Homegrown Player Rule: la federazione inglese vorrebbe cambiarla ma la Premier League…

Dialogo serrato tra l'organo che regolamenta e gestisce l'attività calcistica d'Inghilterra e gli esponenti delle varie leghe del paese

Uno dei tanti aspetti della Brexit? Non proprio, tanto è vero che i promotori di questa iniziativa vorrebbero che entrasse in vigore anche se l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea non avesse luogo entro marzo 2019. Dello spirito Brexit restano probabilmente alcune argomentazioni di dubbia efficacia, non supportate da alcuna evidenza.

C’è chi crede di essere danneggiato da un sistema ‘troppo global’, o che il proprio paese lo sia, e quindi chiede che vengano introdotte nome protezionistiche al fine di perseguire il bene comune.

La cosiddetta Homegrown Player Rule, nella forma attuale, prevede che all’interno delle rose dei club di Premier League debbano essere inclusi almeno otto giocatori formati in Inghilterra o in Galles. Visto che le rose sono composte da un massimo di 25 elementi, questo significa che 17 di loro possono non soddisfare questa condizione. L’intenzione sarebbe quella di portare tale numero da 17 a 13.

Ridurre il numero di stranieri in Premier League, detto in maniera più semplice, per favorire i giocatori locali e fare in modo che la nazionale sia più competitiva.

Si tenga comunque presente che della categoria homegrown fa parte anche un certo Cesc Fabregas, che ha oltre 100 presenze con la Spagna. Basta aver fatto parte di un club affiliato alla FA per almeno tre anni prima del ventunesimo compleanno. Anche Paul Pogba e Romelu Lukaku sono nella stessa identica situazione: ‘fatti in casa’ ma poi non hanno certo giocato con la maglia dei Tre Leoni.

Che la Brexit sia solo un pretesto di capisce dal fatto che la nazionale inglese non andava così bene da molti anni. Detiene, ad esempio, il titolo di campione mondiale under 17, dopo aver battuto per 5-2 la Spagna in finale. La competizione si gioca dal 1985 e gli inglesi non solo non avevano mai vinto ma non avevano mai nemmeno giocato una finale, nemmeno per il terzo posto. Aggiungiamo la semifinale conquistata della nazionale maggiore in Russia e anche le ottime prestazioni in Nations League.

Dunque non c’è nessuna evidenza che l’attuale regolamentazione danneggi la nazionale e questo non è l’unico dato che dovrebbe indurre maggior cautela.

La Premier League è vista in 189 paesi con 700.000 (settecentomila) visitatori, tra quelli che ogni anno visitano il Regno Unito, che assistono almeno una volta a un match dal vivo. I club della lega danno lavoro, nel complesso, a qualcosa come 12.000 persone con un volume di tasse generato di 3.3 miliardi di sterline (fonte ufficiale).

Numeri invidiabili che contribuiscono a rendere il massimo campionato inglese forse non il più forte ma certamente il più seguito, affascinante e coinvolgente per lo spettatore.

Toccare un giocattolo del genere sembra quindi una mossa azzardata e poco comprensibile.