Siamo abituati a pensare, da oltre trent’anni, alle squadre di calcio disposte in modo ‘numerico’ sul campo da gioco. Formule come 4-4-2, 4-3-3, 5-3-2 e più recentemente 3-5-2 sono diventate parte fondante del linguaggio calcistico e immediatamente associamo ai moduli un determinato modo di stare in campo delle squadre, principalmente in base al numero dei difensori presenti in campo. Un modo di identificare lo schieramento tattico che in Italia ha preso piede negli anni Ottanta, con la difesa a zona diventata prima popolare e poi di fama planetaria con il Milan di Sacchi e la sua ricerca ossessiva del fuorigioco e la copertura sistematica di determinate zone del campo. Il 4-4-2 e il 4-3-3 erano gli schieramenti più utilizzati dagli allenatori che si affidavano alla zona mentre era più difficile definire tatticamente le squadre che giocavano a zona.
L’evoluzione dei moduli
Dagli anni Novanta in poi quella che veniva definita zona pura ha iniziato a fondersi con la marcatura a uomo, generando un’evoluzione anche modulistica nella quale era sì fondamentale controllare gli spazi ma anche limitare i giocatori offensivi delle squadre avversarie. Il passo successivo è stato quello di pensare a schieramenti sempre più flessibili, anziché autosufficienti come la zona del decennio precedente, perché è diventato imprescindibile avere una propria identità su due lati del campo ma anche adattarsi tanto alle caratteristiche delle squadre avversarie quanto alle necessità tattiche che si incontrano nei diversi momenti di una partita che dura novanta minuti. Uno schema come il 3-4-3, per esempio, viene declinato nel calcio moderno come 3-4-2-1, che non utilizza più un tridente offensivo tradizionale ma due trequartisti che possono agire da punte o mezze punte in fase di possesso palla. Una sua variante è il 3-4-1-2 all’interno del quale un regista agisce a supporto di due punte di ruolo.
La Juve di Conte che ha dato vita alla più grande tirannia moderna del calcio italiano si affidava a tre difensori come Chiellini, Bonucci e Barzagli nel proprio 3-5-2, uno schema spesso utilizzato anche da Allegri che però nel corso delle sue cinque stagioni bianconere ha apportato significative varianti. In una difesa a quattro, dal 4-3-3 o dal 4-4-2 tradizionali si passa al 4-2-3-1 molto diffuso nel nostro campionato per avere una copertura maggiore della zona nevralgica del campo, uno schema che si modifica a seconda del possesso palla e che è stato declinato da allenatori italiani come Spalletti o stranieri come Mourinho e Heynckes, autori del triplete nel 2010 con l’Inter e nel 2013 con il Bayern Monaco, con ampio successo. Il Barcellona di Guardiola, che ha cambiato il calcio del nuovo millennio, parte solo apparentemente da un 4-3-3 tradizionale, ci arriveremo. Il 4-3-1-2 e il famoso 4-3-2-1 albero di Natale sono altre varianti. Il 5-3-2 è meno utilizzato nel calcio moderno e vi si ricorre in fasi della partita in cui è necessaria una copertura maggiore, ma può facilmente diventare un 5-4-1 in caso di necessità difensive per difendere un vantaggio a fine partita o un 5-3-1-1 per garantirsi un controllo più efficace del centrocampo. Di base, il cambiamento più importante degli ultimi anni consiste nel variare modulo di gioco a seconda del possesso palla.
I moduli del calcio contemporaneo
In Italia nelle ultime stagioni molti allenatori hanno fatto un uso sistematico della transizione dei moduli a seconda della fase di possesso palla in maniera chiaramente riconoscibile. Di fronte a un 4-3-1-2, uno schema che prevede quattro se non cinque uomini nella zona mediana del campo, una squadra potrebbe adottare in fase difensiva un 3-5-1-1 per rendere più difficile la manovra a centrocampo e costringere la squadra avversaria ad aprirsi sugli esterni, se ne ha in grado di attaccare la profondità. In fase di possesso palla potrebbe invece trasformarsi in un più classico 3-4-3 per utilizzare gli attaccanti esterni come esca verso i terzini avversari, costretti a salire per difendere l’ampiezza e generare superiorità numerica in una zona nevralgica del campo.
