa in giro discorsi sovranisti in economia: in un forum recente a porte chiuse ha proposto in Italia, sul modello francese, la creazione di una Banca Pubblica di Investimento che faccia ordine tra tutte le finanziarie statali locali: «Il nostro Paese possiede già tutte le soluzioni al problema del finanziamento dell’innovazione. Ma il coinvolgimento di attori esteri come advisor, il finanziamento statale di soggetti esteri e gli investimenti all’estero e non in Italia da parte dei fondi istituzionali italiani sono sicuramente parte di questo problema». Musica per Salvini. In più, gira il mondo presentando la piattaforma Rousseau nell’ipotesi che possa diventare commercialmente appetibile anche in altri Paesi, per altri partiti.
Rivelatrice, in questo scenario, l’uscita dello storico Aldo Giannuli, che ha abbandonato il M5S. Giannuli - che era amico di Roberto, ed era davvero interno ai meccanismi dell’azienda, e anche di recente pranzava con Davide - ha osservato: «Il M5s delle origini si diceva “né di destra né di sinistra”, ma in realtà ospitava nel suo seno sia destra che sinistra, oggi quella ambiguità è sciolta e, pur continuando a dirsi né di destra né di sinistra, il Movimento sta imboccando una strada decisamente di destra». Dove, al di là della ricostruzione opinabile, ciò che conta è la sicurezza con cui Giannuli, che sa le cose, ci sta dicendo, assertivamente, che il M5S è andato a destra. Destra significa, qui: intesa di fondo con la Lega.
L’uomo che più sta tessendo i contatti tra mondo leghista e il mondo milanese del M5S è Giancarlo Giorgetti. L’opzione di una premiership affidata a un terzo rispetto ai due leader di partito, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, in un governo della Lega con i 5 Stelle, «può avere un senso», ha spiegato; a condizione che «la persona che guida il governo abbia una legittimazione da parte degli italiani: non può essere un tecnico o un professore». Non pare possa essere Franco Bernabè, pure stimatissimo, in Casaleggio.
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 08/04/2018 - 10:11
Riporto però questo interessante articolo de "Il Sole 24 ore"
Il governo «difficile» e le alleanze europee
–di Sergio Fabbrini 08 aprile 2018
Se l’Italia avrà un governo politico (politico, si badi bene, non istituzionale), quest’ultimo si baserà sulla necessaria convergenza tra i 5 Stelle e la Lega (con eventuali alleati). Qualsiasi altra combinazione evocata è chiacchiera (oppure un modo per guadagnare tempo). Perché? Perché vi sono fattori interni ed esterni che spingono verso quella convergenza governativa. Anche se, contemporaneamente, gli stessi fattori la renderanno quanto mai problematica. Vediamo meglio. Per quanto riguarda i fattori interni, è evidente che i leader che hanno vinto le elezioni non potranno disattendere gli impegni presi con i loro elettori. Anche se è stupefacente che il capo politico dei 5 Stelle possa dichiararsi disponibile a modulare il programma del proprio partito a seconda di chi è disposto a mandarlo al governo, tuttavia le aspettative degli elettori non sono altrettanto fungibili. Chi ha votato per i due partiti più votati si aspetta un governo di discontinuità verso il passato. Un governo che promuova il reddito di cittadinanza (comunque venga chiamato), che attivi l’espulsione di centinaia di migliaia di immigrati illegali, che introduca una significativa de-fiscalizzazione, che riveda la legge Fornero sull’età pensionabile. Si tratta di politiche diverse tra di loro, ma tutte collocate al di fuori del “sentiero stretto” perseguito dai precedenti governi. Così, per rispondere alle aspettative dei loro elettori, i 5 Stelle e la Lega sono spinti a coordinarsi per portare l’Italia fuori da quel sentiero.
Tuttavia, senza una revisione radicale del sistema delle politiche pubbliche dell’Unione europea (Ue), non sarà possibile, per quei partiti, rispondere alle aspettative dei loro elettori. Poiché 5 Stelle e Lega non vogliono uscire dalla Ue (o almeno così dicono), dovranno allora presentarsi in Europa con un governo coerente, messo nella condizione di costruire le necessarie alleanze per cambiare quel sistema di politiche pubbliche. Nella Ue vi sono due arene in cui le alleanze debbono essere costruite. La prima arena è intergovernativa, rappresentata dal Consiglio europeo e dal Consiglio dei ministri.
