Quando fu fondata la Premier League, nella stagione 1992-93, gli allenatori inglesi erano titolari di 15 panchine, seguiti, numericamente, da 5 scozzesi, un gallese e un irlandese, Joe Kinnear, che era l’unico non britannico. Per la precisione, a fine stagione sarebbero stati 16, con David James Webb che prese il posto dello scozzese Ian Porterfield sulla panchina del Chelsea dalla trentesima giornata in poi.
Oggi la situazione è ben diversa. Sean Dyche dell’Everton, un ottimo allenatore almeno per un certo tipo di club, ma che è stato a lungo in discussione, ed Eddie Howe, sono gli unici veri inglesi che al momento guidano una squadra della massima serie locale. Gary O’Neil è stato esonerato dal Wolverhampton, e per ora la scelta sembra stata azzeccata, mentre Ben Dawson (Leicester) e Simon Rusk (Southampton) hanno agito in qualità di caretaker per poche partite.
Sul finire del 2024 sono solo due
Dunque erano tre a inizio stagione, ora diventati due, più due traghettatori. Per il resto, sarebbe un po’ forzato considerare inglese Kieran McKenna (Ipswich) solo perché è nato a Londra, visto che è cresciuto in Irlanda del Nord e di quella nazionale ha portato i colori a livello giovanile con 12 presenze al suo attivo. Stessa cosa per l’ex Southampton Russell Martin, nato a Brighton ma scozzese con 29 presenze a livello di nazionale maggiore. Nessun dubbio invece per Steve Cooper, gallese di Pontypridd.
Un calo ma non costante
Il calo non è stato lineare dalla fondazione ai giorni nostri perché, ad esempio, nella stagione 2022-23 ci fu un ritorno di fiamma con i vari Steven Gerrard, Scott Parker, Graham Potter, Frank Lampard e altri in qualche modo coinvolti, anche se le squadre meglio piazzate erano in mano a Pep Guardiola, Mikel Arteta, Jurgen Klopp ed Erik ten Hag, con l’eccezione dei soli Magpies di Eddie Howe.
Nemo propheta in patria
Non ci si può dunque stupire troppo se nessun allenatore inglese ha mai vinto un titolo in Premier League dalla sua fondazione. Alex Ferguson vinse il titolo della stagione inaugurale, chiudendo la carriera con 13 successi tutti alla guida del Manchester United, essendo ancora il primatista assoluto, ma non contatelo come inglese! Sir Alex ovviamente è scozzese, come Kenny Dalglish, vincitore di quattro titoli in tutto tra Liverpool e Blackburn Rovers anche se solo uno dopo il 1992-93. Per il resto, sei titoli sono targati Spagna, grazie al solo Pep Guardiola, quattro Italia, rappresentata però da quattro tecnici diversi, con Wenger e Mourinho, tre successi a testa, a rappresentare rispettivamente Francia e Portogallo, ma persino il Cile è nel libro dei record con Manuel Pellegrini. Ovviamente non dimentichiamo il tedesco Jürgen Klopp.
Tanto per fare un paragone, nello stesso periodo, la Serie A è stata vinta per il 90% da tecnici italiani e anche nella stagione in corso la stragrande maggioranza degli allenatori è di nazionalità italiana. Fanno eccezione i soli Cesc Fàbregas, Patrick Vieira, subentrato a Gilardino, Paulo Fonseca, esonerato dal Milan ma rimpiazzato dal connazionale Sérgio Conceição, Ivan Jurić, ora però al Southampton, e Kosta Runjaić.
Allora gli inglesi allenano all’estero…
Non proprio. Gli unici allenatori inglesi che lavorano nei principali campionati europei sono Liam Rosenior allo Strasburgo e Will Still, del Lens, che però è nato e cresciuto in Belgio e ha la doppia nazionalità.
In un quadro del genere, non stupisce nemmeno troppo che che il paese che ha inventato il gioco del calcio, e che ha saputo creare la fenomenale Premier League, è già la terza volta in tempi recenti che ingaggia un CT straniero per guidare la sua nazionale. Thomas Tuchel è arrivato dopo il povero Sven-Goran Eriksson e Fabio Capello, tutti a partire dal 2000.
Una scelta abbastanza strana perché nessuna nazionale ha mai vinto il mondiale con un CT straniero, la stessa Inghilterra nel 1966 trionfò con Alf Ramsey in panchina, e a livello europeo solo Otto Rehhagel guidò la Grecia al successo nel 2004 non essendo greco ma tedesco.
E noi? Nel 1966 Helenio Herrera fu chiamato ad affiancare Ferruccio Valcareggi ma la cosa duro poco, circa otto mesi, e non fu certo un’esperienza positiva. In Germania non è mai successo, in Spagna si ma erano allenatori col doppio passaporto.
Perché succede?
Difficile dirlo. Ci sono varie ipotesi ma alcune sono prive di fondamento.
Ad esempio, non può essere perché “gli inglesi parlano solo inglese e non si adattano”, come pensa qualcuno. I dati dimostrano che non è vero, o meglio, sicuramente ci sono meno inglesi che parlano una seconda lingua rispetto a svedesi o danesi, ma sono più degli italiani e dei portoghesi che notoriamente allenano con successo anche all’estero. Se ci sono buoni motivi le lingue si imparano.
L’unico dato oggettivo è che in Premier League girano più soldi, i club possono spendere di più e possono scegliere chi gli pare. Inoltre molto spesso questi club sono di proprietà straniera. Solo 5 delle 20 squadre di Premier League sono di proprietà di persone o aziende inglesi. La maggior parte sono di proprietà di americani dunque non è così strano che cerchino coloro i quali secondo loro sono i migliori sul mercato senza curarsi troppo se è una soluzione a chilometro zero o no.
In Spagna 15 delle 20 squadre sono di proprietà spagnola, mentre in Italia il 50% è in mano a italiani.
Ma è davvero così grave?
Infine, ci dobbiamo chiedere se gli inglesi debbano realmente rammaricarsi di tutto questo, anche se è ovvio che potendo scegliere sarebbe preferibile essere i migliori in tutto.
E’ meglio avere il campionato più bello e ricco del mondo, seguito in TV o in streaming da milioni e milioni di persone ad ogni latitudine, anche se pochi inglesi vi allenano, o è meglio invece avere un campionato come il nostro, ancora di buonissimo livello ma non paragonabile alla Premier League per potenza mediatica e finanziaria, ma con squadre allenate in larga maggioranza da italiani? E’ giusto precisare, perché se parliamo di giocatori, le due competizioni hanno una percentuale piuttosto bassa di giocatori locali, circa 1/3, mentre in Spagna sono sei su dieci e in Germania oltre il 40%.
Per noi la risposta è scontata. Molto meglio la situazione inglese, con la Premier League, ma in fondo potremmo dire il loro calcio in generale anche se la nazionale non vince mai, che è talmente importante e forte da essere parte del cosiddetto soft power nazionale. Ed infatti chiediamoci come mai i più fieri oppositori della Superlega erano proprio inglesi, e anche a livello altissimo, non solo tra i comuni tifosi.
Conta molto di più di avere questo o quello seduto in panchina. Tutti gli appassionati di calcio conoscono chi sono i Pilgrims o i Tangerines, per non parlare solo dei grandi club, mentre chi sono le Vespe lo sappiamo solo noi, o quasi. Un grande movimento calcistico è anche un formidabile esportatore di influenza, e noi ci siamo giocati questa chance anni fa.