Esegesi di Carlo Ancelotti: leggenda, fortunato o sopravvalutato?

Carlo Ancelotti al Napoli è la storia dell'estate. Percorso all'interno della carriera di un allenatore capace di vittorie indimenticabili e di sconfitte spettacolari, a volte anche all'interno della stessa partita. Leggenda, fortunato o sopravvalutato?

Sicché Carlo Ancelotti è chiamato, dal Napoli e da tutto il calcio italiano, a interrompere l’oligarchia della Juventus in serie A. A tutti è parsa la scelta più illuminata che De Laurentiis potesse fare. Una leggenda della panchina, un uomo che ha vinto tutto, che torna dopo quasi dieci anni su una panchina della penisola e prova a compiere l’ultimo passo. Quello che a Sarri non è riuscito e che tecnicamente non riesce a nessuno dal 2014, sia campionato o coppa Italia, ovvero da quando c’è Allegri al timone dei bianconeri. Per qualche motivo, la figura di Ancelotti allenatore è da più parti venerata e riverita in maniera anomala rispetto a quanto succede a tanti suoi colleghi. Lo stesso Allegri cannibalizza la serie A da quasi un lustro, va spesso in finale di Champions League, eppure lo si discute per la qualità del gioco. A vari livelli nel corso degli anni sono stati discussi Capello, Mourinho, Guardiola, Mancini. Gente che ha vinto tanto, ma che divide. Ancelotti ha vinto quanto loro, e più di alcuni, eppure unisce. L’Italia spaccata ovunque, dalle scelte sportive a quelle elettorali, intorno a Ancelotti si scopre a senso unico. E infatti era il prediletto per la panchina della nazionale, prima che il suo rifiuto spalancasse le porte a Mancini. Il perché Ancelotti unisca è tutto sommato facile da estrapolare: non va mai sopra le righe, ispira fiducia e simpatia, ha gestito con successo spogliatoi ricchi di primedonne e campioni bizzosi, ha vinto campionati quasi ovunque e tre Champions League. Ma è davvero tutto qui? La figura di Carlo Ancelotti invece a noi incuriosisce per altri motivi.

Il destino è quel che è (non c’è scampo più per me)

Avrete colto la pregiata citazione da Frankenstein Jr, nel sonno agitato di Gene Wilder quando deve accettare di essere nipote di un pazzo, o di un genio. Gli antichi al fato davano connotati divini, i moderni lo chiamano appunto destino, è quel fluire di eventi che in un modo o nell’altro influenzano e indirizzano da una parte o dall’altra la vita o la tua carriera sportiva. Da questo punto di vista non c’è una figura più rappresentativa di Carlo Ancelotti. La sua storia in panchina racconta di sfumature, di partite, di rigori, di rimonte subite, che spostando appena una tessera del mosaico adesso potremmo tranquillamente parlare del più grande allenatore di tutti i tempi oppure di un fallimento colossale, di una leggenda o di un sopravvalutato. E badate bene che filosoficamente siamo sempre stati distanti dall’equazione ‘se avessimo segnato noi per primi = adesso staremmo facendo altri discorsi’. Perché in quel modo facilmente si può ricostruire la storia fino a quando Chamberlain si fece menare per il naso da Hitler ct della Germania nazista, che se fosse stato un po’ più incisivo e inflessibile vai a sapere, magari si evitava la seconda guerra mondiale. La storia la scrivono i fatti e non le ipotesi. Eppure, quando entra in ballo Ancelotti, la sensazione di cedere all’eccezione che conferma la regola si fa irresistibile. Perciò, con divertimento, proviamoci.