Queste istituzioni funzionano sulla base di coalizioni contingenti tra governi, quando in gioco vi sono obiettivi specifici di politica pubblica. Tuttavia, quando in gioco vi sono decisioni che hanno effetti distributivi tra gli Stati, allora quelle istituzioni funzionano sulla base di alleanze quasi-permanenti tra governi appartenenti ad aree politico-territoriali distinte. Vi è l’alleanza dei Paesi dell’Est e del Centro (il gruppo di Visegrad allargato), vi è l’alleanza dei Paesi euro-realisti ed euro-scettici del Nord (oggi guidata dall’Olanda), vi è infine l’alleanza franco-tedesca con i suoi alleati dell’Ovest. La convergenza governativa tra 5 Stelle e Lega dovrà dunque trovare una collocazione in tale sistema di alleanze, se vuole ottenere (ad esempio) la riforma della Convenzione di Dublino (che regola il diritto d’asilo) oppure la sospensione del Fiscal Compact (con i suoi rigidi vincoli fiscali). Ed è qui che insorgeranno i problemi. Infatti, i Paesi di Visegrad sono contrari a ogni riforma della politica migratoria, i Paesi del Nord sono contrari a ogni scelta che possa ridurre il rigorismo fiscale, la Francia e la Germania non hanno alcun interesse (per ragioni interne) a offrire una sponda a un governo sovranista italiano. E allora, con l’aiuto di chi potranno modificare i vincoli europei?
Vi è una seconda arena in cui si possono influenzare quei vincoli, il Parlamento europeo. Il momento è propizio. Tra il 23 e il 26 maggio dell’anno prossimo si terranno le elezioni per il suo rinnovo quinquennale. Sarà il nuovo Parlamento che dovrà trattare con i governi nazionali il quadro finanziario pluriennale (per il periodo post-2020). Peraltro, insoddisfatto verso i governi nazionali, il Parlamento europeo ha già proposto di confermare (anche per le elezioni del 2019) il meccanismo dello spitzenkandidaten (in virtù del quale il capolista di una lista europea è candidato al ruolo di presidente della Commissione nel caso quella lista ottenga la maggioranza relativa dei seggi parlamentari). La logica elettorale spingerà dunque verso la convergenza tra i 5 Stelle e la Lega. È vero che (ora) la Lega fa parte del raggruppamento di estrema destra di Europe of Nations and Freedom, guidato dalla francese Marine Le Pen e i 5 Stelle fanno parte di Europe of Freedom and Direct Democracy, guidato dall’indipendentista inglese Nigel Farage. È però probabile che il meccanismo dello spitzenkandidaten spingerà verso un’aggregazione delle due forze nazionaliste, oltre che a una loro apertura ad altri gruppi nazionalisti. Tuttavia, tale aggregazione continuerà ad essere politicamente debole nel futuro Parlamento europeo (i due raggruppamenti in questione, insieme, contano oggi 84 su 751 seggi). Anche se i partiti e movimenti sovranisti avranno successo nelle elezioni del maggio 2019, è improbabile che potranno acquisire una forza tale da determinare le future scelte del Parlamento europeo (se non altro per l’assenza dei nazionalisti inglesi).
Quelle scelte verranno determinate invece dai principali raggruppamenti politici. Tant’è che il clima elettorale si è già riscaldato. La Francia di Macron, ad esempio, si è dichiarata insoddisfatta verso il meccanismo dello spitzenkandidaten, in quanto esso garantisce al principale partito di centro-destra il controllo della presidenza della Commissione. I Cristiano-democratici dello European People’s Party, infatti, sono diventati il partito di maggioranza quasi permanente, dopo gli allargamenti della Ue verso Est. Basti pensare che, oggi, controllano la presidenza della Commissione, del Consiglio europeo e del Parlamento europeo. Naturalmente, si tratta di una maggioranza contendibile (oggi hanno 217 su 751 seggi) tant’è che si è già avviata nel centro-sinistra una discussione per creare una coalizione competitiva (probabilmente costituita dai Socialisti e democratici della Progressive Alliance, che ha oggi 190 seggi, dalle componenti più europeiste della Alliance of Liberals and Democrats, 70 seggi complessivi, e dal movimento macroniano). Comunque sia, in questo come nel nel futuro Parlamento europeo, sarà difficile, per un governo sovranista italiano, trovare alleati per modificare le politiche europee.