In un calcio sempre più fisico e veloce, è aumentata a dismisura anche la necessità di controllare il possesso palla, perché naturalmente se i tuoi giocatori hanno il pallone significa che non ce l’hanno gli avversari e che dovranno spendere di più sul piano fisico per provare a recuperarlo. Il motivo nevralgico è anche molto semplice, a dispetto della sempre crescente complessità del calcio moderno. Un modulo offensivo permette un posizionamento dei giocatori funzionale all’obiettivo di segnare esattamente come un modulo difensivo permette di difendere la propria porta con più efficacia. Da qui l’idea di utilizzarli entrambi all’interno della stessa partita ed è il motivo per cui non si parla più di moduli di gioco ma di principi di gioco. Così come anche la definizione di ruolo dei calciatori sta cambiando, non più in base alla posizione in campo ma alla funzione che svolgono all’interno di quegli stessi principi di gioco che caratterizzano gli allenatori.
Alcuni esempi di moduli, o principi di squadra, moderni
Torniamo di nuovo a citare il Barcellona di Guardiola che vinse due Champions League nel 2009 e 2011. Il 4-3-3 di partenza è soltanto un’indicazione numerica, perché in fase di possesso palla gli spagnoli generavano un 2-3-2-3 o 2-1-4-3 a seconda della posizione dei terzini per sfruttare le grandi doti di registi di giocatori come Xavi e Iniesta per generare superiorità numerica dopo una fitta rete di passaggi. Un modo di giocare che consentiva l’inversione della posizione degli attaccanti e che diede vita a una celebre espressione, quella del Falso Nueve, così come quella di Guardiola che disse: ‘Non ci serve un centravanti, il nostro centravanti è lo spazio’. In fase difensiva il Barcellona raramente aveva una linea difensiva in linea, molto più spesso si trattava di un 2-2-1-2-2-1 con un triangolo centrale che si componeva a scomponeva in base ai movimenti dei centrocampisti centrali e aveva come obiettivo il recupero del pallone e la transizione per generare ancora superiorità numerica. Un modulo di partenza come il 3-5-2 è stato utilizzato da Paulo Sousa per trasformarsi in un 3-2-4-1 in fase offensiva e in un 4-4-1-1 in fase difensiva.
Ancelotti nella sua esperienza al Napoli ha fatto le sue migliori partite in Champions League con un 4-4-2 difensivo capace di trasformarsi in un 4-3-3 offensivo grazie al movimento dei terzini fino a diventare un 3-5-2 in alcuni momenti della gara.
L’Atalanta di Gasperini, capace di andare per la prima volta in Champions League nella propria storia grazie al terzo posto nel 2018-19, parte da un teorico 4-3-3 che in base alle caratteristiche degli avversari si trasforma in un 3-5-2 o in un 3-4-1-2. A seconda delle idee tattiche degli allenatori e delle esigenze specifiche all’interno della stessa partita, non si può più parlare di modulo ma si deve parlare di identità di squadra, che si muove e applica i principi di gioco richieste dal tecnico.
E’ uno dei motivi per cui negli ultimi anni si associa il nome del tecnico a un vero e proprio movimento. Guardiolismo, Contismo, Sarrismo, presto anche il Kloppismo perché l’allenatore del Liverpool che ha riportato la Champions League ad Anfield nel 2019 è l’uomo che sta firmando l’ultima evoluzione. Non più calcio orizzontale ma estremamente verticale con il lavoro dei terzini che diventa fondamentale e li trasforma, per volume di palloni toccati, nei registi occulti della squadra.
Il 4-3-3 di Klopp in fase di possesso palla diventa un 2-3-2-2-1 nel quale gli esterni bassi salgono a formare una linea con il mediano e due dei tre attaccanti del tridente arretrano per costringere i difensori ad alzarsi e aprire spazio sulle fasce. In fase difensiva si trasforma in un 1-4-4-1 soprattutto quando deve difendere il vantaggio ma senza rinunciare ad aggredire i portatori di palla avversari. Ecco perché giocatori in grado di interpretare più principi, e che una volta avremmo definito capaci di interpretare più ruoli, sono sempre più richiesti sul mercato. Proprio come i moduli hanno smesso di essere rigidi e si sono trasformati in evoluzioni fluide spesso anche all’interno della stessa azione, anche i calciatori moderni devono sviluppare un modo flessibile di pensare un calcio nel quale la velocità di esecuzione si evolve in maniera direttamente proporzionale alla velocità di interpretazione, in campo e in panchina.