Durant, Curry, Iguodala, il titolo è dei Warriors

I Warriors battono i Cavs 129-120 in gara 5 e si prendono il secondo titolo in tre anni, Durant Mvp delle Finals

L’essenza è sul parquet della Oracle Arena appena suona la sirena che regala il secondo titolo in tre anni ai Golden State Warriors. Ci sono Kevin Durant e LeBron James che si abbracciano nel rispetto che si deve e si devono solo i campioni che riconoscono la reciproca grandezza. Da una parte c’è il motivo per il quale Cleveland ha vinto lo scorso anno il primo titolo della sua storia, dall’altra c’è quello per il quale Golden State ha vinto il titolo questa stagione. I Cavs sono una grandissima squadra e i Warriors sono ancora più forti, forse i più forti di sempre in una discussione che si aprirà nei prossimi giorni e che sarà appassionante se messa nei giusti termini. Gara 5 conferma la tendenza della serie e della stagione. I Warriors non possono essere fermati quando giocano sui loro ritmi e i Cavs provano in tutti i modi a guastare la loro festa. Ci riescono per tre quarti e si arrendono solo quando non ci sono più energie nelle gambe mentre dall’altra parte Durant, Curry, Iguodala, continuano a tagliare da tutte le parti. Il capolavoro di Steve Kerr, un altro Mvp della panchina per la squadra che ha costruito e per il dolore fisico devastante che non gli ha impedito di riprendersi i suoi giocatori nelle Finals, è anche il capolavoro di Iguodala e Thompson. E bisogna citare loro in una serie che ha polverizzato tutti i record offensivi della storia. Il primo è un Mvp delle Finals 2015 che spacca gara 5 su due lati del campi come è fisiologico a questo punto della sfida. Il secondo è titanico nel difendere, da solo e senza aiuti, su Irving e LBJ perché la strategia è chiara, facciamoci battere da loro ma non concediamo niente alle mani alternative che ci hanno distrutti in gara 4. Poi ci sono appunto Durant e Curry, i punti e i canestri impossibili, l’attacco e anche la difesa, la voglia di riprendersi ciò che era stato tolto lo scorso anno e di prendersi per la prima volta ciò che era sfuggito per tutta la carriera. E alla fine sul palco piangono tutti come agnellini, non solo perché i Warriors possono alzare il trofeo davanti ai loro tifosi come non era successo nel 2015. E’ chiaro a tutti, vincitori e vinti, che questa è una stagione che rimane nella storia.

I numeri – La partita continua dove era finita gara 4, con i Cavs che partono a cannone per provare a minare la fiducia dei padroni di casa e segnano 37 punti nel primo periodo. I Warriors però rimangono attaccati e con Durant e Iguodala costruiscono il 38-23 del secondo periodo che manda Golden State all’intervallo sul 71-60 e spiana la strade verso il titolo anche grazie al quintetto di cinque esterni, se non di stazza di concezione, cavalcato a lungo da Kerr. Cleveland ci prova ancora a rimanere incollata al sogno impossibile, torna sul 100-95 a inizio quarto periodo, ma Durant è immarcabile e Curry ritorna con gli assist e i canestri decisivi quando di là rimangono energie al solo LBJ che attacca in isolamento ma non ha più compagni da coinvolgere nella missione. Il titolo va a una squadra che ha segnato sempre almeno 100 punti in tutte le partite dei playoff e che in quella decisiva tira con il 51.1% dal campo, 27 assist su 46 canestri, 14/38 dall’arco. Con quel potenziale offensivo il resto del lavoro lo fa la precisione ai liberi, 23/28 di cui 12/15 del solo Curry, e la capacità di controllare i rimbalzi decisivi nell’ultimo periodo quando le percentuali dei Cavs si abbassano. Paradossalmente i Cavs perdono anche tirando meglio degli avversari, il 53.4% dal campo e il 45.8% da tre, perdendo solo 14 palloni, rimanendo a contatto a rimbalzo e con l’unico neo del 65.2% ai liberi. Significa che fare meglio, alla Oracle Arena, in gara 5 e senza energie, non era possibile. E’ solo che i Warriors, in questa stagione e probabilmente in questa epoca del basket americano, sono più forti. Di loro e di tutti.

I protagonisti – Il bilancio di LBJ nelle Finals è tre vittorie e cinque sconfitte, due delle quali contro i Warriors negli ultimi tre anni. E si congeda con una prova monumentale da 41 punti, 13 rimbalzi, 8 assist, sfidato ad attaccare da solo la difesa individuale di Golden State e chiudendo con 19/30 dal campo. Un campione assoluto di cui si discute e si discuterà per sempre. Ai Cavs manca di nuovo Love in attacco, 6 punti e 10 rimbalzi con 2/8 dal campo, ma hanno il migliore Smith della stagione con 25 punti, 9/11 dal campo, 7/8 dall’arco e uno dei protagonisti della fuga iniziale. Irving ne segna 26 con 6 assist ma chiude con 9/22 dal campo in un secondo tempo dove paga problemi fisici. E c’è per la prima volta anche un Thompson da 15 punti e 8 rimbalzi, 6/8 dal campo. Sono gli ingredienti per rendere la resa nobile e chissà come sarebbe andata con una panchina più produttiva dei 7 punti che mettono insieme Jefferson, Korver e Williams. Serie troppo atletica e selvaggia per loro.

Kevin Durant si prende il titolo di Mvp, meritatissimo, delle Finals con la migliore prestazione offensiva della serie, 39 punti, 14/20 dal campo, 5/8 dall’arco. L’uomo in missione e la cui missione è compiuta insieme a 7 rimbalzi e 5 assist, è riduttivo dire che il titolo sia dovuto al suo arrivo nella baia, di sicuro gioca con un fuoco interiore e una presenza chirurgica nei momenti chiave che non ha mai avuto in carriera. Curry era stato criticato dopo gara 4 e accusato di sparire emotivamente con l’avvicinarsi del titolo. La sua risposta è da 34 punti, 6 rimbalzi, 10 assist, 10/20 al tiro. Nonostante il 2/9 dall’arco il suo impatto difensivo e il suo uscire dai giochi razionalmente riconosciuti è il motivo per il quale i Warriors sono una delle squadre migliori di sempre. Iguodala segna 20 punti con 9/14 al tiro ed è il protagonista che serviva alla panchina per reggere l’impatto dei Cavs, timing perfetto per fare la differenza. La stessa che fa Thompson, 11 punti con 4/13 al tiro in un sacrificio immenso e costretto a difendere su Irving e LBJ senza aiuti. La sua difesa è un altro elemento di cui si parlerà troppo poco per celebrare questo titolo. Green finisce con 10 punti, 12 rimbalzi, 5 assist e 2 recuperi. E’ lo chef dei Warriors che finisce fuori giri come lo scorso anno ma è anche la fonte inesauribile di energia emotiva che incendia la Oracle Arena. Le Finals vanno in archivio con uno share tra i più alti di sempre e il motivo è chiaro. Raramente capita di vedere due squadre fortissime al loro massimo splendore, una delle quali è più forte e completa dell’altra. L’essenza dello sport in salsa americana.

Golden State Cleveland 4-1