Tutto quello che dovete sapere su Michael Jordan e i Bulls nel giorno dei sessanta anni del più grande di sempre

Tutto quello che dovete sapere sui Chicago Bulls di Michael Jordan e degli anni Novanta nel giorno dei sessanta anni del più grande di sempre

Il 19 aprile 2020 doveva essere il giorno dell’inizio dei playoff Nba. L’emergenza Coronavirus fece saltare tutti i piani e così, senza vero basket giocato, negli Stati Uniti avevano deciso di anticipare l’uscita di uno dei documentari sportivi più attesi degli ultimi anni. The Last Dance, ovvero una serie in dieci puntate che racconta dal di dentro l’ultima stagione dei Chicago Bulls di Michael Jordan che vinse il sesto titolo nel 1997-98. Era l’ultimo ballo di una squadra leggendaria, alla seconda tripletta consecutiva dopo quella del 1991-93, che aveva vinto 72 partite in regular season nel 1995-96 e che aveva in roster Scottie Pippen, Dennis Rodman, Toni Kukoc, Ron Harper, Steve Kerr. Una squadra che è entrata nell’immaginario collettivo del decennio e della fine del millennio. Un’opportunità straordinaria per ripercorrere non solo la parte finale della carriera del più grande giocatore di tutti i tempi, celebrato in tutto il mondo per i suoi sessanta anni, ma per rivivere la Nba degli anni Novanta che era incredibilmente diversa da quella che conosciamo oggi, partendo dai punteggi più bassi fino a un regolamento che premiava i difensori molto più degli attaccanti e che era appena stata invasa, ma non ancora colonizzata, dai giocatori stranieri. E questo è un breviario per arrivare preparati al documentario con una sintesi di ciò che era successo prima del 1997-98 e che per molti, nel vedere un Michael Jordan brutale e anche molto diverso da come lo si immaginava, potrebbe essere il primo passo per conoscere la personalità frastagliata del più grande di ogni epoca. Per questo a The last dance potreste abbinare una lettura complementare come ‘Michael Jordan, la vita’ di Roland Lazenby che resta a oggi la migliore testimonianza su carta di MJ dall’infanzia alla maturità.

I Chicago Bulls degli anni Novanta

  • La dinastia iniziò nel 1991 con il primo dei tre titoli consecutivi contro i Los Angeles Lakers di Magic Johnson, ma prima i Bulls erano riusciti a battere gli odiati rivali dei Detroit Pistons contro i quali erano usciti per tre volte consecutive ai playoff e che con Chuck Daly in panchina avevano ordito le celebri Jordan Rules, concetti difensivi di estrema durezza da applicare quando il numero 23 aveva la palla in mano.
  • Nel 1992 iniziò l’altra grande rivalità della Eastern Conference contro i Knicks di Pat Ewing e John Starks, battuti in sette partite in semifinale prima di superare più agevolmente i Cavs e poi i Portland Trail Blazers alle Finals con l’indimenticabile gara 1 in cui MJ segnò 35 punti e sei triple nel primo tempo. Quell’estate, con Scottie Pippen e gli altri, fece parte del Dream Team di Barcellona.
  • Nel 1993 i Knicks non solo arrivarono in finale di Conference, ma si portarono 2-0 contro i Bulls nelle prime due gare giocate al Garden durante le quali Jordan fu accusato di passare il suo tempo ad Atlantic City invece che ad allenarsi. La reazione di MJ valse 54 punti in gara 4 e il terzo viaggio consecutivo alle Finals contro i Phoenix Suns, battuti in sei gare grazie alla tripla di John Paxson in gara 6 che evitò ai Bulls di giocare la bella in trasferta. In quell’anno arrivò a ottobre anche la decisione di MJ di abbandonare il basket a 30 anni e dedicarsi al baseball.
  • Il 1995-96 fu la prima stagione completa di MJ dopo il ritorno del 19 marzo 1995 e coincise con l’arrivo ai Bulls di Dennis Rodman e Ron Harper. Fu la stagione delle 72 vittorie in regular season, record poi superato dai Golden State Warriors nel 2016, e del quarto titolo vinto 4-2 nelle Finals contro i Seattle Sonics di Gary Payton e Shawn Kemp.
  • Nel 1996-97 i Bulls vinsero ancora 69 partite in regular season ma gelosie e visioni divergenti stavano disgregando una squadra che era unita intorno a Phil Jackson ma sempre più distante dal gm Jerry Krause, che in maniera più o meno velata ambiva a dimostrare di potere vincere un titolo Nba anche senza MJ. Il titolo arrivò nella prima finale contro gli Utah Jazz di Stockton e Malone, battuti 4-2 anche grazie alla celebre flu game di Jordan in gara 5 e con il contributo prezioso di Brian Williams di cui abbiamo parlato di recente.
  • All’inizio del 1997-98 con cinque titoli e cinque finali vinte, in molti sospettavano che quella potesse essere l’ultima stagione di una squadra leggendaria ma anche ormai provata fisicamente ed emotivamente da sette anni senza precedenti. Più dei giocatori, era Phil Jackson ad avere compreso che si andava verso la conclusione di un’epoca ed era in aperto disaccordo con Krause che aveva sostenuto come a vincere i titoli nella Nba fosse l’organizzazione delle franchigie e non giocatori e allenatori. Nel documentario troverete un Michael Jordan tornato ai Bulls per l’ultima stagione solo dietro alla garanzia che in panchina ci fosse Jackson, ma Jackson aveva firmato un contratto di un anno e sapeva che la stagione successiva i Bulls avrebbero cercato un altro coach. E dal 1995 Pippen si lamentava che avrebbe voluto essere scambiato, scontento di un contratto che non gli aveva mai garantito più di 4 milioni di dollari a stagione, giocando nel 1997-98 solo da gennaio dopo un’operazione al piede che gli aveva fatto saltare i primi due mesi di regular season. Più volte MJ dichiarò l’enorme frustrazione di non avere avuto la possibilità di fare un ulteriore ultimo ballo con i Bulls dopo il 1998, lamentando la fine peggiore per la più incredibile delle avventure e sottolineando il rammarico di constatare che quella squadra, mai battuta sul campo, era stata sconfitta soltanto dal suo general manager.