Insomma, se è vero che vi sono fattori interni ed esterni che spingono verso una convergenza governativa tra i due partiti (5 Stelle e Lega) più votati nelle elezioni del 4 marzo scorso, è anche vero che quella convergenza, se si realizzerà, dovrà risolvere un puzzle non facilmente risolvibile. Ovvero, come soddisfare le aspettative create nei propri elettori con limitate risorse interne e ancora più limitate alleanze esterne?
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 09/04/2018 - 17:00
Riporto gli ultimi scambi di battute:
Di Maio-Salvini, dopo il dialogo volano gli insulti. "Zero chance di accordo". "M'importa meno di zero"
Il Financial Times: "Italia non può permettersi stallo". Delrio: "Bisogna cooperare"
http://www.repubblica.it/politica/2018/ ... P1-S1.8-T1
ROMA - Botta e risposta fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio sulle ipotesi di intesa per il nuovo governo. "Ci sono il 51% di possibilità di fare governo tra centrodestra e Cinquestelle", ribadisce il segretario del Carroccio in visita in Friuli Venezia Giulia, dove il candidato leghista alle prossime regionali Massimiliano Fedriga è dato per favorito. Pronta la risposta del leader del M5s, che scrive su Twitter: "C'è lo 0% di possibilità che il Movimento 5 stelle vada al governo con berlusconi e con l'ammucchiata di centrodestra".
"Di Maio, in questo momento, mi interessa meno di zero", ha poi replicato a margine di un comizio a Spilimbergo (Friuli Venezia Giulia) Matteo Salvini. "Non ci sono altri vertici del centrodestra, non è che possiamo far vertici tutti i giorni. Esiste il telefono fortunatamente, nel 2018", aveva detto in precedenza il leader del carroccio. "Chiamerò Di Maio e gli chiederò un incontro volentieri, sulla disponibilità a venirci incontro per fare - aveva aggiunto - Gli italiani chiedono di fare. Al di là dei veti o delle simpatie, facciamo qualcosa o no? Se la risposta è no, i numeri sono numeri, si torna al voto".
E sull'ipotesi di una terza figura che provi a formare un governo, Salvini era stato netto: "Premier terzo? Quarto, quinto, dodicesimo, ma chi lo vota? I voti in parlamento da dove arrivano? Dal centrodestra e io immagino dai Cinque stelle, se vogliono ragionare seriamente", aveva aggiunto il leader della Lega. Che ha indirizzato un messaggio a Di Maio: "Se vuole ragionare o se preferisce il Pd, perché io ho visto che dice dialogo col Pd e anche con Renzi... auguri".
Per il leader della Lega, dunque, il diaologo con i cinquestelle è praticabile. A patto però che "la smettano di porre veti e di mettersi al centro del mondo visto che sono arrivati secondi e non primi".
Nello stallo politico della giornata spicca però il monito del Financial Times, che in un editoriale getta uno sguardo sul nostro Paese a più di un mese dalle elezioni. Sebbene i mercati, afferma il quotidiano della City, siano "rassicurati dalla presenza di Mattarella", l'Italia "può difficilmente permettersi una paralisi prolungata". Per il Ft "un governo di coalizione Cinque Stelle-Lega, liquidata prima delle elezioni come un'ipotesi troppo improbabile per meritare di essere contemplata, non è più, pertanto, inconcepibile" anche se "sarebbe un'alleanza difficile".
Parole, quelle del giornale britannico, che non si discostano dalle affermazioni del ministro dei Trasporti uscente Graziano Delrio: "L'Italia è forte e solida ma non può permettersi di stare a lungo senza governo". E aggiunge: "Il Paese ha bisogno di cominciare a parlare in un'ottica cooperativa. La politica è un'opera collettiva. Uscire dai problemi insieme è la politica. Invece provare a vincerli da soli e assolutamente velleitario".
