Tra i tanti effetti collaterali che la pandemia globale ha sullo sport e che dovranno essere valutati nei prossimi mesi, ce n’è uno raramente considerato e approfondito sui media. Nei mesi scorsi La Repubblica ha intervistato Witold Banka, presidente dell’agenzia mondiale antidoping meglio nota come Wada. Tra le altre cose, ha spiegato che uno dei motivi che hanno portato allo spostamento delle Olimpiadi di Tokyo al 2021 è stata l’impossibilità di garantire controlli antidoping accurati e che le limitazioni agli spostamenti imposte in quasi tutti i paesi del mondo renderà difficile anche svolgere controlli a sorpresa. In poche parole, nel momento in cui lo sport ripartirà, la lotta al doping potrebbe essere uno di quegli ambiti che più saranno penalizzati dalle eventuali restrizioni alla circolazione.
La corsa ad handicap
Uno dei temi su cui è difficile trovare contraddittorio è che i sistemi antidoping, e quindi la lotta contro di esso, sia sempre in ritardo rispetto ai tempi del doping stesso. Non è difficile averne conferma. Quando si cerca di ottenere un vantaggio illecito, si testano dal punto di vista medico e scientifico metodi innovativi che se hanno successo danno risultati immediati sulle prestazioni degli atleti. Per poterlo combattere, un sistema antidoping efficiente deve prima conoscere e studiare la pratica dopante e poi cercare e trovare il modo di combatterla. E’ inevitabile che l’antidoping sia sempre una conseguenza del doping, è un’alternanza che non può essere sciolta da nessuna equazione. Anche i progressi tecnologici seguono questa direzione e se si può dire che la distanza tra pratica illecita e il suo contenimento si è accorciata negli ultimi due decenni, di quanto questa distanza si sia ristretta non è misurabile in nessuna maniera. Il motivo per cui il doping rimane in vantaggio è anche perché viaggia nell’ombra e per questo può muoversi più velocemente, se non più liberamente. I protocolli che servono alla Wada per individuare, mettere a punto e ottimizzare un sistema efficace di lotta al doping prevedono una serie di processi che la pratica di ottenere vantaggi sportivi illeciti semplicemente può ignorare. Questo vale a livello teorico, ma anche pratico. Spostare sostanze e persone da una parte all’altra del mondo senza lasciare tracce diventa sempre più difficile ma è ancora possibile. E mentre il doping è accessibile più o meno ovunque a patto di pagare per averlo, esistono tuttora paesi nei quali le agenzie di controllo e di antidoping sono deboli o inesistenti. Un più efficiente coordinamento tra le nazioni è uno degli obiettivi dichiarati della Wada, ma è evidente che si tratti di rincorrere a piedi qualcuno che si sposta su un mezzo a motore. E la similitudine non è casuale perché il doping tecnologico a detta di quasi tutti gli esperti è la prossima evoluzione della specie.
Le conseguenze dopo il Coronavirus
Se ipotizziamo con buona approssimazione che il mondo una volta superata la pandemia per un arco di tempo più o meno ampio sposterà meno le persone da una parte all’altra del pianeta, sappiamo anche che lo sport rappresenta comunque un simbolo di ripartenza e un motivo di svago al quale fare riferimento alla fine di ogni crisi. In un ipotetico scenario nel quale, facciamo solo un esempio teorico per capirci, si trovasse il modo di garantire a ritmo costante la ripresa delle competizioni sportive favorendo la circolazione e lo spostamento degli atleti, non necessariamente la stessa facilità di circolazione sarebbe necessariamente automatica per tutti gli operatori che gravitano intorno allo sport e ne permettono il regolare svolgimento. In maniera più concreta, ipotizziamo un Tour de France che parte a fine agosto con la necessità di garantire la più alta sicurezza possibile agli atleti e a tutta la carovana che si sposta ogni giorno da una tappa all’altra. Potrebbero essere previste limitazioni di pubblico. Potrebbe essere impedito l’accesso negli alberghi e nelle aree comuni a personale non ritenuto fondamentale. Potrebbe diventare impossibile o estremamente complicato svolgere test antidoping a sorpresa, mentre potrebbe non essere altrettanto difficile avere accesso al doping per vie traverse. Vale per il ciclismo, che più di altre discipline ha con il doping un rapporto oscuro e talvolta inscindibile, ma vale anche per tutti gli altri sport. Perciò una domanda che probabilmente verrà spesso ignorata, ma che merita di essere posta, è questa. Se sicuramente avremo dei risultati e delle performance che risentiranno delle diverse condizioni fisiche ed emotive con le quali gli atleti hanno attraversato la pausa forzata, è possibile ritenere che una parte di quei risultati possa dipendere anche da un più facile accesso alle pratiche dopanti? E parlando di sport individuali, se un atleta ha bisogno di ottenere un certo risultato per ottenere un contratto per la stagione successiva e i posti disponibili saranno sempre di meno a causa dell’inevitabile crisi economica a cui stiamo andando incontro, aumenterà il numero di coloro che saranno disposti a ricorrere anche per disperazione al doping per non perdere il lavoro? Come faremo a stabilire se quei risultati sono credibili? Andremo incontro a un generazione di sportivi disposti a tutto e con meno scrupoli pur di migliorare il proprio rendimento? Domande alle quali naturalmente non c’è risposta. Ma quando tutto lo sport ricomincerà, al netto dell’euforia per la ripresa, le conseguenze e le distorsioni potrebbero non essere solo di natura economica, ma anche chimiche e biologiche.