Pedalare nelle Ardenne (e il concetto di secondo posto)

Luca Pisanu ci spiega cosa significa pedalare nelle Ardenne, in un racconto che parte dalla Liegi-Bastogne-Liegi e arriva al Leeds di Norman Hunter

‘Mentre andavo nelle Ardenne, vidi un uomo e sette donne’. Forse vi ricorderete dell’inizio di questa filastrocca, con la quale un cattivissimo e diabolico Jeremy Irons si divertiva a catturare l’inossidabile coppia Bruce Willis e Samuel L. Jackson in Die Hard – Duri a morire. Nelle Ardenne, oggi, sarebbe andata in scena la Doyenne, la Liegi-Bastogne-Liegi, la decana delle grandi classiche rimandate a tempi migliori, presumibilmente in autunno. L’uomo nelle Ardenne è Luca Pisanu, che non solo è nato nello scudetto del Cagliari ma da cicloamatore ha più volte pedalato sulle strade delle classiche del nord, dal Fiandre per amatori alla Liegi-Bastogne-Liegi. Per questo gli cediamo ancora la parola.

Secondo me

di Luca Pisanu

La partenza è fissata per le 9, alla francese (un modo elegante per dire “alla cazzo di cane” perché in pratica dopo le 9 puoi partire quando vuoi) dal centro di Liegi e per fortuna mia sorella mi accompagna in macchina. Si carica la bici, comprese le due ruote che spesso qualcuno dimentica e si va, destinazione La Doyenne, la più vecchia delle classiche del nord. In due settimane i muur delle Fiandre si trasformano nelle Côtes delle Ardenne. Ho già preso parte alla Liege-Bastogne-Liege per amatori qualche anno fa. È una corsa molto dura, le discese sono in salita pure loro e il vento è contrario anche quando è a favore. Di solito si centellinano le forze per attaccare sulla Redoute o, come fece Claudio, più probabilmente sulla Côte de Saint-Nicolas altresì detta “la collina degli italiani” data la vastità di cognomi sui citofoni non propriamente valloni quali Porcu o Palumbo.
Claudio è un mio amico fraterno che alla vita in giro da ciclista ha preferito la vite da vino e il giro vita si da atleta ma non del tutto. Quel giorno scattò lasciando tutti a bocca aperta al grido di “Geronimo!” Ad oggi è l’unico ad aver usato il 53 x 12 su quella salita al 15%, una cosa mai fatta prima da nessun altro, neanche da Merckx. Durò 20 metri e poi si piantò, ma furono i 20 metri più esaltanti del ciclismo moderno.

Ordunque sono pronto, parcheggiata macchina, scaricata bici, scaricato percorso, scaricato in albergo il carboidrato in eccesso non metabolizzato della notte prima, casco in testa e… si sveglia mio figlio e io con lui. Era un sogno, quest’anno il destino di noi amatori è niente classiche del nord. Ora come ora mi accontenterei di una TMT (Terni-Montefalco-Terni) ma niente, neanche quello. Porto la culla in sala e, come spesso faccio da qualche mese, con la sinistra, mano meno avvezza a fare movimenti ripetitivi di su e giù, dondolo mentre con la destra controllo il telefono e le ultime news. La notizia è triste per chi come me è cresciuto con il calcio degli anni ‘70/80. Il coronavirus si è portato via Norman Hunter, colonna del Leeds “Damned” United allenato da Don Revie. Norman Hunter (piccola riflessione: Hunter giocava nel Leeds e Cacciatore gioca nel Cagliari. Coincidenze? Non credo…) era un giocatore che eufemisticamente oggi potremmo definire “grintoso”. Nella mia vita ho sempre sognato due cose: dieci minuti con Moana Pozzi e Sabrina Salerno nell’estate del 1990 (per quanto pure il 1989 nd Markbonf), ne basterebbero forse anche meno e in squadra con predatori dell’anca perduta come Norman Hunter per giocare contro Paulo Dybala e vedere se quando prende una randellata vera su tibia e perone fa la stessa faccia di quando simula. Anche in questo caso basterebbero 10 minuti, forse anche meno a noi e menomato la Joya.