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 10/04/2018 - 12:41
Quirinale, le consultazioni giovedì e venerdì. Stavolta si parte dalle forze politiche
La data del nuovo round di colloqui è stata fissata dal Colle. E circola l'ipotesi di un terzo uomo rispetto ai duellanti Di Maio e Salvini. Flick: "Sarei un buon premier come tanti altri"
http://www.repubblica.it/politica/2018/ ... P1-S1.8-T1
ROMA. La data delle nuove consultazioni è decisa. Il presidente della Repubblica ha fissato la nuova tornata di colloqui per giovedì e venerdì. Il primo giorno sarà dedicato alle forze politiche, solo nel secondo Sergio Mattarella vedrà le cariche istituzionali: i presidenti Fico e Casellati e il capo dello Stato emerito, Giorgio Napolitano. Quindi ordine invertito, rispetto al primo giro terminato giovedì scorso con una fumata nera. Il penultimo incontro sarà con il centrodestra unito, quindi l'ultimo partito a salire al Quirinale sarà il Movimento 5 Stelle. Anche su questo c'erano stati dubbi nelle ultime ore. In genere l'ultimo partito consultato è quello più consistente dal punto di vista elettorale e la decisione del centrodestra di salire al Colle unito aveva fatto sorgere il dubbio: sarà preso in considerazione il risultato del singolo partito o quello della coalizione?
Il presidente comunque aveva deciso di lasciar trascorrere alcuni giorni di decantazione per consentire alle forze politiche di uscire dallo stallo. La situazione sembra ancora di impasse, con le scintille di ieri tra Salvini e Di Maio e la decisione del Pd di restare sulla linea dell'opposizione. Oggi peraltro un chiarimento potrebbe arrivare dalla riunione dei parlamentari del partito democratico.
Nelle ultime ore si è parlato con insistenza anche di un possibile "terzo nome" contro lo stallo. Tra le ipotesi circolate anche quella di Giovanni Maria Flick - ex presidente della Corte costituzionale nonché ministro nel governo Prodi - che oggi ha detto: "Sarei un buon premier come tanti altri. Di certo so che il termine contratto in politica non mi piace". In realtà il professore viene considerato vicino al Movimento e la sua candidatura potrebbe essere indicata soprattutto per un'ipotetico asse Pd-M5S.
Tutti sono consapevoli che anche il secondo giro di consultazioni potrebbe non bastare. Ad agitare lo scenario politico, d'altronde, anche due importanti scadenze elettorali: le regionali in Molise (22 aprile) e in Friuli Venezia-Giulia (il 29) con i due vincitori del 4 marzo - Di Maio e Salvini - in pole position per la vittoria finale. Difficile per esempio che possano consumarsi strappi nel centrodestra prima di quelle scadenze, con il leghista Fedriga in testa dei sondaggi in Friuli. La priorità di Mattarella comunque è chiara: vorrebbe un governo insediato nel pieno dei suoi poteri prima del Consiglio europeo di fine giugno: il 28 giugno, infatti, i capi di Stato e di governo dovranno discutere di riforma dell'eurozona e del contestato Trattato di Dublino sui migranti, oltre che di budget comunitario. E il Paese - ragionano al Quirinale - non può arrivare a quell'appuntamento senza un governo nel pieno dei suoi poteri.
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 12/04/2018 - 11:02
A questo punto, il candidato premier con maggiori probabilità sembrerebbe essere proprio Giancarlo Giorgetti della LEGA, con molti ministri del M5S; e si spiegherebbe così il fatto che sia stato sostituito all'ultimo momento dal collega MOLTENI.
E' sempre una scommessa, ovviamente, ma personalmente ci punterei.
