La penalità di Vettel in Canada, il giorno in cui morì la F1

La penalità di cinque secondi a Vettel in Canada è il punto più basso dell'epoca moderna della F1

Chi ci legge qui sa che con Sebastian Vettel non siamo mai stati teneri. Tanti errori gratuiti, tanta pressione gestita in maniera poco ortodossa dal 2017 in avanti nel duello contro Hamilton, un 2018 nel quale ha avuto tante responsabilità sull’epilogo del mondiale. Ma oggettivamente in Canada nel 2019 il tedesco è stato vittima di una ingiustizia che contestualmente segna il fallimento totale di questa epoca della F1.

Se tu stai lottando per la vittoria, commetti un errore, rientri in pista con le gomme sporche di erba, perdi ancora leggermente il posteriore e vieni penalizzato di cinque secondi per questa manovra perdendo una vittoria che avresti meritato dopo un fine settimana obiettivamente impeccabile, non soltanto sei privato di ciò che è tuo ma è anche l’epilogo dell’essenza del motorsport. Obiettivamente. Questi ragazzi vanno a 300 all’ora con monoposto sempre più veloci, passano la loro vita a sfidare il limite, il pericolo, a competere su differenze che si calcolano in millesimi di secondo. Adrenalina e agonismo mescolati in pochi istanti. Non da oggi, da sempre è questa la F1.

Vettel che viene sanzionato di cinque secondi per ‘rientro in pista poco sicuro’ è una contraddizione in termini. Non c’è niente di sicuro nel motorsport e non sempre c’è il margine per manovre che possano considerarsi nemmeno sicure, ma meno pericolose. Ma poi rispetto a cosa? Ci sono due piloti che si danno battaglia, nessuno vuole concedere la propria posizione al rivale, se sei in F1 significa che non sei disposto e disponibile ad alzare il piede per primo. Come può, uno sport nel quale ormai ogni manovra (non contatto, manovra, quindi intenzioni) viene giudicata e sanzionata dalla direzione gara, essere lo stesso nel quale se le diedero di santa ragione Prost e Senna? Per i due epiloghi del 1989 e 1990, con i criteri di oggi, sarebbero stati radiati a vita. Uguale Schumacher nel 1994 e 1997. E non torniamo indietro all’epoca di gente come Mansell, Piquet, Arnoux e tutti gli altri.

Si potrebbe aprire un capitolo su come si possa giudicare l’intenzione di un pilota quando si tratta di cambi di traiettoria, su quanto questo modo di gestire le gare generi incongruenze e ingiustizie (Hamilton fece lo stesso nel 2016 a Montecarlo con Ricciardo e non fu sanzionato), si potrebbe anche sussurrare di come statisticamente la Mercedes sia quasi sempre dalla parte giusta delle decisioni dei commissari di gara, ma andremmo fuori dal focus. Il punto è che in Canada nel 2019 la F1 è finita, ha toccato il punto più basso della propria credibilità a causa di un regolamento cervellotico e difficile da interpretare e da fare rispettare.

Alcuni hanno detto che si poteva lasciare a Vettel la vittoria dopo sei vittorie Mercedes per garantire un minimo di spettacolo in più alle prossime gare, ma saremmo ancora fuori dal tema. Se Vettel viene penalizzato per una manovra di guida, se viene punito mentre prova a fare il proprio lavoro, cioè ottenere in tutti i modi una vittoria o il migliore piazzamento possibile, stiamo andando contro l’essenza delle gare motoristiche. Stiamo parlando di un pilota sanzionato con cinque secondi e due punti di penalità sulla superlicenza per un incidente di gara nel quale non c’è stato nemmeno l’incidente, nessun contatto, nessun danno alle due vetture. Tanto vale installare un autovelox in ogni circuito, se l’intento è controllare ciò che non può essere controllato, se si deve cercare in tutti i modi di portare la parola ‘sicurezza’ in un contesto che non potrà mai al 100% essere sicuro.

Siamo dentro una F1 che ha monoposto sempre più veloci ma con sempre meno sorpassi, nella quale la vittoria è riservata a due sole scuderie. Con regole volute da ingegneri puntigliosi che impongono che non si possa girare appena piove un po’ più forte perché le vetture diventano troppo pericolose, con commissari di gara che sembrano severi maestri delle scuole elementari che sanzionano ogni comportamento che ritengono indisciplinato, con piloti trasformati in automobilisti in autostrada costretti a risparmiare gomme e carburante invece di concentrarsi sulla competizione. Un prodotto che perde ascolti proprio perché incapace di garantire anche il minimo sindacale dello spettacolo, ovvero due piloti che spingono al limite per provare a superarsi in una delle rare gare combattute della stagione, con giudici che sanzionano le intenzioni e non i fatti. E’ un punto di non ritorno con la speranza che dal Canada in avanti possa essere lo spunto per un’inversione di marcia.