Mio figlio ancora non dorme, continuo a cullare e riflettere su Norman Hunter ed il suo Leeds United. Nel suo palmarès figurano due campionati (1969, 1974), una FA Cup (1972), una Coppa di Lega (1968) e una Community Shield (1969). Fra gli anni sessanta e gli anni settanta il Leeds si impose anche come una delle migliori squadre europee vincendo due volte la Coppa UEFA (1968, 1971). Sapete… quella della doppia finale che se pareggi ma segni più gol in trasferta degli avversari la sollevi. Ora abbiamo l’Europa League con finale secca a Baku. È meglio? È Meglio? È MEGLIO? Si può quindi dire che Norman Hunter giocò per una squadra “vincente”? Avendo io di recente celebrato il Cagliari che ha vinto “solo” uno scudetto direi di sì. Poi scopro che (bugia, lo sapevo già…) in quegli anni il Leeds arrivò per ben cinque volte secondo in quella che ora è la Premier League e raggiunse inoltre diverse finali senza vincere il trofeo e che quindi oggi viene ricordata come una squadra “perdente”, etichetta appioppata a chi “osa” arrivare secondo, non conseguire l’achievement ma solo l’onta del FALLIMENTO! Insomma, è successo spesso che Leeds don’t leads.

Diversi studi universitari hanno accertato che al giorno d’oggi nello sport succede un po’ come a pranzo. Prima di un secondo c’è un primo ma se ne tiene conto sempre di meno. Soprattutto da parte di chi nella vita non è mai stato “Leeds” neanche per dieci minuti. Se sei Roger Federer e hai vinto 37 volte il torneo di Wimbledon tanto da ricordare la Duchessa di Kent da minorenne ma perdi la finale a quasi 40 anni hai fallito. Poco importa l’aver perso da Dijokovic, emerito con merito riconosciuto. Se sei Federica Pellegrini e su 7 miliardi di esseri più o meno umani ti permetti di arrivare quarta alle Olimpiadi qualche genio chiederà il ritiro, hai fallito. Poco importa stravincere mondiali e/o europei dopo. Se sei Tom Boonen e vinci 4 volte la Paris-Roubaix (io l’ho fatta da amatore e ancora mi fa male il culo quando vedo la foresta di Arenberg in tv), hai merito indiscusso in quelle vinte da Terpstra e Gilbert ma perdi la quinta per 10 cm e con essa il record, oltre che la possibilità di togliere a Roger De Vlaemink il titolo di Monsieur Roubaix, hai fallito, devi ritirarti, non si capisce perché tu vada (ancora) in bici. Se sei Zeman e fai 13 punti in 21 partite con il Cagliari hai fallito. Qui però è vero… Se suoni con i Kiss prima degli Iron Maiden ad un festival nel 1988 e non sei head-liner i 30000 spettatori presenti ti daranno del fallito. Di questi 30000 la metà avrebbe ucciso la madre per fare anche solo il soundcheck con i Kiss quel giorno, ma si sono accontentati di suonare in cantina perché “tanto ho un lavoro vero”.

Sono un amatore ciclista più che ciclista amatore e scorrazzando per Sardegna, Italia ed Europa ho spesso sentito “colleghi” distruggere pro che arrivavano secondi laddove loro stessi avrebbero dato un rene per arrivare ultimi. Fior fior di impiegati alle poste che l’unico secondo posto nella vita che hanno visto è quello della fila di chi deve pagare una bolletta.
Io ho insegnato chimica alle scuole superiori e non sono mai stato vicino al podio di “Miglior Professore di Oristano” neanche lontanamente, figuriamoci se posso dire qualcosa a Matteo Trentin, secondo all’ultimo mondiale di ciclismo su strada! Davvero basta un secondo posto ai massimi livelli per essere un perdente? Sei un fallito se arrivi secondo e non primo? Secondo me no e sono il primo a sostenerlo.

Bene, mio figlio si è addormentato e posso smettere di riflettere sulle sconfitte e i fallimenti di Norman Hunter. Posso tornare a letto, sperare di riaddormentarmi subito e raggiungere Claudio sulla Côte de Saint-Nicolas.