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 14/04/2018 - 07:50
di «traghettamento» se la trattativa tra Salvini e Di Maio fallisce
Il presidente della Repubblica è rimasto spiazzato e deluso dal comportamento delle forze politiche. Ora pensa ad una soluzione intermedia per sbloccare la situazione
«L’irresponsabilità al potere». Ecco come un intimo di Mattarella sintetizza la situazione creatasi dopo il secondo giro di consultazioni al Quirinale. Giro ancora una volta a vuoto. Che ha spiazzato e deluso anche lui, l’altra sera, quando l’accordo anticipatogli poche ore prima dagli emissari dei 5 Stelle è evaporato davanti al centrodestra, presentatosi «graniticamente» unito con due parole d’ordine: Berlusconi non fa passi indietro né laterali, a noi — cioè a Salvini — la guida di Palazzo Chigi. Una mossa che ha azzerato tutto. A partire dagli impegni che il leader leghista aveva già assicurato a Di Maio. Lo stallo, dunque, continua e la partita si interrompe, mentre il capo dello Stato lancia una denuncia (per far capire ai cittadini quanto accaduto) che è anche una sfida (ai partiti). «Non ci sono stati progressi», ma all’Italia serve «con urgenza» un governo che abbia «pienezza di poteri».
Come se ne esce? Intanto con una pausa supplementare, fino a mercoledì o giovedì, per vedere se ulteriori riflessioni faranno lievitare novità. Da quel momento, si aprirà per Mattarella una doppia prospettiva, su cui comunque non ha ancora preso decisioni: 1) può dare un mandato esplorativo al presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati, o a quello della Camera, Roberto Fico, perché indaghino per suo conto i definitivi orientamenti delle forze politiche; 2) può assegnare ai «vincitori» Salvini o Di Maio (tra loro in rivalità sulla premiership) un preincarico, strumento non compromettente nel senso che può essere ritirato senza traumi. Sarebbe l’ultima carta, tenuto conto che per il presidente l’intesa centrodestra-5 Stelle rimane l’opzione potenzialmente più solida. Certo, è subordinata a diverse variabili e va considerato che — a quanto pare — Berlusconi spera invece in un suo fallimento e non si adeguerà mai a offrire appoggi esterni se non vi sarà, da parte del Movimento grillino, un riconoscimento esplicito a lui e a Forza Italia. In caso contrario, se l’alleato Salvini fosse disposto a mollarlo pur di associarsi a Di Maio, l’ex Cavaliere sarebbe pronto addirittura a scatenargli contro una campagna all’insegna del «tradimento».
Sono boatos di Montecitorio. In ogni caso riflettono le dinamiche e gli umori interni al centrodestra e hanno quindi una loro plausibilità. Come non sembra del tutto inverosimile l’altro scenario di cui il mondo politico sta strologando, secondo il quale, se si spezzasse il dialogo tra Salvini e Di Maio, il Pd potrebbe rientrare in gioco. In che modo? Con la candidatura a premier preincaricato (o addirittura con un mandato esplorativo, il che suona francamente irreale) di Giancarlo Giorgetti, per formare un esecutivo con centrodestra e Partito democratico. Chi sostiene questa ipotesi si dice sicuro che, oltre all’avallo di Berlusconi e Matteo Renzi, dinanzi a quel nome, che garantirebbe la trazione leghista del governo, Salvini incontrerebbe perfino con i suoi difficoltà a negare il proprio appoggio. Machiavellismi e voci dalle quali il Colle si tiene lontano. Come non apprezza certe minacce sparate ieri. Per esempio l’ultima di Salvini: «Se le cose vanno avanti così, si torna al voto». Un petardo destinato a fare flop, dato che Mattarella l’ha spiegato chiaro ai suoi interlocutori, quando gli chiedevano ulteriori proroghe: «No, serve un governo presto. E non si torna alle elezioni né a giugno né a ottobre, perché sull’Italia premono troppe urgenze interne e internazionali e perché dobbiamo perfezionare per tempo gli adempimenti in campo economico ai quali ci vincola l’eurozona».
Niente urne, dunque. Mentre tra le chance estreme in mano al capo dello Stato c’è quella di un governo «di traghettamento». Scatterebbe se i partiti, presentandosi esausti e impotenti al Quirinale, dichiarassero forfait, affidandosi a lui. A quel punto prenderebbe l’iniziativa mandando in Parlamento una figura autorevole, in grado appunto di traghettare il Paese un po’ più in là. Oltre la palude.