Quel pasticciaccio brutto delle rimonte subite

Quando Ancelotti inizia ad allenare, metà degli anni novanta, non va molto distante da casa. Prima la Reggiana e poi subito il Parma, nel 1996-97, inaugurando in un certo senso la figura dell’ex giocatore che trova velocemente sistemazioni pregiate quando passa dal prato alla panchina. Lo ricorderete calzare per scaramanzia un cappellino tipo baseball di tre misure più piccolo nella gestione di gente come Buffon, Crespo, Thuram, Zola, Enrico Chiesa, talenti non di secondario livello. Li porta al secondo posto e in Champions League, poi a febbraio 1999 ha in sorte di diventare l’erede di Marcello Lippi alla Juve quando il primo ciclo vincente del toscano finisce, curiosamente dopo una sconfitta casalinga 4-2 contro il Parma allenato da Malesani. A Torino non è che lo accolgano proprio benissimo, con quella storia dei suini che non possono allenare, ma lui la Juve la porta comunque in semifinale di Champions dove trova il Manchester United. A Old Trafford i bianconeri prendono letteralmente a pallonate i Red Devils che solo fortunosamente riescono a pareggiare 1-1. Al Delle Alpi, al ritorno, dopo undici minuti Inzaghi ha già fatto doppietta e la finale di Barcellona sembra prenotata. Ma qui inizia una lunga storia di rimonte subite in maniera inspiegabile. Quella sera la Juve perderà 3-2 partita, qualificazione e possibilità di diventare la prima squadra della storia a giocare quattro finali di Champions League consecutive. L’anno dopo i bianconeri ritrovano Del Piero, vincono un interminabile coppa Intertoto solo per qualificarsi alla Uefa e arrivano in primavera con 9 punti di vantaggio sulla Lazio. Poi l’epica racchiuderà quello che successe con Perugia, Collina, diluvio universale, gol di Calori e scudetto alla Lazio. Ma Ancelotti quello scudetto lo perse prima, nello scontro diretto con i biancocelesti risolto da un gol di Simeone ancora al Delle Alpi, e perdendo 2-0 a Verona affondato da una doppietta di Cammarata. L’anno dopo insegue la Roma di Capello e il 6 maggio, ovviamente al Delle Alpi, potrebbe avvicinarla, riportarsi a 3 punti di distanza e riaprire il campionato. Dopo sei minuti la Juve è di nuovo avanti 2-0, prima che Nakata e Montella confezionino il 2-2 che manda in archivio di fatto il terzo e ultimo scudetto della storia della capitale. Se considerate che Lazio e Roma, dal 1991 in avanti, sono state le uniche squadre a inserirsi in un albo d’oro composto esclusivamente da Juve, Inter e Milan, potete tranquillamente concludere che una grande fetta di responsabilità ce l’ha Ancelotti. Poi ci sarebbe quella storia di Istanbul nel 2005, in piena epopea milanista, con già una Champions e uno scudetto conquistati. Lì è 3-0 a fine primo tempo ed è inutile indagare, ché dopo tredici anni fisici e storici si interrogano ancora su uno dei più grandi misteri nella storia del pallone da quando l’uomo ha inventato i calci di rigore. Per molto meno si sarebbe assegnata una tradizionale etichetta di ‘uomo delle rimonte subite’, invece a parte la disfatta con il Liverpool sono episodi che raramente vengono ricordati. Peraltro alla collezione andrebbe aggiunto anche il campionato francese 2011-12, subentrato intorno a Capodanno alla guida del Paris Saint Germain appena passato in mani qatariote e già ricco di campioni, complice protagonista di una delle più incredibili sorprese nella storia del calcio transalpino ovvero il primo titolo vinto dal Montpellier. Molti allenatori con un curriculum del genere avrebbero smesso di allenare.

