La Juve e la coppa stregata, storia di un lieto fine che non arriva

La Juve e la coppa stregata, la quinta finale consecutiva persa e un sortilegio che nessuno in casa bianconera riesce a spezzare

Ci sono storie che fanno un giro lungo undici anni per trovare la loro quadratura del cerchio. Ma alla fine al loro posto ci vanno. Prendete Zidane. Lui aveva giocato due finali con la Juve, l’ultima contro la squadra che sta attualmente allenando, perdendole. Se ne era andato al Real Madrid per vincere quella coppa nel 2002. Quattordici anni dopo l’hanno buttato quasi per caso sulla panchina più prestigiosa del mondo e ha iniziato a vincere tutto. Una Champions, mondiale per club, la Liga dopo cinque anni. Quando si è trovato di fronte la sua vecchia squadra, ma soprattutto una squadra italiana, il suo cerchio si è chiuso. L’ultima finale contro un’italiana, anzi contro l’Italia intera, nel 2006, da giocatore l’aveva chiuso con una testata e l’addio al mondiale. Aveva di fronte Buffon anche all’epoca, gli aveva segnato in faccia un cucchiaio, e non era bastato. Da Berlino a Cardiff, da finale a finale, l’uomo finito in panchina per caso è oggi l’allenatore più vincente in Europa.

E la Juve è la squadra più perdente in Europa nelle finali di Coppa dei Campioni, o di Champions League, o di entrambe. Quante ne ha giocate? Sette? Otto? Nove? Ne ha vinte due e questo è l’unico dato certo. Quello delle finali perse invece inizia a non essere più un numero. Si allunga, prende peso come una spugna impregnata d’acqua, diventa una fastidiosa consuetudine, una scimmia sulla spalla, una maledizione che si tramanda di generazione in generazione. E’ pieno di ricorrenze nefaste, nelle ultime cinque sconfitte. Da Monaco di Baviera nel 1997 a Cardiff esattamente venti anni dopo, solo scalinate salite fino al penultimo gradino.

Il 3-1 a un certo punto ricorda proprio quello contro il Borussia Dortmund del 1997. La maglia blu ce l’aveva la Juve, ma lo stesso fu stesa da una doppietta. Quella di Kalle Riedle, ex attaccante della Lazio, proprio come oggi è Ronaldo, anzi Cristiano come lo chiama un Piccinini insolitamente parco di mucchi selvaggi, a finire due volte sul tabellino dei marcatori. Il primo gol è una fiammata che scotta la pelle ma non ustiona. Il secondo è un fantasma che compare all’improvviso dentro la difesa più forte del continente che si squaglia sul più bello, a quarantacinque minuti dalla coppa.

Prendere tre gol in tutta la Champions League e incassarne tre in 63 minuti, quattro in 90, dei quali due frutto di deviazioni più o meno decisive. I tifosi juventini non lo ammetteranno mai, ma il contrappasso dantesco era ciò che temevano di più in vista della finale. Una diga insuperabile che nella notte più importante cede di schianto senza nemmeno scricchiolare è il peggiore dei tuoi incubi. La Champions League è la coppa dei sogni, ma non si tinge di bianconero nemmeno per sbaglio. Si tinge di rosso. Quello sventolato in faccia a Cuadrado che in meno di venti minuti si fa espellere. Lui che le partite in questa stagione le aveva cambiate e che si prende il secondo giallo su una beffarda simulazione di Sergio Ramos, quello che altre due finali le ha risolte con un colpo di testa e adesso ne provoca un terzo, quello del colombiano che lascia la Juve in dieci.

E’ ancora più crudele che alcuni dei gol più belli della storia della Juve arrivino nelle notti più atroci. Quella sera a Monaco di Baviera nel 1997 Del Piero segnò di tacco dentro una geometria sublime che coinvolse anche Boksic. Una delle perle più pregiate della sua carriera. Chi la ricorda? Nessuno. Chi ricorderà da domani la folle, superba, perfetta rovesciata di Mandzukic piovuta direttamente fuori dalla fantasia degli autori di Holly e Benji? L’uomo che con il suo sacrificio aveva reso possibile la nuova Juve a trazione anteriore, che poteva diventare eroe e invece resta una lacrima nella pioggia, e il resto della citazione di Blade Runner, dentro la pioggia di lacrime del tifo bianconero.

