La morte di Davide Astori e il rumore del silenzio a cui non siamo abituati

La morte di Davide Astori e un silenzio improvviso nella società che non sa più fare a meno del movimento costante

C’è questo fatto, in assoluto, della morte che è difficile da interpretare. E’ innaturale, come tutto ciò che all’improvviso si ferma – e lo fa per sempre – mentre tutto intorno ancora si muove. Facciamo fatica ad accettarlo nella quotidianità comune, quella di tutti, quella che percepiamo come normale. Come si fa ad associarla alla quotidianità di un calciatore, o di uno sportivo, che per definizione è speciale? E non è speciale soltanto in quanto privilegiato dal punto di visto sociale ed economico. E’ speciale perché di quel movimento lui è emblema e simbolo. E’ quel movimento, non altro, che ci intrattiene ogni domenica e ogni volta che c’è un evento sportivo. Il suo movimento, quel plastico dinamismo del gesto atletico elevato ad arte, diventa il nostro. E all’improvviso non c’è più. Come si fa a razionalizzarlo?

Davide Astori faceva il capitano della Fiorentina e faceva di quel movimento, di quel dinamismo perpetuo, di quel continuo mutamento di forme ed espressioni che è lo sport, la sua vita. Naturalmente – lui come tanti altri – era anche un po’ le nostre vite, come lo sono quelle di coloro che operano a favore del nostro intrattenimento. La morte sorride a tutti e un uomo non può fare altro che sorriderle di rimando, diceva Marco Aurelio. E’ che, per come la concepiamo, ci sono simboli e icone alle quali pensiamo – ci illudiamo in realtà – che non possa o non debba sorridere. E’ per questo che ci fermiamo quando succede, proprio come si ferma all’improvviso il movimento di chi doveva correre in uno stadio di Udine nella prima domenica di marzo e invece giace immobile nel proprio letto.

Ecco, la prima sensazione di sbigottimento è la stessa provata alla notizia della morte di Michele Scarponi. Anche lui associato a un movimento perpetuo che all’improvviso si interrompe contro il proprio destino a un incrocio stradale a due passi da casa. Però c’è una differenza, ed è sostanziale. Che uno sportivo scomparso mentre esercita la propria attività, per quanto pericolosa o sicura possa essere, genera amarezza ma, proprio perché avviene all’interno del movimento che compone la sua essenza, rimane dentro confini atroci ma tutto sommato cognitivamente accettabili. Un calciatore che muore nel sonno trascende anche da questa regola. Il sonno è un altro mistero della vita. E’ movimento che si interrompe apparentemente senza smettere mai del tutto, è una pausa della quale non abbiamo paura. Dovrebbe spaventarci perché ne perdiamo il controllo, né sappiamo in che momento precisamente ci addormentiamo, né sappiamo precisamente il momento e il motivo per cui ci risvegliamo sempre. Quasi sempre. E quel quasi fa la differenza.

Perché se non siamo più sicuri nemmeno di ciò che riteniamo naturale come dormire, se abbiamo appena fatto i conti con l’accettazione che il movimento è destinato a interrompersi pure se si tratta di uno che di quel movimento vive tutti i giorni, allora non siamo più sicuri di niente. I punti di riferimento saltano definitivamente. Il passaggio da partita, vittoria, classifica o scudetto a morte, obitorio e autopsia non è naturale. Per un momento, per un pomeriggio, per un giorno. Prima di ricominciare. Ma ce lo possiamo permettere? Possiamo fermarci se quello che abbiamo intorno non si ferma nemmeno davanti alla morte?

Siamo dentro un meccanismo che non ammette pause, non concede silenzi, nemmeno dove servirebbero per riprendere fiato e ripartire. C‘era questa immagine dell’addetto stampa della Fiorentina che non sapeva che dire di fronte a un nugolo di giornalisti che continuavano a chiedere informazioni. A che ora la squadra sarebbe atterrata a Firenze. Se Astori e la compagna fossero sposati o solo fidanzati. Il nome della figlia. Nozionismo da dare in pasto a network assetati anche loro di movimento, di rumore, di clic. Siamo condannati a un movimento perpetuo, in un contrappasso dantesco, anche quando la morte ci ricorda che decide lei chi e dove si deve fermare per sempre. E ci sembrerà sempre meno naturale che uno sportivo, per definizione giovane e dotato di ottima salute, possa morire. E’ in giornate come queste che il rumore del silenzio, del pallone che smette all’improvviso di rotolare, è superiore al suono del movimento a cui ci siamo assuefatti.