Quelle vittorie borderline

Invece Ancelotti vuol dire fiducia e non può essere casuale. In carriera, prima del Napoli, ha allenato Juve, Milan, Chelsea, Paris St. Germain, Real Madrid, Bayern Monaco. La nobiltà assoluta del calcio europeo. E non ti danno quelle panchine se non te le meriti. E te le danno anche perché sei l’unico allenatore della storia, insieme a Bob Paisley, ad avere vinto tre Champions League da allenatore. Sulle quali anche si potrebbe approfondire. Discutere no, perché chi vince ha sempre ragione e Ancelotti ha avuto ragione spesso da questo punto di vista. Però è un fatto che il Milan che torna a vincere la Champions nel 2003, a nove anni di distanza dall’ultima volta, nel derby italiano si trova di fronte una Juve priva di Pavel Nedved poi Pallone d’Oro in quella stagione. E che in una delle più pallose finali di tutti i tempi sono i bianconeri, con Antonio Conte che scuote la traversa, ad andare più vicini al gol. E che la vittoria arriva solo ai rigori. I rigori danno, i rigori tolgono come a Istanbul due anni dopo. Dice, fa parte del gioco. Fa parte del gioco anche Sergio Ramos. Con Ancelotti che arriva sulla panchina del Real Madrid con l’obiettivo principale di vincere la Decima, il 2013-14 è forse l’enciclopedica dimostrazione di cosa significhi il destino nel calcio. La Liga è l’unico campionato che manca alla sua collezione. Quell’anno lo vince l’Atletico Madrid di Simeone, ovvero i cugini, la parte povera e orgogliosa della capitale, che festeggia il decimo titolo, la prima stella in faccia ai Blancos. Real e Atletico si ritrovano a Lisbona per la finale di Champions League, il primo derby in finale della storia. I Colchoneros perdono Diego Costa dopo nove minuti ma fino al 93′ sono avanti con un gol di Godin. Poi un calcio d’angolo e il colpo di testa di Sergio Ramos e il pareggio e i tre gol nel supplementare e la decima Champions League vinta nella storia del club. Ma sarebbe bastata una traiettoria diversa, più alta o più bassa di dieci centimetri, per trasformare Ancelotti da eroe a uomo che aveva permesso ai rivali di vincergli in faccia nella stessa stagione campionato e coppa. Roba da libro nero di tutti i tempi. Dice, ma è meglio un generale fortunato eccetera, citando Napoleone. Vero. Ma delle sue tre Champions League, l’unica non graffiata da insolite sequenze di eventi è quella del 2007, il 2-1 ancora sul Liverpool in una partita lineare e controllata dal fischio iniziale a quello finale.

Una garanzia o un rischio?

Insomma parliamo di un allenatore che ha vinto Premier League, Bundesliga, Ligue 1, tre Champions League, due mondiali per club, tre supercoppe europee e non stiamo nemmeno citando pedissequamente il palmares. Se devi sostituire Sarri, non ti viene in mente nessun altro nome. Poi pensi che Ancelotti è abituato ad allenare giocatori di primissimo livello, ti viene in mente De Laurentiis e qualche dubbio sussiste. Ancelotti nell’accezione comune è uomo di garanzia per le coppe, anche se come abbiamo visto le ombre pareggiano le luci, mentre è considerato poco efficace in campionato anche se a conti fatti ne ha vinti quattro, seppure uno solo in Italia ormai distante quattordici anni. Come sempre, la storia è molto più complessa rispetto allo stereotipo. Dipende dal contesto, che può essere idilliaco come a Madrid dove gente come CR7 lo portava in palmo di mano (e ora si ritrovano da avversari in serie A) o burrascoso come a Monaco, dove furono i senatori dello spogliatoio del Bayern a farlo fuori. Ancelotti gode di una fiducia forse superiore ai meriti acquisiti sul campo, anche se è un merito pure riuscire a godere della fiducia di pubblico e addetti ai lavori, oltre a un curriculum che non ha bisogno di gonfiare con presunte collaborazioni alla New York University per rendere eccezionale. Al momento, ad azzardare una previsione, è all in senza stazioni intermedie. O va oltre Sarri, il che significa scudetto e immortalità, o è un rovinoso cappotto per lui e per la società. Ancelotti è capace di passare indistintamente da una vittoria indimenticabile a una sconfitta altrettanto spettacolare, a volte passando dall’una all’altra anche all’interno della stessa partita. Intanto è la storia dell’estate delle panchine, e comunque vada questa è una buona notizia.

By Светлана Бекетова (http://www.soccer.ru/galery/948119.shtml) [CC BY-SA 3.0GFDL, CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0) or GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html)], via Wikimedia Commons