Magari in finale ci arrivi due volte in tre anni e fatturi un sacco di milioni di euro e la società è solida e crescerà ancora e la sua dimensione europea è ormai cementificata. Ci arrivi ma se giochi contro squadre spagnole perdi, perdi sempre, quasi con lo stesso risultato, con la stessa dinamica, andando sotto e trovando la forza di pareggiare e poi crollando sotto il talento dei più talenti di tutti, due anni fa Messi e Neymar, stavolta Cristiano, l’amico di Piccinini. Magari però non ti aspetti un crollo verticale, per certi versi inaccettabile, che trasforma una sconfitta in una mattanza, in un 4-1 che è ingeneroso per la stagione ma spietato per la dimensione. Magari a qualcuno viene in mente che l’altra finale recente tra un’italiana, anzi l’Italia, e una spagnola, anzi la Spagna, a Kiev nel 2012 era finita 4-0 per gli iberici. Risultato mica tanto diverso.

Magari sei Zidane e oltre a vincere tutto riesci anche a fare per primo quello che non era riuscito a nessuno, vincere due edizioni consecutive della Coppa dei Campioni da quando si chiama Champions League. La doppietta mancava dal Milan di Sacchi. Ma se la tua storia trova la quadratura del cerchio, i giornali useranno parole come mago e predestinato. Magari sei Allegri e hai fatto tre doppiette consecutive, scudetto e Coppa Italia, da quando sei stato catapultato sulla panchina della Juve. Eppure da domani sarai le due finali perse in tre anni, oltre a tutto il resto. Sarai l’allenatore che ha fatto tutta la gavetta ed è stato sconfitto su tutta la linea da quello che non ne ha fatta nemmeno un grammo. Un giorno, forse, sarai quello che ‘ha perso la finale con il peggiore scarto nella storia delle finali perse dalla Juve’.

Magari invece sei Higuain e la tua storia è ancora lontana dal trovare un approdo, oppure vali 90 milioni di euro ma da domani ti verranno ricordate solo le finali, quante sono di nuovo?, nelle quali hai perso, hai sbagliato un gol decisivo, oppure hai toccato due palloni nei primi dieci minuti e poi hai trascorso il resto della serata di Cardiff a guardare gli altri giocare senza avere nemmeno un’occasione. Stavolta forse non sarai accusato di avere responsabilità sul risultato, ma l’ombra resta se te n’eri andato dal Real Madrid chiuso dall’ingombro di CR7 e te lo ritrovi Mvp della finale che eri stato acquistato per vincere, mentre quell’altro segna dieci gol nelle partite a eliminazione diretta. Vali 90 milioni, hai segnato una doppietta contro il Monaco in semifinale, ma dopo questa partita continuerai a essere ‘quello che sparisce nelle finali’.

Magari, ed è la storia più ingiusta delle storie della finale, sei Buffon. E hai vinto tutto in carriera tranne quella coppa che ti compare di nuovo di fronte alle mani a 38 anni, per la terza volta dopo Manchester e Berlino. E non c’è più molto tempo per credere che la sua storia possa trovare la quadratura del cerchio. Un’altra stagione, forse, un colpo secco. Un la va o la spacca. Ma la Juve la spacca sempre, le finali dal 1996 le ha spaccate tutte, arrivandoci da favorita o da outisder o alla pari. Ha spaccato tutte le finali nelle quali non è andata in vantaggio. Ha vinto solo quelle nelle quali ha segnato un rigore, contro il Liverpool, o un rigore in più, contro l’Ajax.

Aveva segnato per prima nel 1985 e nella finale di Roma, mai nelle cinque finali successive. E si continuerà a intervistare Vialli, Ravanelli, Padovano, Peruzzi, Jugovic, figure mitologiche che ce la fecero, un cortocircuito temporale dentro una maledizione che continua. E’ la storia della Juve che non trova la quadratura del cerchio. Meraviglia e contraddizione di una società che si ama o si odia e che proprio per questo, per il suo ruolo unico nella percezione popolare e nell’albo d’oro dei nostri confini, continua a vivere lo stesso sortilegio nelle finali di Champions League. La squadra che vince tutto nel paese dove è padrona e che al tempo stesso non riesce a vincere mai l’unico trofeo che davvero vorrebbe. E che perde contro chi quelle finali le vince sempre. La storia del Real Madrid nelle finali di Champions League ha trovato la sua quadratura del cerchio da un bel pezzo.