Secondo questa lettura, forse, se Di Battista non avesse definito qualche ora prima "Berlusconi, il male assoluto", l'accordo sarebbe rimasto. L'attacco ha avuto la reazione del "Caimano"
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 18/04/2018 - 10:27
Ora molti pressanno il PD, ma, secondo me, quello che rimane di questo partito non può sconfessare il "suo programma politico", anche se, colpevole RENZI, non è stato in grado di esporlo in modo efficace, non usando anche LE FALSE ED IRREALIZZABILI PROMESSE degli altri partiti (Abolizione della Legge Fornero, Reddito di Cittadinanza al costo di circa 30 miliardi annui, FLAX TAX, etc.).
a tal fine, riporto qui, un post della mai pagina facebook, che riporto molto esplicativo:
UN ESTRATTO DI UN ARTICOLO DI GIUSEPPE RAO.
L’esito delle elezioni del 4 Marzo 2018 appare in sintonia – sia pure con caratteristiche nazionali – con i processi in atto nella comunità internazionale, attraversata da fenomeni indicati, con approssimazione, “populismo” e “sovranismo”.
Scrive Stefano Feltri, nel suo pregevole “Populismo Sovrano”, pubblicato alla vigilia della competizione elettorale: “I populismi alimentano un’illusione, che può essere pericolosa: il recupero della sovranità. Ma si tratta di una promessa che non si può mantenere, perché le leve del potere sono, ormai, inesorabilmente altrove”.
I cittadini si sentono vittime della globalizzazione selvaggia che li ha espropriati dei poteri decisionali e li ha resi, a partire dalle classi medie, più poveri e insicuri (anche per via delle migrazioni di massa); del liberismo che ha aumentato le diseguaglianze; della finanza predatrice e priva di principi etici che ha sostituito il capitalismo industriale; dell’avvento delle nuove tecnologie che riduce l’occupazione e riscrive le regole del mercato del lavoro; dei social network americani che impongono modelli culturali, controllano, elaborano e rivendono i dati personali e i big data, e sottraggono risorse economiche alle imprese dei singoli Paesi senza corrispondere i tributi.
Le istanze poste dai due partiti risultati vincitori delle elezioni rappresentano un tentativo, al di là del giudizio di merito che ciascuno può dare, di offrire risposte alla crisi della sovranità nazionale; in passato questa strada sarebbe stata percorsa dai partiti di ispirazione comunista, socialista ovvero popolare-cattolica (Aldo Moro sosteneva che la Dc non avrebbe mai rinunciato alla competizione con il Pci per la rappresentanza delle classi popolari).
Stefano Feltri prosegue: “La sequenza che osserviamo in questi anni è sempre uguale: chi è al governo perde consenso perché non riesce a contrastare gli effetti della crisi del cambiamento tecnologico, promette soluzioni rapide e il ritorno allo status quo ma, incapace di ottenere grandi risultati, alimenta la frustrazione degli elettori. I partiti tradizionali competono per ottenere la possibilità di applicare politiche prive di efficacia o del consenso necessario a renderle davvero utili, mentre gli elettori, frustrati, si spostano verso i movimenti populisti che non hanno un passato di fallimenti alle spalle e promettono una rottura radicale. O almeno di non fare peggio dell’establishment che vogliono sostituire.”
Vi è poi il tema del tradimento delle élite, di cui il Partito Democratico – erede delle culture sopra richiamate, ora divenuto semplicemente “di sinistra” – sostenuto dall’establishment, è oramai elemento organico (persino Liberi e Uguali, al di là del poco tempo a disposizione per organizzarsi, è stato percepito come parte del “sistema”).
Su un tema così complesso, Feltri interpreta le analisi che lo storico e sociologo statunitense Christopher Lasch aveva elaborato già negli anni ‘90: “L’affermarsi dei movimenti populisti si può quindi spiegare anche e forse soprattutto come una reazione al ‘tradimento delle élite’. Per loro natura anti-establishment, uno dei pochi tratti comuni a tutte le definizioni di populismo, questi movimenti mettono in discussione l’organizzazione meritocratica della società, [qui il riferimento è ai modelli imposti dalle élite medesime] rifiutano di ammettere che dietro i privilegi dei pochi ci sia l’inadeguatezza dei molti. I populisti non si lasciano impressionare dalle pretese di superiorità morale delle élite, anzi, teorizzano la superiorità dell’uomo comune che, proprio perché escluso dal vertice, e più capace di prendere decisioni nell’interesse di tutti, armato del buon senso da padre di famiglia.”
