Nba: Cavs nella leggenda, Warriors rimandati

I Cavs entrano nella storia Nba: nessuno in finale aveva mai ribaltato un 3-1. E' la vittoria anche di Tyronn Lue, che ha trasformato in battaglia individuale una serie che i Warriors, di squadra, avrebbero vinto

Viene in mente la storia dei Boston Red Sox del baseball: non vincevano il titolo dal 1918 e nel 2004 erano sotto 1-3 contro gli Yankees. Rimonta impossibile e Maledizione del Bambino interrotta. Sono quegli eventi sportivi che non si possono prevedere e fanno ammattire gli scommettitori: e infatti ne succedono un paio ogni cinquant’anni. Cleveland che vince il titolo, sotto 3-1, a casa di chi in casa non perde mai, è roba che verrà raccontata dai nonni ai nipoti. Vediamo perché.

Come la vincono i Cavs – Coach Tyronne Lue ha trovato la chiave giusta. Non durante la serie, ma già dall’inizio. La sua idea è sempre stata: magari perdiamo la Finale per colpa di Green o Barnes o Livingston, ma non ci facciamo battere da Curry e Thompson. Era un gioco d’azzardo, particolarmente rischioso. Non ha funzionato in tre delle prime quattro partite, ha funzionato nel prologo della serie. Curry è stato fermato sempre, e in gara 7 i suoi compagni hanno fatto quello che dovevano. Tutti. I gregari (Smith ma soprattutto Thompson, cresciuto a dismisura sotto i vetri quando Golden State si è sciolta atleticamente) hanno tirato la volata per portare i capitani a giocarsi l’ultima tappa. A quel punto, seconda parte della strategia: se trasformiamo una sfida di squadra in un duello individuale, abbiamo il fattore LeBron. Che ha avuto al suo fianco il fattore Irving (tripla decisiva? Anche, ma la sua prestazione di gara 5 è quella che ha ridato vita alla finale). Mentre gli Splash Brothers sono mancati. Legge Nba rispettata: il sistema batte le individualità (cfr. Warriors contro Thunder), ma se il sistema non funziona, o è zavorrato per vari motivi, vince chi ha il giocatore più forte. E Cleveland non solo ha avuto il più forte di tutti, ma in queste Finals il secondo più forte, Kyrie Irving, giocava comunque in maglia Cavs. Il titolo 2016 non è andato a chi sa giocare meglio, ma a chi ha saputo essere più efficace.

Come la perdono i Warriors – Non durante le Finals. Hanno iniziato a perdere prima, dando più di quello che avevano per raggiungere il record delle 73 vittorie in regular season, poi trovandosi dentro il girone dantesco dei playoff a Ovest, nel quale hanno pagato il resto del dazio. Sforzo sovrumano per ribaltare Oklahoma City da 1-3, infortunio di Curry, perdita di Bogut, acciacchi di Iguodala. Golden State ha dato tutto per andare 3-1 contro i Cavs, poi la benzina è finita. E guardate che nelle Finals tutti hanno dato quello che dovevano, anche se in momenti diversi della serie. Tutti tranne gli Splash Brothers. Se loro sono normali, i Warriors possono perdere 9 partite in tutta la regular season e altrettante in quattro serie playoff. Stagione anomala come raramente capita nella storia: hanno iniziato senza Kerr, hanno avuto in mano il mondo fino a primavera, nella decisiva gara 6 hanno perso l’uomo chiave (Green) e anche un lungo della rotazione (Bogut) molto più importante negli equilibri su due lati del campo di quanto dicano le statistiche. Senza anche una sola di queste varianti, avrebbero vinto il titolo? Possibile, probabile, ma il titolo va da chi lo aspetta da 52 anni. E nello sport, e nella Nba soprattutto, ha ragione chi vince. Anche se rimane difficile, se non impossibile, stabilire quanto questo titolo sia stato vinto dai Cavaliers o perso dai Warriors. Che comunque dimostrano di essere unici, in un verso o nell’altro: mai nessuno era entrato nella storia dalla porta principale (record di vittorie in regular season) e da quella di servizio (unici ogni epoca a essere ribaltati in finale da un vantaggio di 3-1). L’anno prossimo se ne riparla.