L’elezione del Presidente Trump, il consenso ottenuto dai cosiddetti partiti populisti in numerosi Paesi, rappresentano il segnale tangibile della perdita di fiducia dei cittadini verso il “sistema” e i gruppi dirigenti.
Forza Italia e Pd erano privi della capacità, vista la loro collocazione nella società, di interpretare i cambiamenti. Matteo Renzi ha martellato gli elettori sulla ripresa economica in atto e sugli effetti positivi del Jobs Act, ma i cittadini sanno benissimo che l’Italia – pur essendo la seconda potenza manifatturiera del continente – è all’ultimo posto tra i Paesi Eu in termini di crescita, della quale in ogni caso non hanno avvertito alcun beneficio. Le nuove generazioni, che convivono con le reti digitali – la loro influenza è stata determinante nella campagna elettorale (che tristezza vedere vuoti i tabelloni approntati dalle municipalità, un tempo addirittura oggetto di attacchinaggio selvaggio e persino di scontri fisici tra i militanti dei diversi partiti) – hanno abbandonato il Pd, disillusi dalle promesse e da un partito che, di fatto, ha indicato nella precarietà l’antidoto ai problemi dell’occupazione.
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 21/04/2018 - 16:23
In questo secondo caso, è interessante un articolo della STAMPA:
http://www.lastampa.it/2018/04/21/itali ... agina.html
Allo studio la squadra M5S-Carroccio con l’incognita presidente del Consiglio
Duello per Palazzo Chigi. Alcuni economisti grillini si sfilano: mai con i leghisti
Al capogruppo alla Camera della Lega, Giancarlo Giorgetti, sarebbe riservato un ministero pesante come quello dell’Economia
Nelle telefonate e nei messaggi di ieri tra i leader di Lega e M5S due sono i concetti fondamentali: no a un governo istituzionale e no ad accordi col Pd. Sul secondo punto è Salvini a insistere maggiormente, ma Di Maio è consapevole che se si aprisse davvero il «forno» coi dem con un incarico esplorativo a Roberto Fico le sue chance di arrivare a palazzo Chigi andrebbero in picchiata. E così si torna ai giorni subito dopo il voto del 4 marzo, all’asse Salvini-Di Maio per un governo che, nelle intenzioni dei leghisti, dovrebbe tenere dentro anche Fratelli d’Italia.
Guidato da chi? La partita è apertissima. Senza Forza Italia, i numeri delle urne indicherebbero Di Maio. Ma in casa Lega si ragiona sul fatto che «finora abbiamo fatto un lavoro enorme per i cinque stelle. Se rompiamo con Berlusconi per fare un governo con loro, non possono pretendere palazzo Chigi». La corsa per la presidenza del Consiglio è sostanzialmente a tre: Di Maio, Salvini e Giancarlo Giorgetti, il leghista bocconiano e filo atlantico, volto istituzionale e poco ruspante del Carroccio, assai più gradito al Quirinale rispetto al leader leghista. Da questa casella discendono tutte le altre. In queste ore negli staff dei due leader si sta iniziando a ragionare sull’ossatura di una possibile squadra. Se la premiership andasse a Di Maio, Salvini sarebbe vicepremier e ministro dell’Interno e Giorgetti andrebbe all’Economia.
Tra i leghisti si fanno i nomi dell’avvocato Giulia Bongiorno per la Giustizia, di Armando Siri (ispiratore della legge sulla flat tax) per lo Sviluppo Economico o i Trasporti, di Claudio Borghi per l’Agricoltura e dell’economista Alberto Bagnai per l’Istruzione. Le caselle non sono state assegnate e di qui alla possibile formazione del governo giallo-verde potrebbero variare parecchio. Ma la squadra leghista non prescinde da questi nomi.
Anche in casa M5S ci sono nomi su cui non si discute. Uno di questi è Alfonso Bonafede, deputato fedelissimo del leader. Avvocato, anche per lui si parla della Giustizia. Un altro nome forte è Vincenzo Spadafora, neodeputato, consigliere politico di Di Maio e regista della fase due del M5S, quella che ha portato «Luigino» ad accreditarsi come uomo di governo, da Cernobbio alle cancellerie internazionali. Un altro nome in ascesa è Stefano Buffagni, commercialista a Milano, ex consigliere regionale della Lombardia.
Della squadra presentata da Di Maio alla vigilia del voto, decisamente connotata a sinistra, si salverebbe il professore e neo deputato Lorenzo Fioramonti (Sviluppo economico), che ha lasciato la cattedra in Sud Africa per candidarsi col M5S. Non ha mai escluso l’asse con Salvini: «Anche nella Lega hanno capito che il reddito di cittadinanza non è una misura assistenziale, ma aiuterebbe a riconvertire il sistema produttivo», ha spiegato. La delicatissima casella degli Esteri dovrebbe toccare al M5S o a un tecnico. L’atteggiamento filo Putin di Salvini sul caso Siria sconsiglia infatti al Quirinale di nominare un leghista. Il nome indicato da Di Maio, la professoressa Emanuela Del Re, è sparito dai radar. La scelta potrebbe cadere sul segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, scelta da Gentiloni e stimata dai grillini.
Altre figure della squadra M5S, come l’economista Andrea Roventini, appaiono poco inclini a partecipare a un governo con la Lega. Stessa discorso dovrebbe valere per l’economista keynesiano Pasquale Tridico, nemico del Jobs Act e indicato per il ministero del Lavoro. Per la Sanità in casa Cinque stelle corrono due medici: l’attuale capogruppo alla Camera Giulia Grillo e l’oncologo Armando Bertolazzi.
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Re: Il piano del Colle in tre mosse: Di Maio non sarà il premier
Messaggioda scommettitore siracusano » 23/04/2018 - 15:34
Oggi su Jamma c'è un articolo che riguarda i famosi DIECI PUNTI PROGRAMMATICI del M5S:
https://www.jamma.tv/politica/120486-120486
M5S. Gioco d’azzardo, illustre assente nel possibile accordo di governo
23 aprile 2018 - 14:53
l
(Jamma) Luigi Di Maio pubblica la proposta di accordo in 10 punti su cui il Movimento Cinque Stelle punta a costruire un Governo:il gioco illustro assente. Da argomento chiave della attività di governo dei Cinque Stelle a illustre assente. Il gioco pubblico, o meglio il gioco d’azzardo come preferiscono definirlo, è praticamente scomparso dal documento di 28 pagine che traduce in punti l’accordo.
Non va dimenticato infatti che proprio dalle entrate (in aumento) dal gioco pubblico dovrebbero essere garantiti parte dei fondi necessari per coprire i costi dell’introduzione del reddito di cittadinanza, punto forte del programma elettorale dei Cinque Stelle. E invece del gioco, in questo documento del Prof. Giacinto della Canarea, non si parla più.
” Come sapete, il 12 aprile scorso ho incaricato il professor Giacinto Della Cananea di comporre un comitato scientifico per studiare le convergenze programmatiche tra il Movimento 5 Stelle e i due partiti con i quali è in corso un dialogo per il governo: la Lega e il Partito Democratico. Il professore ha lavorato senza sosta per dieci giorni e ha redatto questo primo schema di accordo, che andrà approfondito insieme alla forza politica che accetterà di sedersi al tavolo con noi.
Come emerge anche dal documento, il Movimento 5 Stelle non ha nessuna intenzione di perdere la sua identità politica in un governo di coalizione classico, anche perché la distanza dalla Lega e dal Partito Democratico su molti temi decisivi e sui mezzi per realizzarli rimane netta. Per garantire un governo forte e votato al cambiamento abbiamo quindi proposto un’intesa su 10 punti fondamentali per il Paese, da portare avanti unendo le forze, con disciplina, lealtà e onore” spiega Luigi di Maio annunciando la pubblicazione del contratto di governo.
*******
E dubito molto che, in un eventuale governo del presidente per arrivare a elezioni nei primi mesi del 2019, venga trattato il tema gioco. Non converrebbe a nessuno dei contendenti, anche perché hanno bisogno di entrate dal gioco, e non di diminuirle
Quindi, dovrebbe permanere lo STATUS QUO, e le leggi regionali in vigore o di prossima emanazione. Chi vuole aprire nuove agenzie, o cambiare book, è meglio farlo subito, prima che anche nelle regioni in cui non si è legiferato, come la Sicilia, tra un po' sarà troppo tardi.
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